• di Stefano Andreoli
  • Storie/Idee
  • Martedì 28 febbraio 2023

I rebus, per solutori abili ma anche inabili

«È già raro trovare qualcuno che li sappia risolvere, o almeno ci provi; figuriamoci qualcuno che se li inventa. Io sono cascato nella tana del Bianconiglio ancora adolescente, nei tempi in cui connettersi a internet implicava rendere inutilizzabile il telefono di casa»

Rebus inedito inventato dall'autore appositamente per l'articolo
Rebus inedito inventato dall'autore appositamente per l'articolo

Mancano poche ore alla scadenza del concorso (il termine per la consegna è mezzanotte) e sto ancora brancolando nervosamente in cerca di un’idea. Davanti a me il computer, con lo schermo fisso su una galleria di fotografie, e un taccuino fitto di annotazioni, frasi troncate a metà e lettere sparse. Continuo a osservare le foto, rigirando la biro tra le dita in attesa di una folgorazione che non arriva. Eppure, so che c’è una frase nascosta da qualche parte. Devo solo trovarla.

Mi sento un po’ come il protagonista del film A beautiful mind, quando in preda al delirio si convince di essere stato assoldato dal governo per decifrare messaggi segreti, nascosti dentro immagini del tutto ordinarie. E forse la realtà non è così lontana, perché in fondo – allucinazioni a parte – sto facendo qualcosa di molto simile. Sto cercando di creare un rebus.

Mi rendo conto che la parola “rebus” non esercita di per sé una grande attrattiva. Per esperienza so che è già raro trovare qualcuno che i rebus li sappia risolvere, o almeno ci provi; figuriamoci qualcuno che se li inventa. Eppure i rebus sono uno dei giochi enigmistici più affascinanti e diffusi, e non solo grazie alle riviste specializzate. Qualcuno ricorderà che negli anni Ottanta Mike Bongiorno conduceva Bis, un gioco a premi nel quale due concorrenti si sfidavano proprio nella risoluzione di un rebus. Bis andava in onda tutti i giorni all’ora di pranzo, e io non ne perdevo una puntata; ricordo che a volte appuntavo i rebus su un quaderno, tentando maldestramente di riprodurne l’illustrazione, per sottoporli a mio padre, abilissimo solutore, quando a sera sarebbe rincasato.

Bis durò ben nove anni (in rete se ne trovano vari frammenti, compresa l’iconica puntata zero che vide confrontarsi il pupazzo Five ed Eleonora Brigliadori) ma l’esperimento non bastò a rendere i rebus davvero popolari. Anche perché i giochi scelti non erano affatto facili: spesso i concorrenti facevano scena muta, costringendo Mike Bongiorno a suggerire la soluzione una parola dopo l’altra, fino a svelarla completamente. Il ragionamento spesso contorto e “laterale” necessario alla risoluzione di un rebus aveva tempi ben poco televisivi, e con l’arrivo degli anni Novanta Bis scomparve, lasciando idealmente il posto all’assai più immediata Ruota della fortuna, teatro di memorabili gaffe nonché trampolino di lancio per future star della politica.

Con Bis finirono anche i tentativi di dare al rebus una dimensione popolare e in qualche modo spettacolare; ma io, ormai, c’ero dentro fino al collo. Ogni venerdì aspettavo l’uscita della Settimana Enigmistica per cimentarmi nei tanti rebus pubblicati sulla rivista: dai più facili, a pagina 3, fino al velenoso terzetto di pagina 36, tuttora oggetto di sfide tra me e mio padre. Non immaginavo certo che un giorno sarei diventato un creatore di rebus a mia volta, né tantomeno che i rebus inventati da me sarebbero stati pubblicati su quelle stesse pagine; soprattutto non immaginavo che, pochi anni dopo, avrei fatto parte dell’Associazione Rebussistica Italiana, partecipando a raduni ed eventi popolati soltanto da enigmisti, fino a trascorrere il fine settimana successivo al mio matrimonio al Congresso nazionale di enigmistica, costringendo mia moglie a sopportare tre giorni di conversazioni in strettissimo gergo rebussistico, che a lei doveva suonare come il dialetto Klingon (tutto vero).

Sono cascato nella tana del Bianconiglio ancora adolescente, nei tempi in cui connettersi a internet implicava rendere inutilizzabile il telefono di casa. Cercando qualcuno con cui condividere la mia passione, mi imbattei in un newsgroup dedicato agli enigmi (i newsgroup sono ancestrali antenati dei social media, spazi di discussione tematici nei quali l’anonimato non solo era consentito, ma consigliato: quei pochi che usavano nome e cognome venivano guardati con sospetto) popolato da utenti che inviavano giochi di propria creazione, sfidando gli altri a risolverli. Nel giro di qualche giorno mi accorsi che tra i nickname dei frequentatori del gruppo c’erano dei soprannomi che mi erano familiari: firme che ero abituato a leggere sulla Settimana Enigmistica accanto a rebus, indovinelli, crittografie. Insomma, enigmisti che facevano gli enigmisti di lavoro!

