Perché non sappiamo prevedere i terremoti

Se non con approssimazioni enormi di tempo e di spazio: ma facciamo progressi nei sistemi di allarme immediato

di Pranshu Verma - The Washington Post

Soccorritori tra le macerie di un edificio distrutto dal terremoto (The Washington Post by Alice Martins)
Soccorritori tra le macerie di un edificio distrutto dal terremoto (The Washington Post by Alice Martins)
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Le case sono crollate e i palazzi sono andati in polvere in pochi secondi, dopo che un terremoto di magnitudo 7.8 ha colpito Turchia e Siria lunedì mattina, lasciando i soccorritori nell’affannosa ricerca di qualcuno ancora in vita, tra i tanti morti. Una distruzione così improvvisa e così orribile da chiedersi: com’è possibile che nessuno sapesse che era in arrivo un terremoto?

La risposta non è semplice. Fino a oggi gli scienziati non sono stati in grado di prevedere con esattezza dove e come si verificherà un terremoto, sebbene la posta in gioco sia molto alta. Stime dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) attribuiscono ai terremoti all’incirca la metà delle morti causate da disastri naturali negli ultimi due decenni.

Molti geologi ritengono pressoché impossibile prevedere un evento sismico con precisione, a causa dell’estrema complessità che l’analisi dell’intera crosta terrestre richiede. Altri credono che saranno piuttosto alcune nuove tecnologie – tra cui l’intelligenza artificiale, che può contribuire a una maggior precisione e rapidità nelle capacità predittive, e gli smartphone, che possono inviare notifiche istantanee alle persone in pericolo – che potranno aiutare a salvare molte vite, in futuro.

Tuttavia, anche il migliore degli sforzi tecnologici offre un preavviso di solo pochi secondi – minuti, in rari casi – comunque troppo poco per dare il tempo di evacuare. Gli esperti ammettono che un futuro in cui la tecnologia in nostro possesso diventi in grado di prevedere con esattezza il luogo, l’attimo e l’intensità di un evento sismico sia lontano da venire. E si corre il rischio che previsioni errate possano provocare più danni che vantaggi. «I terremoti si verificano in maniera molto, molto rapida», spiega Christine Goulet, direttrice dell’U.S. Geological Survey Earthquake Science Center (USGS). «È corretto dire che, allo stato attuale, non abbiamo alcuna capacità di prevedere un evento sismico».

Il movimento delle placche tettoniche all’origine dei terremoti avviene con estrema lentezza, mentre le rotture si generano in modo istantaneo, dando origine a terremoti che, senza alcun preavviso, provocano caos e distruzione. Anche le scosse più forti registrate di recente – per esempio il terremoto di Haiti del 2010 – si sono presentate del tutto inattese. Per evitare previsioni errate, i geologi hanno iniziato a dare maggior rilievo al calcolo delle probabilità che un evento sismico si verifichi, piuttosto che cercare di prevedere le singole scosse. Gli scienziati utilizzano misurazioni geologiche, dati dei sismometri e rilevazioni storiche per individuare aree ad alto rischio. Tramite modelli statistici, sono quindi in grado di stimare la possibilità che un terremoto si verifichi in futuro.

– Leggi anche: Il terremoto che arriverà

Ma a differenza delle previsioni meteorologiche – divenute più precise grazie al miglioramento dei sistemi di calcolo, dei modelli matematici e dell’avvento di droni e satelliti – la capacità di prevedere i terremoti non è stata in grado di fare simili progressi. Nel corso degli ultimi cinquant’anni, gli scienziati hanno cercato di prevedere i sismi con diversi metodi, ma sempre senza successo. Negli anni Settanta e Ottanta, la ricerca si concentrò su quali fossero i segnali che precedono un evento sismico, attingendo a un vario miscuglio di indizi che comprendeva il comportamento degli animali, le emissioni di radon e le possibili alterazioni dei campi elettromagnetici. Capitava, a volte, di arrivare a qualche risultato, ma nulla che potesse ottenere il vaglio della comunità scientifica, racconta John Rundle, professore di fisica e geologia all’Università della California di Davis.

Negli anni Ottanta, gli scienziati si convinsero che un segmento della faglia di Sant’Andrea nei pressi di Parkfield, in California, avesse superato la “data di scadenza per un terremoto”. Analizzarono cumuli di dati storici per cercare di individuare una data precisa. Decisero dunque che l’anno della scossa successiva sarebbe stato il 1993, ma il sisma non si verificò fino al 2004, e travolse la California centrale senza alcun preavviso. Fu un errore che Rundle descrive come una “sorta di campana a morto” per la previsione dei terremoti. Da quel momento, molti scienziati si indirizzarono piuttosto verso modelli statistici e calcoli di probabilità, allontanandosi da un’idea di previsione più simile a quella del meteo.

