I morti di Napoli

«Non è possibile sapere con esattezza quanti siano i morti presenti sulla collina, perché da metà del secolo scorso in poi si sono verificati innumerevoli casi di abusivismo edilizio. Il Monumentale, la zona in cui si sono verificati i crolli, costituisce la parte più antica dell’intero complesso funerario»

Il crollo al cimitero di Poggioreale dell'ottobre 2022, l'ultimo in ordine di tempo (ANSA/CESARE ABBATE)
Il crollo al cimitero di Poggioreale dell'ottobre 2022, l'ultimo in ordine di tempo (ANSA/CESARE ABBATE)

Nell’estate del 1999 al custode di una delle cappelle del cimitero Monumentale di Napoli cadde addosso un pezzo di tetto della palazzina mortuaria attigua al suo portierato: scansò la morte per miracolo e tornò a casa con soltanto un’evidente ecchimosi sulla fronte.

A raccontarmelo è stato suo figlio mentre eravamo affacciati dal basso di via Nuova Poggioreale a guardare lo sfregio accaduto invece il 5 gennaio dell’anno scorso: due congreghe, dei Dottori e di San Gioacchino, sono parzialmente crollate; i morti ancora a terra. Il recupero delle salme pareva impedito dal fatto che la Procura della Repubblica di Napoli aveva posto la zona cimiteriale sotto sequestro, ipotizzando il reato di disastro colposo.

Era fine ottobre, mancavano pochi giorni alle ricordanze funebri di inizio novembre e la strada era tappezzata di striscioni contro la vergogna dei morti lasciati imputridire accatastati, sotto calcinacci e fango. A produrli sono stati i parenti delle salme, che nel frattempo si sono organizzati in una rappresentanza associativa delle vittime, denominata “Crollo 5 gennaio 2022 – Insieme per non dimenticare”.

Di pochi giorni prima, invece, è un altro crollo, di cinque piani, nella Cappella della Resurrezione; ci sono ancora bare sospese nel vuoto. «Ma che sta succedendo?», gli chiesi. «Quello che già si sapeva, altri dieci anni e il cimitero è destinato a finire – risponde, ‘sti stronzi stanno aspettando che se ne crolla tutto ‘a p’ isso e va c’ ‘a notte». Con quale notte, però, precisamente, non glielo chiesi.

La storia di Napoli con i suoi morti non è mai stata semplice, quasi che qui si potesse vivere il principio della fine senza nessuna vergogna. Nella Napoli della peste seicentesca si gettavano i morti pandemici nella cloaca cittadina affidando alle acque piovane il compito di scaricarli in mare. Ora la barbarie con cui sono state lasciate per più di un anno a marcire le bare crollate appare più che un ricorso storico, una profezia di sventura per l’intera città; gli operatori del cimitero parlano di maledizione.

Ho provato a tracciare un punto sul legame tra la città dei vivi e quella dei morti nel 2021, quando per la rivista The Passenger facevo un po’ di calcoli: Napoli è attraversata da una delle necropoli più grandi d’Europa – 502.510 metri quadri organizzati in dieci cimiteri che in totale contengono trecento congreghe, in maggioranza di proprietà della Curia napoletana, e 6.448 cappelle private. La cittadina mortuaria è tutta allocata sulla collina di Poggioreale che a metà Settecento venne individuata dai Borbone come il luogo dove dare inizio ad una collocazione dei morti più igienica, e psicologicamente più salutare per i vivi.

Non è possibile sapere con esattezza quanti siano i morti presenti sulla collina, perché da metà del secolo scorso in poi si sono verificati innumerevoli casi di abusivismo edilizio. Il Monumentale, la zona in cui sono accaduti i crolli, costituisce la parte più antica dell’intero complesso funerario. All’inizio dell’Ottocento fu progettato come una villa con parco in cui fosse piacevole passeggiare e persino soffrire di meno il silenzio delle pietre. Allo stato attuale è una zona pericolante, che diventa inaccessibile in caso di maltempo. Qualche anno fa durante un temporale alcuni alberi si abbatterono sulle cappelle sottostanti; da allora in caso di forti piogge scatta l’allerta meteo e il cimitero chiude.

