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  • Domenica 1 gennaio 2023

Il racconto italiano «perfetto» è entrato nel pubblico dominio

“Casa d'altri” di Silvio D'Arzo, così definito da Eugenio Montale, è tra le opere che hanno appena perso il copyright

Un dettaglio dell'illustrazione di copertina della prima edizione in volume di "Casa d'altri" di Silvio D'Arzo, pubblicata nel 1953 da Sansoni
Un dettaglio dell'illustrazione di copertina della prima edizione in volume di "Casa d'altri" di Silvio D'Arzo, pubblicata nel 1953 da Sansoni
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Con il 31 dicembre di ogni anno scadono i diritti d’autore su tutte le opere letterarie scritte in Europa da persone morte 70 anni prima. Dal primo gennaio quindi chiunque può pubblicare tali opere senza dover compensare gli eredi dei loro autori, ed è libero di diffonderle online nella loro interezza per permettere ad altri di leggerle gratuitamente. Si dice che le opere in questione entrano nel pubblico dominio e oggi è toccato a quelle di scrittori e scrittrici morti nel 1952. Uno di loro è Silvio D’Arzo, la cui opera più nota è Casa d’altri, spesso citato come il racconto italiano «perfetto».

Durante i corsi di scrittura vengono definiti “perfetti” quei racconti considerati esemplari sia di una costruzione narrativa efficace, che riesce a dire qualcosa di significativo in uno spazio limitato, sia di stile. Di solito si tratta di racconti di scrittori americani del Novecento, come Ernest Hemingway e Raymond Carver, o come la canadese Alice Munro, che fanno parte di un’affermata tradizione di narrativa fatta di racconti, la stessa tradizione da cui vengono i corsi di scrittura creativa. Come esempio italiano viene spesso citato Casa d’altri, che fu definito per la prima volta «racconto perfetto» da una persona molto autorevole: il poeta e premio Nobel per la Letteratura Eugenio Montale.

Questa citazione è abbastanza diffusa, tanto che cercando online «racconto perfetto letteratura italiana» si trovano subito riferimenti a Casa d’altri. Comprensibilmente infatti è stata usata più volte per pubblicizzare le edizioni delle opere di Silvio D’Arzo, che è un autore generalmente poco conosciuto.

La scarsa notorietà di D’Arzo è dovuta principalmente al fatto che ebbe una vita breve, essendo morto a soli 32 anni di leucemia, e che in vita non ebbe grande successo con i brevi romanzi che pubblicò (e di solito sono proprio i romanzi la forma narrativa che contribuisce di più alla popolarità degli scrittori). Silvio D’Arzo non era il suo vero nome, ma solo uno dei vari pseudonimi con cui firmava i propri racconti. Si chiamava Ezio Comparoni e il cognome “D’Arzo” era ispirato alle sue origini: era nato e cresciuto a Reggio Emilia e in dialetto “d’Arzan” significa “di Reggio”.

Era figlio di una donna non sposata originaria di Cerreto Alpi, sull’Appennino reggiano, e non seppe mai chi fosse suo padre, cosa che lo fece soffrire molto. Nel 1941, durante la Seconda guerra mondiale, si laureò all’Università di Bologna con una tesi in glottologia e l’anno successivo partì per il servizio di leva. Dopo l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio tra l’Italia e i paesi Alleati, fu fatto prigioniero dai tedeschi a Barletta, in Puglia, ma riuscì a fuggire e a tornare a Reggio Emilia. Sia prima che dopo la guerra lavorò come insegnante, scrivendo nel tempo libero.

Casa d’altri è lungo all’incirca 45 pagine di un tascabile cartaceo ed è ambientato in un paese sperduto nell’Appennino emiliano. Il protagonista e narratore è un parroco senza nome di più di 60 anni, piuttosto disilluso dalla vita, che si descrive dicendo di avere «una corporatura e una faccia alla Falstaff». La trama è abbastanza semplice: una parrocchiana misteriosa, una lavandaia che vive isolata ed è altrettanto anziana, si comporta in un modo strano che suggerisce chiaramente al parroco che lei vorrebbe chiedergli qualcosa. Per tutto il racconto il parroco cerca di farsi dire cosa, per aiutarla come prevede il suo ruolo, ma si scontra con una reticenza montanara che lo porta a fare una specie di gioco di strategia con la donna.

Il racconto è scritto con uno stile molto particolare, in prima persona, un po’ come se fosse una confessione. Questa ad esempio è una parte di un dialogo tra il parroco e un prete giovane appena assegnato alla montagna e pieno di voglia di fare, nelle prime pagine di Casa d’altri:

