• Mondo
  • Lunedì 30 gennaio 2023

La caccia online all’assassino dell’Idaho

L'omicidio di quattro studenti avvenuto a novembre è diventato per migliaia di persone un intrattenimento "true crime" in tempo reale

La casa dove i quattro studenti sono stati trovati morti (AP Photo/Ted S. Warren, File)
La casa dove i quattro studenti sono stati trovati morti (AP Photo/Ted S. Warren, File)

Il 13 novembre scorso a Moscow, una città americana dell’Idaho, quattro studenti universitari – tre donne e un uomo – sono stati uccisi a coltellate nella casa in cui tre di loro vivevano insieme ad altre due coinquiline. All’inizio di gennaio, le autorità locali hanno fatto sapere di aver individuato e arrestato un sospettato: il 28enne Bryan Kohberger, dottorando in criminologia di una vicina università.

La vicenda ha ricevuto grande attenzione per vari motivi: innanzitutto perché non sembra esserci un movente, e poi perché le vittime erano persone giovani e con caratteristiche che le rendevano particolarmente attraenti da un punto di vista mediatico. Ma soprattutto c’entra il fatto che la polizia ha portato avanti le indagini con particolare riservatezza per quasi due mesi prima di far sapere di avere un sospettato. Tutte queste cose, combinate al recente successo di podcast e documentari “true crime” e alle abitudini diffuse sui social network, hanno portato migliaia di persone a mobilitarsi personalmente in una specie di caccia collettiva all’assassino, con conseguenze problematiche.

La strage degli studenti dell’Università dell’Idaho è avvenuta nella notte tra il 12 e il 13 novembre, attorno alle 4 del mattino. In una casa condivisa su tre piani sono state trovate morte tre coinquiline, Madison Mogen, Kaylee Goncalves e Xana Kernodle, e un quarto studente, Ethan Chapin, fidanzato di Kernodle. In casa c’erano altre due coinquiline che non sono state attaccate. Chi ha chiamato la polizia l’ha fatto solo molto tardi la mattina dopo, attorno alle 12, e la sua identità non è stata resa nota.

Su Facebook il gruppo nato per discutere aggiornamenti e teorie sugli omicidi dell’Idaho ha più di 230mila utenti e su Reddit sono nati canali da più di 100mila partecipanti ciascuno. Su TikTok gli hashtag legati agli omicidi dell’Idaho – #idahocase, #idahocaseupdate, #idahokiller e altri – hanno in totale più di un miliardo di visualizzazioni.

Molte persone coinvolte sostengono di essere mosse dalla volontà di contribuire alle indagini e ottenere giustizia. In tutta questa mobilitazione però si notano anche dinamiche molto simili a quelle tipiche dell’industria dell’intrattenimento e di molti mass media quando si verifica un crimine particolarmente efferato. Il genere “true crime” ha un larghissimo seguito online e storie come questa sono un’ottima occasione per creatori di contenuti più o meno seguiti di guadagnare nuovi like, follower e visibilità producendo contributi alla discussione, non importa quanto veritieri.

Sull’Atlantic, Megan Garber ha scritto che i post pubblicati online sul caso degli omicidi dell’Idaho spaziano da tentativi di analisi forensi – per esempio a partire dai rapporti pubblicati dalla polizia – a vere e proprie opere di fanfiction, cioè di narrativa scritta da fan, che non sempre spettatori e lettori riescono a distinguere dalle notizie verificate.

Un fenomeno simile si era verificato anche con la sparizione della blogger americana 22enne Gabby Petito, che nel 2021 non tornò più a casa dopo un viaggio col fidanzato. Prima che venisse trovata morta, per una ventina di giorni le sue ricerche mobilitarono migliaia di persone online. Una di queste contribuì effettivamente alle indagini pubblicando un suo video in cui compariva un furgoncino bianco con la targa della Florida che sarebbe poi risultato quello di Petito: il suo corpo fu trovato dalla polizia poco lontano dal punto in cui era stato girato il video. In un documentario, la madre di Petito aveva ringraziato e acclamato tutti gli “investigatori” online che avevano dedicato tempo alla ricerca della figlia.

