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  • Lunedì 23 gennaio 2023

In India è stata vietata la diffusione di un documentario sul primo ministro Modi 

Descrive le sue responsabilità nella dura repressione di una protesta avvenuta nel 2002, in cui vennero uccisi centinaia di musulmani 

Il primo ministro indiano Narendra Modi (AP Photo/Rafiq Maqbool)
Il primo ministro indiano Narendra Modi (AP Photo/Rafiq Maqbool)
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Il ministero dell’Informazione indiano ha vietato la diffusione nel paese di un documentario della televisione britannica BBC sulla storia del primo ministro Narendra Modi: nel documentario vengono raccontate, attraverso fonti finora inedite, le responsabilità di Modi nell’uccisione di centinaia di musulmani durante alcuni gravi scontri avvenuti nel 2002 nello stato del Gujarat, di cui al tempo era governatore.

Le accuse contenute nel documentario hanno alimentato il dibattito sulle discriminazioni attuate contro i musulmani dal governo di Modi, nazionalista induista e di destra. Modi, che tra poco più di un anno dovrà affrontare le elezioni nazionali, sostiene che siano accuse false e pretestuose, mentre le opposizioni le ritengono fondate e credono che il blocco della diffusione del documentario sia un atto di censura, coerente col crescente autoritarismo di Modi e con la progressiva limitazione della libertà di stampa e di espressione da lui attuata negli ultimi anni.

Per vietare la diffusione del documentario il governo ha fatto ricorso a una legge introdotta nel 2021 proprio da Modi, che dà al governo il potere di bloccare la circolazione di alcune informazioni all’interno del paese in casi ritenuti «di emergenza».

Il documentario in questione si chiama India: la questione Modi e descrive l’ascesa del primo ministro all’interno del BJP (Bharatiya Janata Party), il partito nazionalista di destra di cui fa parte. Nel Regno Unito è uscito il 17 gennaio, è diviso in due episodi ed è visibile su BBC iPlayer, la piattaforma video di BBC (per vederlo dall’Italia occorre una connessione VPN).

La parte più contestata, quella che ha portato al blocco della sua diffusione in India, è la prima, in cui si descrive l’operato di Modi come governatore del Gujarat, e in particolare la sua gestione dei tre giorni di violenti scontri provocati dall’incendio di un treno che il 27 febbraio del 2002 causò la morte di 59 pellegrini induisti. La responsabilità dell’incendio fu attribuita a un gruppo di musulmani: gli scontri che ne seguirono sono considerati tra i più gravi dall’indipendenza del paese. Furono uccisi quasi 800 musulmani e oltre 200 induisti.

Già allora Modi fu accusato di non aver fatto abbastanza per proteggere la comunità musulmana e di aver anzi tacitamente incoraggiato le frange più estremiste della comunità induista a compiere violenze (che compresero anche stupri e omicidi particolarmente brutali). Ci fu anche un processo, ma nel 2013 la Corte suprema indiana assolse Modi per mancanza di prove.

Il primo episodio del documentario mostra proprio gli scontri del Gujarat e riporta al centro dell’attenzione le responsabilità di Modi nelle violenze subite dalla comunità musulmana. Il documentario include interviste e stralci di un rapporto finora mai pubblicato e prodotto poco dopo gli scontri dal governo britannico, nell’ambito di un’indagine sull’accaduto commissionata dall’allora ministro degli Esteri del Regno Unito, Jack Straw.

Nel rapporto si legge che Modi fu «direttamente responsabile» per «l’atmosfera di impunità» in cui vennero compiute le violenze. Il rapporto dice poi che «il livello di violenza è stato molto superiore rispetto a quanto riferito» e, soprattutto, che Modi ordinò alla polizia di non intervenire per difendere i musulmani. Il documentario, in sostanza, conferma le accuse già avanzate a suo tempo contro Modi per il fatto che non solo non avrebbe fatto abbastanza per evitare le violenze, ma anzi le avrebbe incoraggiate.

Il rapporto dice anche che «l’obiettivo degli scontri era eliminare i musulmani dalle aree abitate dagli induisti» e che gli stupri e le violenze compiute dagli induisti contro i musulmani hanno «tutti i segni distintivi della pulizia etnica».

Per ora del documentario è uscito solo il primo episodio (il secondo sarà visibile a partire da questa settimana), e solo nel Regno Unito. Sui social però sono circolati diversi spezzoni, alcuni dei quali su account indiani: oltre a vietare la diffusione del documentario in India, il governo ha anche ordinato la rimozione di decine di post su Twitter e YouTube che in questi giorni hanno condiviso pezzi del documentario online.

Kanchan Gupta, consulente del ministero dell’Informazione indiano, ha detto che solo su Twitter sono stati rimossi più di 50 post e ha definito il documentario di BBC «propaganda ostile» e «spazzatura anti-India». Gupta ha poi accusato BBC di «minare la sovranità e l’integrità dell’India» con accuse infondate, e gli autori del documentario BBC di essere mossi da «mentalità coloniale». Alle critiche si è unito anche un gruppo di oltre 300 esponenti della magistratura e dell’amministrazione pubblica indiana.

BBC, da parte sua, ha difeso il proprio operato sostenendo che quanto mostrato nel documentario è frutto di ricerche fatte «secondo i più alti standard editoriali», col contributo di una serie di esperti e testimoni, oltre che attraverso la raccolta di opinioni di esponenti di diverse parti in causa, compresi membri dello stesso BJP. BBC ha detto inoltre di aver contattato il governo indiano perché potesse replicare, ma non ha avuto risposta.