Cosa c’è di scientificamente plausibile nella serie “The Last of Us”

Poco, perché non siamo insetti: ma la questione delle infezioni fungine favorite dal cambiamento climatico esiste

the last of us
Una scena della serie

Il grande successo della serie televisiva americana The Last of Us, uscita all’inizio del 2023 e tratta da un popolare videogioco di dieci anni prima, ha indotto molti critici e commentatori a occuparsi, tra le tante cose, anche della plausibilità della storia raccontata. Oltre al budget molto alto e alle apprezzate interpretazioni dell’attrice e dell’attore protagonisti (Bella Ramsey e Pedro Pascal), la base scientifica della sceneggiatura è infatti considerata una delle ragioni del successo della serie e uno degli elementi che la distinguono da altre dello stesso genere apocalittico. Quello in cui, per capirci, la frequente presenza di umani infetti che si comportano come zombie esclude da subito qualsiasi forma di realismo.

The Last of Us è ambientata in un presente alternativo e distopico in cui l’umanità è devastata da una pandemia causata non da un virus ma da un fungo parassita del genere Cordyceps. Nella serie trasforma le persone in una sorta di zombie sprovvisti del gusto classico per i cervelli umani, ma ugualmente ostili perché spinti dall’impulso a favorire la proliferazione del fungo nell’umanità non ancora infetta. La differenza con le storie di zombie è che questo fungo parassita esiste nel mondo reale, principalmente nelle foreste tropicali e subtropicali, dove attacca soprattutto insetti e aracnidi.

Esistono centinaia di specie dei generi Cordyceps e Ophiocordyceps, entrambi appartenenti all’ordine Hypocreales e in passato compresi nello stesso genere (Cordyceps). L’esempio più citato, reso popolare da un episodio dell’apprezzata serie di documentari del 2006 Planet Earth, è quello delle formiche infettate dalla specie Ophiocordyceps unilateralis, che fu di ispirazione per l’autore e principale sceneggiatore del videogioco Neil Druckmann.

Una volta venuta a contatto con le spore del fungo, come spiegato dal divulgatore inglese David Attenborough nel documentario, la formica si allontana dalla colonia e comincia a comportarsi in modo anomalo perché condizionata nei movimenti dal micelio del fungo che cresce attraverso il suo corpo. Cerca quindi in luoghi sopraelevati come piante e alberi condizioni di luce e umidità adatte allo sviluppo del fungo, che infine uccide e consuma dall’interno l’ospite per far germogliare un gambo dal suo corpo. Dal gambo si diffondono poi spore che possono raggiungere altre formiche della stessa specie, e il ciclo ricomincia.

Secondo la maggior parte degli scienziati intervenuti nelle ultime settimane riguardo alla plausibilità del mondo raccontato in The Last of Us, ci sono alcuni aspetti della storia abbastanza realistici – più che altro le premesse – e molti altri palesemente fantascientifici e inverosimili.

La parte realistica riguarda la possibilità da tempo discussa di un aumento dei casi di infezioni fungine tra gli esseri umani favorite dal cambiamento climatico. La parte molto poco credibile è che le infezioni possano provocare non la morte degli esseri umani infetti, attualmente l’esito peggiore possibile, ma una loro mutazione in una sorta di “burattini” controllati dal fungo come succede con le formiche. È inverosimile perché esseri umani e insetti sono forme di vita profondamente diverse.

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Tanto per cominciare dalla parte realistica, le infezioni fungine sono da tempo un problema concreto e preso molto seriamente dagli scienziati, seppure ancora poco conosciuto. E la ragione per cui potrebbero esserlo ancora di più in futuro ha a che fare con il cambiamento climatico, come peraltro viene fatto dire all’inizio della serie a uno scienziato ospite di un talk show nel 1968. Parte di quella premessa è vera: il singolo fattore più importante alla base dell’attuale relativa improbabilità delle infezioni fungine tra gli esseri umani è la temperatura corporea delle specie viventi a sangue caldo.