Secondo Garber però nel caso degli omicidi dell’Idaho le ricerche della comunità investigativa nata online hanno ostacolato, anziché aiutare, le ricerche della polizia, e creato non pochi problemi.

La polizia di Moscow, che ha chiesto da subito la partecipazione della popolazione alle indagini, ha fatto sapere di aver ricevuto, in un mese e mezzo circa, più di 9mila segnalazioni via mail, più di 6mila sui canali digitali e più di 4.500 via telefono: numeri impressionanti se si pensa che, come ha fatto notare Delia Cai su Vanity Fair, fanno un totale di 20mila segnalazioni per una cittadina di 26mila abitanti.

Sul sito della polizia è stata aggiunta una sezione dedicata al “controllo delle dicerie”, in parte per rispondere a una serie di domande evidentemente molto insistenti da parte della popolazione (per esempio sull’identità della persona che ha chiamato il 911 la mattina dopo gli omicidi), dall’altra per sfatare alcune teorie diffuse ma infondate (per esempio un collegamento con altri accoltellamenti simili avvenuti in passato in città vicine a Moscow).

Tra le FAQ del sito della polizia è stato anche aggiunto un elenco delle persone non indiziate, probabilmente per evitare che queste venissero prese di mira dai partecipanti ai vari gruppi di ricerca online convinti della loro colpevolezza. Di alcuni di questi infatti nelle ultime settimane sono state pubblicate online foto e dati personali, e Garber ha scritto che alcuni hanno cominciato a ricevere minacce di morte.

Le prime sospettate su cui si sono concentrate le conversazioni online sono state le due coinquiline sopravvissute: entrambe escluse dalle indagini della polizia. Un altro che molte persone si sono convinte fosse l’assassino è l’ex fidanzato di una delle ragazze uccise, che era stato lasciato tre settimane prima degli omicidi dopo cinque anni di relazione: i video su YouTube che sostengono questa teoria hanno migliaia di visualizzazioni. Una sua parente ha raccontato di come il giovane abbia dovuto fare i conti con il fatto che «mezza America» ora sospetti di lui, oltre che con il lutto. Un vicino delle ragazze uccise ha detto di essere stato preso di mira da alcuni gruppi online che hanno contattato i suoi amici per avere informazioni su di lui, e che ora va in giro con una pistola per sentirsi più sicuro.

Il caso più eclatante è stato quello che ha coinvolto una docente universitaria di storia estranea ai fatti, dopo che su TikTok un’utente ha sostenuto di aver scoperto – usando i tarocchi – che lei sarebbe stata la mandante della strage. Il video in cui ne parla e mostra la sua foto è stato visto più di due milioni di volte e la docente ha fatto causa alla donna per diffamazione, sostenendo di essere arrivata al punto di temere per la propria vita per via delle minacce ricevute da persone convinte della sua colpevolezza. Dopo la causa, la tiktoker ha dichiarato che questo non la dissuaderà dal continuare a sostenere la sua tesi online.

Dopo l’arresto di Kohberger le discussioni online sul caso non sembrano essere diminuite troppo. Nel lungo rapporto pubblicato dalla polizia dopo l’arresto si dice che una delle due inquiline sopravvissute ha raccontato di essersi alzata di notte, aver visto un uomo mascherato con folte sopracciglia dalla porta della propria camera ed essersi chiusa dentro. Questa informazione ha scatenato nuove congetture sul perché non abbia chiamato subito il 911, e un nuovo morboso interesse per questa persona, il cui nome è diventato un hashtag da milioni di visualizzazioni su TikTok e un nuovo oggetto di interesse per i giornali scandalistici.