A seguito dei crolli di gennaio scorso, gli operatori cimiteriali rimasti senza impiego avevano chiesto di essere ricollocati come forza lavoro per la manutenzione di parchi e giardini, ben consci di quanto la trascuratezza manutentiva potesse arrecare ulteriori danni. La proposta è stata respinta: si è preferito tenerli nove mesi in cassa integrazione. In questo tempo di sterile gestazione, tra le attività che sono state sospese ci sono state anche quelle dell’esumazione e del deposito delle urne.

Quando a settembre il cimitero ha riaperto ci si è trovati con la lista delle operazioni cimiteriali da compiere: altra questione sulla quale non è mancato l’intervento della camurria, non per forza la criminalità organizzata, ma la mera prepotenza del singolo abituato a un’informalità illegale che, pagando una tangente, passa avanti a chi da più tempo attendeva di poter avere cura dei resti dei propri cari.

Una fantasia potrebbe suggerire che le pratiche necrotiche possano essere un elemento sul quale il Comune vuole fare cassa senza investire minimamente sulla manutenzione. Nel passaggio tra l’uscita di scena di Luigi De Magistris e l’elezione a sindaco di Gaetano Manfredi è stato deliberato un aumento dei costi di interro ed esumazione dei defunti: si tratta di tasse superiori ai 400 euro che vanno pagate all’atto dell’inumazione. A cinque anni di distanza, tempo stabilito dalla legge per procedere all’esumazione, sarà obbligatorio pagare altri 120 euro per la deposizione dei resti mortali nel loculo.

Nei mesi di chiusura del Monumentale posto sotto sequestro, centinaia di persone sono state seppellite in altri quadranti cimiteriali, e proprio in questo tempo il Comune ha deciso di operare una ridefinizione dei confini. Quando tra il 2027 e il 2028 sarà necessario procedere con le operazioni di esumazione di questi corpi, coloro che possiedono un loculo al Monumentale, per esercitare il diritto alla deposizione dei propri cari nel manufatto di cui sono proprietari, dovranno pagare una tassa di trasferimento di 246 euro; la stessa tassa che si paga per trasferire un cadavere da Napoli ad un’altra città.

A questo disordine amministrativo si aggiunge anche una serie di diatribe tra Comune e Curia, l’ultima delle quali ha riguardato la gestione delle luci. Due anni e mezzo fa la Selav, società che forniva le lampade votive, è fallita. «Non si è capito perché, hanno revocato l’appalto», mi racconta un manutentore. «A quel punto il Comune si è preso in gestione la fornitura e ha fatto presente alla Curia che con le sue congreghe sta sul suolo comunale e ha voluto i soldi pure dalla chiesa». Allo stato attuale, la Curia versa al Comune di Napoli circa 150mila euro all’anno in bollette della luce.

Cosa troviamo se ci facciamo un po’ di conti? Certamente non si può attribuire a una carenza di soldi e mezzi il mancato recupero delle salme del 5 gennaio. Il fatto che l’area sia stata posta sotto sequestro non può valere come giustificazione.
Quella che è mancata è stata la volontà; ciò che emerge è la paura di nuovi crolli. Le voci di dentro al cimitero (gli incaricati delle confraternite, le imprese edili, i seppellitori e le agenzie funebri) concordano nell’ipotizzare che non si sia intervenuti subito e con mezzi di recupero adeguati perché è molto alto il rischio che l’intera area continui a franare.