Come spiegato in uno studio del 2009 dal microbiologo e immunologo statunitense della Johns Hopkins University Arturo Casadevall, la temperatura interna degli esseri umani (circa 37 °C) fa del loro corpo un ambiente troppo caldo per la sopravvivenza di circa il 95 per cento delle specie fungine. La temperatura degli esseri viventi a sangue caldo, secondo un’ipotesi di Casadevall difficile da dimostrare ma comunque discussa, potrebbe persino essere il risultato di un’evoluzione specifica di mammiferi e uccelli, in grado di evitare di contrarre infezioni fungine capaci invece di sterminare intere popolazioni di animali a sangue freddo.

La situazione potrebbe tuttavia cambiare a causa del riscaldamento globale, man mano che diversi luoghi del pianeta raggiungeranno una temperatura più vicina a quella interna del corpo umano. Queste condizioni, secondo Casadevall e altri studiosi, potrebbero favorire l’adattamento evolutivo di alcuni funghi a temperature più alte e aumentare le probabilità che trovino nuovi ospiti negli esseri umani, potendo più facilmente sopravvivere alla loro temperatura media interna. Temperatura che sembra essere a sua volta in calo da decenni, secondo un’altra discussa ipotesi pubblicata nel 2020 sulla rivista eLife.

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Le trasformazioni avviate dal cambiamento climatico sono considerate uno dei probabili fattori alla base dell’aumento dei casi umani gravi di infezioni fungine in tutto il mondo, insieme alla crescente resistenza a farmaci utili a curarle come antimicotici e antibiotici. Le infezioni di questo tipo sono circa 300 milioni ogni anno e provocano la morte di 1,7 milioni di persone.

Dal 2009 alcune infezioni da Candida auris, un fungo diversissimo dal Cordyceps ma appartenente alla stessa divisione (Ascomycota), sono emerse in tempi e in luoghi differenti, destando una certa preoccupazione tra ricercatori e ricercatrici che se ne occupano. Proprio l’assenza di correlazioni tra i casi induce alcuni studiosi a sostenere che a determinare l’aumento delle infezioni siano le mutate condizioni ambientali e non un fenomeno di contagio da persona a persona.

Il contagio è in generale un aspetto di The Last of Us considerato meno credibile rispetto alla premessa sul cambiamento climatico. Nella realtà la maggior parte delle infezioni fungine deriva dall’inalazione delle spore: per ogni respiro che facciamo ne inspiriamo una quantità tra 100 e 700 mila, nella maggior parte dei casi innocue, disse a Wired il micologo Andrej Spec della Washington University School of Medicine di St. Louis, nel Missouri. La serie mette insieme un po’ di realismo storico e altri elementi di fantasia.

All’inizio del secondo episodio un flashback suggerisce che la pandemia (che non ha quindi un’origine virale come quella in cui siamo da tre anni) si sia diffusa a partire da uno stabilimento di prodotti alimentari a Giacarta in cui era stata utilizzata farina contaminata, e che la prima persona infetta abbia poi diffuso il fungo mordendo altre persone. La prima parte non è poi così fantascientifica: la malattia nota come ergotismo – o anche “fuoco di sant’Antonio”, soprannome storicamente attribuito anche ad altre malattie – è provocata dall’intossicazione da ergotina, una tossina prodotta dalla Claviceps purpurea, un fungo parassita dei cereali. Nel Medioevo le intossicazioni causate dall’utilizzo della segale parassitata da questo fungo provocarono la morte di decine di migliaia di persone.

La parte meno credibile è quella del contagio attraverso i morsi, una dinamica diversa rispetto a quella del videogioco, in cui l’infezione si diffonde in parte attraverso le spore nell’aria. Come ha ipotizzato il sito Vulture, mantenere questa dinamica anche nella serie avrebbe probabilmente costretto gli sceneggiatori a scrivere troppe scene poco “televisive”, in cui gli attori e le attrici avrebbero dovuto indossare maschere antigas.

La diffusione della pandemia attraverso morsi volontari di persone infette e improvvisamente violente è ovviamente una forzatura. Ma esistono nella realtà infezioni fungine la cui diffusione ricorda vagamente questa dinamica. Lo Sporothrix brasiliensis è un fungo patogeno diffuso principalmente in Brasile e in altri paesi del Sud America, presente nel terriccio e tra vegetali in decomposizione: come altri funghi del genere Sporothrix causa infezioni (sporotricosi) probabilmente trasmesse agli esseri umani dai gatti attraverso morsi e graffi. Sono però infezioni completamente diverse da quelle da Ophiocordyceps che riguardano gli insetti.