Non mi pareva vero. Cominciai ad approcciare i più esperti, a fare domande, a chiedere consigli. Timidamente proponevo i miei giochi, indovinelli, enigmi, quiz di vario genere. Di rebus ce n’erano pochi, dato che i newsgroup non consentivano di allegare immagini: toccava descriverli a parole, e il fascino del gioco ne risentiva. Ben presto, però, mi fu offerta la pillola rossa: l’invito a una chat di gruppo, composta quasi esclusivamente da addetti ai lavori, tutti ovviamente identificati da pseudonimi più o meno curiosi. C’era Andrea, alias N’ba N’ga, il malmostoso zio preistorico di una delle Cosmicomiche di Italo Calvino; Enrico, per tutti Snoopy, enigmista fantasioso e geniale come il bracchetto di Schulz; e poi Idadora, Tiberino, Alan, Ser Viligelmo, Microfibra, il Langense, Margravio, Comma, Ele, Rugantino, Giga, Dendy, Atlante e tanti altri. E Maria Luisa, alias Malù, l’anima della chat, quella che non saltava mai una sera, sempre prodiga di faccine e di battute, che si rivelò essere una gioviale signora fiorentina di quasi ottant’anni che sarebbe presto diventata, oltre che una grande amica, la mia guida nel mondo dell’enigmistica per i quindici anni a venire.

Tutti questi enigmisti, che di giorno facevano altri lavori – e qui il mio sogno di fare l’enigmista di professione subì un duro colpo – passavano intere serate al computer cimentandosi, in collaborazione, nella risoluzione di giochi pubblicati su varie riviste, lambiccandosi per intere serate su rebus, crittografie e sciarade. Si trattava di riviste che non avevo mai sentito prima, con nomi dal sapore antico: Sibilla, Penombra, Labirinto. Da dove vengono? Perché non le ho mai viste in edicola? – chiedevo. Mi spiegarono che queste pubblicazioni avevano una tiratura bassissima e si potevano ricevere solo in abbonamento, dato che le loro pagine ospitavano giochi troppo difficili per le normali riviste popolari.

Ovviamente, sentendomi parte della setta degli iniziati, mi abbonai a tutto l’abbonabile; molto presto, però – il tempo di trovare nella buca delle lettere il plico con la prima rivista – l’eccitazione lasciò il posto allo sconforto. Sfogliandone le pagine io, che mi credevo solutore più che abile, mi resi conto che non riuscivo a risolvere un singolo gioco. Non esagero: nemmeno uno, rebus compresi. Mi sentii addosso la stessa sensazione che avevo provato parecchi anni prima quando, dopo un paio di oneste stagioni di minibasket, mi ritrovai con il canestro mezzo metro più in alto rispetto all’anno precedente. Quindi è fatto così, un campo vero?

Ovviamente queste riviste, fuori dal mercato, riescono a malapena a sostenersi e vengono realizzate soprattutto per passione, al limite del volontariato, spesso sotto l’ala di associazioni culturali create allo scopo. Come l’Associazione Rebussistica Italiana, fondata nel 1986 con lo scopo di (cito dallo statuto): “Promuovere, divulgare, perfezionare il rebus secondo i canoni tradizionali, e salvaguardarne la struttura e la tecnica”. Come se si trattasse di un prodotto tipico da tutelare, o un’arte antica come quella dei soffiatori di vetro. E in effetti il rebussista è un animale piuttosto raro: oggi i tesserati, me compreso, non arrivano a duecento ­– e insomma, non è carino dire che l’età media sia piuttosto avanzata, ma vi basti sapere che il sottoscritto, che pure ha vent’anni di militanza alle spalle, è tra i più giovani. L’organo ufficiale dell’A.R.I. è il Leonardo, rivista trimestrale che raccoglie i rebus che gli associati inviano alla redazione, oltre a quelli presentati in occasione di gare e concorsi.

E qui veniamo al dunque, e al motivo per cui mi trovo, a tarda sera, a lambiccarmi su fotografie bizzarre – come quella di un gorilla che armeggia con una console per videogiochi, o delle gazze che tengono delle sigarette tra il becco – circondato da quello che sospetto essere il silenzioso biasimo della mia consorte: le gare per autori di rebus. La più prestigiosa è organizzata dalla Settimana Enigmistica ed è intitolata a Giancarlo Brighenti (Briga), padre del rebus moderno, e a sua moglie Maria Ghezzi, alias la Brighella, raffinata artista scomparsa nel 2021 a 94 anni dopo aver illustrato migliaia di giochi. Il concorso, che ancora oggi viene chiamato confidenzialmente “il Briga”, premia il miglior rebus inedito dell’anno, secondo l’insindacabile giudizio della redazione. Il gusto personale ha un peso notevole, anche se la graduatoria viene stabilita in base a criteri il più possibile oggettivi (verosimiglianza della scenetta illustrata, scorrevolezza e originalità della frase, numero ridotto di lettere inserite). Non occorre essere rebussisti per rendersi conto che il rebus O pera, N uova = OPERA NUOVA è un po’ meno “bello” di quello in cui, contrassegnato dalle lettere V e C, è raffigurato un gatto in giacca e cravatta che dal palco di un comizio elettorale arringa una folla di suoi simili, la cui soluzione è V e C chiede voti a mici = VECCHI E DEVOTI AMICI (autore Cleos, 1975).