La responsabilità dei crolli a sua volta non si può addossare solo ai lavori per la nuova linea metropolitana, anche se certamente hanno fatto e fanno la loro parte in fatto di danni; basti pensare alla quantità di lesioni che si sono aperte nei palazzi limitrofi ai cantieri delle future stazioni. Il punto fondamentale è lo stato di abbandono del cimitero, l’incuria, e il cambio aggressivo di destinazione dei luoghi di sepoltura. Nelle congreghe crollate come in buona parte anche delle cappelle private, gli spazi di sepoltura progettati per il contenimento di resti mortali sono stati tramutati in tumulazioni; con la complicità di tutti, anche del singolo cittadino che nella gestione delle pratiche funerarie dovrebbe decidersi a dismettere i panni di un consumatore ignaro di pesi e misure, e quindi scevro di responsabilità.

Se un manufatto funebre ottocentesco pensato per contenere un certo numero di ossa viene convertito in deposito di salme tumulate, se lo stesso edificio non viene sottoposto a una manutenzione adeguata ma solo riempito a dismisura di bare, può mai esserci un finale diverso da questo già scritto? Chi sta tradendo chi, se non Napoli sé stessa?

Torna alla mente la storia di una religiosa del Cinquecento, Santa Giovanna Francesca de Chantal che, quando si decise alla consacrazione, passò letteralmente sopra il corpo di uno dei suoi figli che si era disteso davanti alla porta di casa per impedirne l’uscita. La vocazione è qualcosa che supera le logiche di qualunque affetto carnale. Ma nella Napoli che calpesta i propri figli non si intravede nessun orizzonte divino né promessa di bellezza. E spaventa la vocazione cui sta correndo incontro.

C’è un ulteriore elemento drammatico in questa tragedia civile: il tema della sorveglianza. Da almeno dieci anni non ci sono più controlli notturni né telecamere nei pressi dei vari varchi d’ingresso, quindi il cimitero è tempestato di furti. A essere derubati sono soprattutto i cancelli delle cappelle; in una sola notte possono sparirne anche quindici. Poi si trafuga il piombo dai tetti, e infine si saccheggiano le fioriere. Al Risorgeremo, la più grande confraternita del cimitero, in una sola nottata sono spariti duemila vasetti di rame per i fiori. Sono tutte operazioni che richiedono tempo: occorre arrampicarsi su per le scale e staccare una a una le fioriere dai loculi; servono persone complici tra coloro che gravitano all’interno del cimitero, che ti sappiano dire dove c’è ancora qualcosa da rubare; ed è utile anche il disinteresse della città dei vivi che preferisce questionare a vanvera contro il divieto di portare fiori freschi in piena estate piuttosto che ribellarsi a questi rituali di devastazione senza scrupoli.

L’anno passato, per la prima volta, il 2 novembre non c’era traffico attorno ai casamenti funebri di Poggioreale. L’affluenza dei parenti in macchina o motorino, che tradizionalmente intasa la collina, non si è verificata. È un fenomeno inedito che va registrato, il senso evidente della disaffezione per il luogo di culto. E si unisce all’assenza di partecipazione da parte della collettività al dolore del comitato dei parenti delle congreghe crollate, gli unici insieme alle autorità civili e alla Curia a presenziare al cimitero nel giorno della commemorazione dei morti, che è stata anche la data in cui simbolicamente ha avuto avvio il recupero delle salme. Una impalcatura a più livelli è stata collocata in uno degli slarghi del Monumentale, allo scopo di depositare provvisoriamente, avverbio pericoloso, chi e ciò che sarà recuperabile dalle macerie. «Sarà come mettere dei polli in gabbia», è stato il commento di uno dei parenti delle salme, osservando la tensostruttura posta davanti alla Chiesa Madre.

Mentre tento di mettere ordine tra parole e immagini che di questa decadenza mi si impressionano dentro, si affaccia la voce notturna di Peter Handke che citando Hölderlin chiede «che cosa dice il ‘povero Dio in me’ ai morti e ai loro occhi aperti? – Niente. Si fa ancora più povero».

Carmen Barbieri
Carmen Barbieri

Carmen Barbieri è scrittrice, attrice, autrice di racconti e reportage narrativi. Il suo primo romanzo è Cercando il mio nome (Feltrinelli, 2021). Per The Passenger Napoli ha scritto “Napoli Camposanto”.

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