Alcune specie di Ophiocordyceps sono peraltro utilizzate dagli esseri umani da secoli: per esempio, nella medicina tradizionale cinese per rafforzare il sistema immunitario e curare una serie di malattie. E sebbene le prove scientifiche a sostegno dell’efficacia di questi utilizzi siano largamente insufficienti, questo non significa che quei funghi provochino infezioni.

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Come ha detto al sito Vox la micologa Charissa de Bekker dell’Università di Utrecht, le specie note di Ophiocordyceps parassiti delle formiche sono almeno una trentina, ma ce ne sono moltissime altre, probabilmente centinaia, non ancora note: per ogni specie di formica o altro insetto che viene infettata c’è una diversa specie di Ophiocordyceps parassita. E le strategie sviluppate da ciascuna specie di Ophiocordyceps per diventare parassita di quella particolare specie di animale e non altre sono parte di una co-evoluzione lunga milioni di anni, non di un “salto” da una specie di formica a un’altra.

Lo sviluppo dell’infezione nell’ospite è l’altro aspetto molto poco plausibile di The Last of Us, sia per i tempi – comunque variabili e poco chiari, nella serie – che per la dinamica. Il processo che porta una formica infetta da Ophiocordyceps ad allontanarsi dalla propria colonia per arrampicarsi su una pianta o un albero, e infine morire “consumata” dal fungo che germoglia dal suo corpo, può durare settimane, o addirittura mesi. E per tutto quel tempo la formica tecnicamente è viva, non è uno “zombie”: l’unica differenza rispetto a quelle non infette è che si comporta in modo da avvantaggiare il parassita, non l’ospite.

I meccanismi di alterazione del comportamento dell’insetto infetto non sono ancora chiari, ha spiegato de Bekker, ma un’ipotesi valutata dagli scienziati è che il fungo produca alcune sostanze in grado di interagire con particolari recettori presenti nel sistema nervoso dell’animale. Potrebbero essere, per esempio, recettori che in condizioni normali si legano alla dopamina o alla serotonina, inducendo un certo tipo di comportamento, e che a seguito dell’infezione interagiscono con altre sostanze portando l’insetto a salire sulla pianta, mordere una foglia e contrarre i muscoli della mandibola per rimanere in quella posizione fino alla morte.

Niente di tutto questo sarebbe possibile nel caso degli esseri umani, perché la loro fisiologia e il loro tessuto nervoso – oltre alla loro temperatura corporea – sono completamente diversi da quelli degli insetti. «Anche se i funghi fossero in grado di causare una piccola infezione, il meccanismo necessario al fungo per eseguire una manipolazione così precisa semplicemente non esiste», ha detto de Bekker.

Ammesso che certi funghi possano adattarsi a vivere a certe temperature, un fungo specializzato nell’infettare una certa specie di formiche molto difficilmente sarebbe in grado di superare il sistema immunitario umano, ha spiegato al sito Science News la ricercatrice taiwanese Jui-Yu Chou, che studia gli Ophiocordyceps alla National Changhua University of Education. «Immagina una chiave che si inserisce in una serratura specifica. Soltanto quella combinazione unica attiva l’apertura del lucchetto», ha detto.

Un’altra forzatura presente in The Last of Us è infine la perentorietà con cui la scienziata interpellata all’inizio della pandemia esclude qualsiasi forma di prevenzione o cura delle infezioni fungine. Nella realtà esistono farmaci antimicotici in grado di curare molte infezioni fungine, sebbene alcune siano resistenti a quei farmaci. E non è vero che i vaccini contro i funghi patogeni per gli esseri umani siano irrealizzabili, sebbene la strada per svilupparli sia ancora molto lunga (tre vaccini hanno raggiunto la fase di sperimentazione clinica sugli esseri umani).

In generale la maggior parte degli scienziati e degli studiosi che hanno commentato la serie ha detto di averla apprezzata, al di là delle forzature e inesattezze, per le attenzioni che potrebbe concentrare su un fenomeno attualmente poco studiato e su cui la ricerca è poco finanziata, a causa della relativa rarità delle infezioni fungine.