Con l’avanzamento della tecnologia, tuttavia, ci sono stati degli sviluppi nei sistemi di preallarme. Ovvero reti che utilizzano i sismografi per individuare e valutare i primi tremiti, e che inviano un segnale di allarme direttamente alle persone, con qualche secondo di anticipo sull’emergere del terremoto. ShakeAlert, un sistema creato dall’USGS, riesce a inviare un messaggio sul cellulare di un utente con un preavviso che va dai venti secondi a un minuto prima dell’arrivo del sisma.

I dati provengono dai sensori delle stazioni sismografiche dell’USGS, che misurano l’intensità delle vibrazioni del terreno. Quando questi percepiscono l’arrivo di un terremoto, i computer sono in grado di calcolare la direzione della scossa sismica nell’arco di cinque secondi. Le compagnie telefoniche possono a quel punto diffondere la notifica di allarme tra gli utenti presenti nell’area. È un sistema che funziona perché sia il segnale internet sia la rete cellulare si muovono alla velocità della luce, molto più rapidamente di quanto una scossa sismica possa farsi strada nel suolo.

Riuscire a fornire un preavviso che non sia solo di una manciata di secondi è però questione ben più ardua, a detta di molti. Prevedere un terremoto con precisione richiede una mappatura e un’analisi dettagliata della crosta terrestre che indichino in quali punti la probabilità di rottura è maggiore. Gli esperti ribadiscono inoltre un elemento di assoluta casualità nei tempi con cui un terremoto si verifica, terremoto che può talvolta presentarsi senza alcun preavviso. Sebbene la tecnologia ci induca a sperare in un miglioramento, sono in molti a temere che, senza il necessario rigore scientifico, un fallimento di questi nuovi sistemi possa generare un senso di sfiducia nei confronti della tecnologia stessa. «I falsi allarmi hanno conseguenze quasi peggiori delle previsioni corrette», spiega Rundle. «Perché è così che la gente perde fiducia nel sistema».

I ricercatori si stanno inoltre interessando all’intelligenza artificiale e ai software di machine learning, in grado di gestire enormi quantità di dati ed individuare andamenti e modelli. La speranza è che una capacità di analisi più rapida rispetto a quella umana aiuti gli scienziati a capire cosa accade prima di un evento sismico, in modo da poter individuare eventuali segnali di allarme. Per esempio, aggiunge Rundle, c’è chi sta sviluppando modelli di “nowcasting”, ovvero di previsione a brevissimo termine, ispirati al modo in cui la Federal Reserve effettua pronostici sullo stato di salute dell’economia americana. Gli scienziati inseriscono nei software di machine learning grandi quantità di dati, dalle misurazioni sismografiche alle indicazioni dei radar relative alle deformazioni della superficie terrestre, così da migliorare la capacità di ipotizzare il luogo e il momento in cui il terremoto successivo si verificherà.

Anche a fronte di un miglioramento della tecnologia, è però improbabile che si raggiungerà mai un livello eccezionale di precisione. Nel migliore dei casi tra qualche anno gli scienziati potranno prevedere il luogo in cui si verificherà un terremoto in un area di mille chilometri per mille circa, e per giunta nel giro di alcuni anni. Aspettarsi un livello di dettaglio maggiore è al momento inverosimile perché non abbiamo una quantità di dati soddisfacente sui terremoti passati, spiega Rundle. «Abbiamo dati sismici in formato digitale solo per gli ultimi 25-30 anni. Tutto ciò che è successo prima, o ci manca o è fortemente incompleto».

Di recente sono emerse teorie predittive alternative, a cui gli scienziati però guardano con scetticismo. Un metodo alquanto contestato si affida allo studio dell’allineamento dei pianeti. Un ricercatore olandese è diventato virale su Twitter lunedì scorso per aver apparentemente utilizzato questo metodo per prevedere con precisione i dettagli del terremoto in Turchia, con parecchi giorni di anticipo. Christine Goulet spiega che di metodi di previsione di eventi sismici senza alcuna base scientifica ne esistono in quantità, e che se i risultati fossero analizzati su un periodo di tempo più esteso, perderebbero all’istante qualsiasi elemento di credibilità. «Non conosco nessuno che abbia mai azzeccato una previsione per più di una volta», aggiunge: «se fosse davvero così facile, lo faremmo anche noi».

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(traduzione di Laura Mangano)