Le borse sono andate di nuovo male a causa dei titoli bancari

Soprattutto quelle europee, per timori legati alla banca svizzera Credit Suisse

(Michael M. Santiago/Getty Images)
(Michael M. Santiago/Getty Images)
Caricamento player

Nella giornata di mercoledì i mercati finanziari europei hanno registrato cali generalizzati, con perdite tra il 2 e il 5 per cento negli indici generali causate soprattutto da quelle molto significative dei titoli bancari. In particolare molte preoccupazioni hanno riguardato la presunta debolezza nei conti della banca Credit Suisse, i cui titoli sono arrivati a perdere fino al 30 per cento del loro valore, trascinando al ribasso anche quelli delle altre banche europee.

Il tutto arriva dopo giornate assai difficili in borsa per il settore bancario, cominciate con il fallimento di Silicon Valley Bank, il più grande negli Stati Uniti dalla crisi finanziaria del 2008, e la successiva decisione del governo americano di chiudere un’altra banca particolarmente a rischio, la Signature Bank: lunedì i titoli bancari europei avevano perso molto valore per il timore che un effetto contagio colpisse anche gli istituti europei.

Nonostante i problemi legati alle banche statunitensi siano al momento tamponati – sia per gli interventi del governo e delle autorità di vigilanza sia perché il panico dei correntisti delle banche si è in parte attenuato – sui mercati finanziari c’è ancora molta incertezza legata alla solidità del sistema bancario internazionale e dopo un parziale recupero della seduta di martedì le borse europee sono tornate ad avere un andamento fortemente negativo.

Il timore che una banca vada in crisi – anche se per il momento non sembra ancora che si possa parlare ufficialmente di crisi di Credit Suisse – impatta a catena su tutte le altre perché il settore è molto interconnesso, anche a livello internazionale, e il panico tra gli investitori può portare a proiettare le debolezze di un solo istituto verso tutto il settore.

I titoli di Credit Suisse vanno male da giorni, spinti al ribasso da indiscrezioni su eventuali debolezze di bilancio: queste indiscrezioni hanno però trovato conferma nel fatto che mercoledì il presidente della banca saudita Saudi National Bank, prima azionista di Credit Suisse, ha detto che non sarebbe disposto a fornire liquidità alla banca, dopo che già martedì il management di Credit Suisse aveva ammesso che erano state trovate «concrete debolezze» di bilancio. La banca era comunque da settimane sotto pressione in borsa, dopo aver pubblicato a inizio febbraio i risultati relativi al 2022, che mostravano la perdita finanziaria più grave dal 2008, e in generale dopo anni di crisi e scandali finanziari.

Credit Suisse, per mettere un freno al crollo in borsa, ha chiesto alla banca centrale svizzera di darle pubblicamente sostegno per fermare il calo dei suoi titoli. In serata è arrivato un comunicato della banca centrale svizzera e dell’autorità di vigilanza indipendente sul mercato finanziario svizzero (FINMA), in cui si dice che la banca centrale è pronta, «se necessario», a fornire supporto finanziario, e quindi liquidità, a Credit Suisse.

Allo stesso tempo, secondo quanto riporta il Financial Times, la Banca Centrale Europea ha iniziato a chiedere alle banche europee il loro grado di esposizione verso la banca svizzera, proprio per valutare il rischio di un eventuale contagio.

Apparentemente le debolezze di Credit Suisse e il fallimento delle due banche statunitensi sembrano casi isolati e di fatto lo sono. Ma molti analisti ritengono che entrambi siano in parte una conseguenza dell’aumento dei tassi di interesse che la Federal Reserve, la banca centrale statunitense, e la Banca Centrale Europea stanno portando avanti da circa un anno per combattere l’inflazione, ossia il generalizzato aumento dei prezzi che sta mettendo in difficoltà famiglie e imprese riducendone il potere di acquisto.

– Leggi anche: Perché le banche centrali aumentano i tassi di interesse

Quella che stanno perseguendo le banche centrali è una politica generalmente ritenuta appropriata e da manuale, ma che allo stesso tempo ha molti effetti collaterali, tra cui il rischio di generare instabilità finanziaria. Molte banche, soprattutto quelle statunitensi, hanno in portafoglio titoli acquistati negli scorsi anni a prezzi altissimi, quando il livello generale dei tassi di interesse era molto più basso (il rapporto tra tassi di interesse e prezzo dei titoli è inverso).

Con l’aumento generalizzato dei tassi il valore di questi titoli si è ridotto: stanno quindi emergendo alcune criticità nei bilanci delle banche che sono state meno attente a diversificare, come Silicon Valley Bank, o con generali problemi di gestione, come Credit Suisse. Per esempio Silicon Valley Bank aveva investito tantissimo denaro in titoli di stato americani – i titoli di stato sono quelli maggiormente legati ai tassi di interesse ufficiali delle banche centrali – e con il rialzo dei tassi hanno perso via via valore, compromettendo così il bilancio della banca e causando forti perdite perché non aveva differenziato i propri investimenti. Gli analisti vedono il sistema bancario europeo leggermente più al sicuro da queste dinamiche, perché è sottoposto a regole più stringenti e a una vigilanza più pressante.

È improbabile comunque che le banche centrali smetteranno di aumentare i tassi di interesse, perché l’inflazione è ancora molto alta e una retromarcia nelle decisioni sarebbe vista come segno di debolezza. Molti però ritengono che tra le considerazioni dei consigli direttivi di FED e BCE la stabilità finanziaria tornerà a essere un fattore prioritario al pari della lotta all’inflazione: negli scorsi mesi i rialzi dei tassi sono stati piuttosto aggressivi e veloci; è probabile che nei prossimi mesi la tendenza al rialzo continuerà ma in misura più graduale.