Ma non esiste solo il Briga. Ogni anno, dal 1991, l’A.R.I. organizza i Playoff, una sorta di Champions League per autori di rebus, divisa in varie manche a eliminazione diretta. La caratteristica peculiare dei Playoff è che i rebus non possono essere costruiti a piacimento: devono essere creati su immagini prestabilite, scelte dagli organizzatori. Quindi, se normalmente un rebus viene costruito partendo dalla chiave che verrà poi illustrata, in questo caso il procedimento è inverso: l’immagine, non alterabile, viene fornita all’autore, che deve tirare fuori un gioco valido usando solo gli elementi presenti. Quest’anno sono arrivato al secondo turno per il rotto della cuffia, con un rebus così così, e adesso per regolamento mi tocca affrontare uno dei migliori del primo turno, Matt, che invidio molto perché, oltre a creare giochi bellissimi, con i suoi trent’anni e qualcosa è il più giovane fra i tesserati A.R.I. (ma non gli serbo rancore).

Forse ce l’ho. Forse qualcosa si muove, forse ho un’idea. La appunto sul taccuino e la lascio decantare per qualche minuto, mentre comincio a scrivere la mail per gli organizzatori. Oggetto: Seconda manche Playoff – rebus di Stark. Giusto, mi ero dimenticato di dire che Stark è il mio soprannome da enigmista. No, Game of Thrones non c’entra: il nome è ispirato a George Stark, l’alter ego cattivo del protagonista del libro La metà oscura di Stephen King. Lo scelsi una ventina d’anni fa, quando partecipai alla mia prima gara di composizione nella quale, inaspettatamente, vinsi il primo premio con un rebus che raffigurava lo stadio di Firenze e che presto – meglio tardi che mai – sarà pubblicato sulla Settimana Enigmistica. Ricordo benissimo che quel rebus, del quale vado ancora fiero, mi uscì praticamente di getto; stasera, invece, buio totale.

Qua si mette male, l’idea che credevo valida si è rivelata un vicolo cieco. Ma chi le ha scelte queste foto? Sono davanti al computer da troppo tempo, vado a farmi un caffè. Mamma mia, domani ho la sveglia alle sei. Vediamo se negli appunti di ieri c’è qualcosa che si può recuperare… Amore, quanto manca a mezzanotte? Come? Un quarto d’ora? Ah. Non mi ero reso conto fosse così tardi. Sì, sì, vai pure a letto, ti raggiungo. Apro Instagram e comincio a scorrere i video a casaccio, magari mi viene l’ispirazione. Tra un balletto e un gioco di prestigio finisco sul tutorial di un tizio che crea sculture da comuni saponette, cesellando lentamente petali di rosa con un punteruolo finissimo. “Che strano hobby”, mi viene da pensare, e un po’ lo compatisco. Chissà quanto tempo ci perde.

– Leggi anche: Forse non tutti sanno che…

P.S. L’immagine che illustra questo articolo è un rebus inedito che ho inventato apposta per voi. Per chi volesse risolverlo, e fosse completamente ignorante delle regole base, ho scritto una Piccola guida per solutori di rebus che non ne sanno ancora niente. La trovate qui.

P.P.S. Per chi volesse approfondire il mondo dei rebus ci sono tante pubblicazioni di qualità. Tra queste consiglio i recenti Che cos’è un rebus di Emanuele Miola (Carocci) e L’ora desiata vola di Pietro Ichino (Bompiani). Inoltre sul sito Enignet.it, curato dalla Biblioteca Enigmistica Italiana, alla voce “Opuscoli” trovate piccole guide gratuite che introducono a tutti giochi di enigmistica classica, rebus compresi.

Stefano Andreoli
Stefano Andreoli

Romagnolo trapiantato a Milano, parla tutte le mattine dalle 7 alle 10 su Radio Monte Carlo, nel programma Bonjour bonjour. Come autore, ha scritto per alcuni tra i più grandi comici italiani tra i quali Roberto Benigni, Maurizio Crozza, Geppi Cucciari, Claudio Bisio, il mago Forest, Luca e Paolo, Edoardo Ferrario e Valerio Lundini. Insieme ad Alessandro Bonino ha creato il sito satirico Spinoza.it. Collabora da anni con La Settimana Enigmistica e altre riviste come autore di rebus, indovinelli ed enigmi.

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