Coi miei sessant’anni passati e quelle scarpe slacciate lì in terra, non c’era per niente pericolo che potessi passare per cinico.
«Sì. Qui non succede niente di niente. E neppure a Braino, vedrete. E neppure in tutta quanta la zona fino quasi alla valle. Gli uomini sono ai pascoli, adesso, e non tornano prima di notte: qualcun altro sta verso le torbe, e le donne a far legna qua e là. Se vi affacciate un momento in istrada, tutt’al più riuscirete a trovare una vecchia a soffiar sui fornelli. Sempre che abbiate fortuna… O una capra. Magari anche solo una capra. (In certo senso le padrone del paese son loro: stanno affacciate perfino sugli usci a godersi il passeggio se c’è). E fra due settimane non troverete più neanche quelle. L’inverno viene presto da noi, e dura quasi mezz’anno.»
Non mi doveva credere molto, e benevolmente anche un po’ disprezzarmi.
«Alludevo alla gente… agli uomini», precisò lui civilmente.
«Ah, la gente. La stessa cosa anche lì. La vecchia storia del medico condotto anche lì. Il ragazzo arriva su fresco fresco con il suo centodieci e la lode e s’immagina di fare chissà: gli piace anche di fare un po’ il martire. A certa gente – per un po’, si capisce – il martirio non spiace per niente. Sul momento gira tutta la montagna col mulo, entra in tutte le stalle e via ancora. E oltre a tutto, per tenersi informato, s’abbona anche a tre o quattro riviste.»
Votai il mio bicchierino di grappa. E anche lui sfiorò il suo con le labbra, ma appena appena, così, come farebbe uno scoiattolo giovane.
«Poi s’accorge che non ci sono che casi d’artrite: sciatiche e artriti e nient’altro… Allora non gli resta che prescrivere jodio, e ingrassare.»
Mi rispose semplicemente guardandomi.
«Sì, come me. Esattamente.»
“Per carità», mi sorrise. «Non volevo dir questo »
«Beh, posso anche capirvi», dissi io: un po’ troppo paternamente ho paura. Ma il ragazzo non era tipo da accettare regali del genere.
Si alzò sorridendo.
«Certo, bisognerà darsi d’attorno», concluse ignorandomi con urbanità. «Bisogna cercare mezzi nuovi. Ogni tempo richiede il suo mezzo, trovate?»
Aveva ragione, d’accordo, e io avrei potuto tranquillamente dirgli di sì. Il fatto è che lui aveva troppa ragione, e questo per me è su per giù come aver torto e anche peggio. E poi c’erano tante altre cose. Gli risposi in tutt’altra maniera.
«Una cosa», dissi io. «Siete mai stato in un paese di monte, su per giù come questo diciamo, per un mese continuo di pioggia?»
Mi guardò un po’ stupito. Non più di tanto, a ogni modo, e mi pare anche un po’ divertito.
«E magari due mesi di neve? Neve-neve, mi spiego. Certamente non come in città o come a valle.»
Aspettò dove andavo a finire.
«Io invece sì, ci son stato. E per più di trent’anni. Più di trenta Natali, sapete?»
Davvero aveva dei numeri, l’uomo. Riuscì a guardarmi con la più deferente diffidenza del mondo. Adesso, dovevo sembrargli un curioso esemplare di tipica fauna locale, neanche troppo antipatico in fondo: l’ultimo dei Mille o la vecchia domestica sorda che ha servito cent’anni in città dalla stessa famiglia.
«E che cosa succede?» mi chiese unicamente per educazione.
«Niente, v’ho detto. Non succede niente di niente» cercai di rifarmi. «Solo che nevica e piove. Nevica e piove e niente altro.» E finalmente trovai anche il coraggio d’infilarmi di nuovo le scarpe. L’amico ebbe la delicatezza di voltarsi a guardare il cappello.
«E la gente» conclusi «se ne sta giù nelle stalle a guardare la pioggia e la neve. Come i muli e le capre. Così.»
Dalla porta ci fermammo un momento. Qualche cosa doveva pur dirmi. Una capra mise dentro la testa: ci considerò un po’ delusa e se ne andò via come uno di casa. Sarebbe tornata più tardi.
«Vedete?» dissi io ancora una volta, seguendo con gli occhi la capra. «Niente di niente. Ecco qui.»
«Beh, qualche volta possono succedere anche incontri del genere. Come quello con lei di quest’oggi», sgusciò lui sorridendo. «E già qualcosa quassù. Mille grazie.»
Scese giù dalla parte di Braino. A sinistra voltò. Era svelto e slanciato e tutto vestito di nuovo. Sì: diciott’anni, evidente. La più giovane cosa del mondo. O anche la più vecchia: chissà.

La più recente edizione di Casa d’altri è stata pubblicata da Bompiani nel 2020 e raccoglie anche altri racconti di D’Arzo. Bompiani ha pubblicato anche il libro per ragazzi Il pinguino senza frac e altri racconti e il romanzo Essi pensano ad altro, pubblicato per la prima volta postumo nel 1976. Einaudi ha invece pubblicato, sempre nel 2020, il romanzo per ragazzi incompiuto Gec dell’avventura, per cui lo scrittore Eraldo Affinati, estimatore di D’Arzo, ha accettato di scrivere un finale. Altre opere di D’Arzo si trovano in edizioni di editori più piccoli.

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Oltre alle opere dello scrittore reggiano, oggi sono entrate nel pubblico dominio anche quelle di un altro autore italiano che usava uno pseudonimo: Alberto Savinio, cioè Andrea de Chirico (1891-1952), fratello del pittore Giorgio. Savinio era uno scrittore eclettico, autore soprattutto di testi sperimentali, che spesso mescolavano fantastico, parodia e citazioni, con un personale stile surrealista. Ad esempio il suo libro d’esordio, Hermaphrodito, mette insieme parti in prosa e parti poetiche.

Tra gli autori stranieri morti nel 1952 quello più noto è probabilmente il norvegese Knut Hamsun (1859-1952), vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1920. Uno dei suoi libri più famosi è Fame, un romanzo autobiografico che parla di uno scrittore che resta senza soldi e per questo vive senza dimora nella Oslo di fine Ottocento (all’epoca ancora chiamata Christiania), patendo la fame. Nel 2017 la casa editrice italiana Iperborea, specializzata in lingue nordiche, ha incluso il suo La regina di Saba, il cui protagonista si innamora di una donna che gli ricorda un dipinto, tra i dieci libri più rappresentativi delle letterature scandinave raccolti in una collana celebrativa. Molti altri libri di Hamsun sono facili da trovare in traduzione italiana, ma i diritti d’autore sulle traduzioni non sono per forza scaduti: anche quelli durano 70 anni dalla morte del traduttore o della traduttrice.