Ci sono sempre più film italiani costosi e ambiziosi

I contributi pubblici sono aumentati e c'è l'esigenza di vendersi anche all'estero, ma al cinema non incassano granché

di Gabriele Niola

(“Diabolik”)
(“Diabolik”)
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A partire dagli anni Dieci del Duemila, i budget per la produzione dei film italiani hanno cominciato a crescere con regolarità, e tra il 2017 e il 2019 l’incremento è diventato particolarmente evidente. Dal 2020, con la pandemia e i cinema chiusi per molti mesi durante i lockdown, la crescita si è fermata, ma i budget sono rimasti elevati come mai era successo negli ultimi 40 anni. In particolare sono aumentate nel numero le produzioni più grandi, i film ambiziosi e dal costo superiore ai 10 milioni di euro totali, budget una volta riservato a casi isolati e oggi non più.

Secondo le rilevazioni annuali dell’ANICA (l’Associazione nazionale delle industrie cinematografiche audiovisive e digitali) nel complesso il costo dei film italiani è passato da 263 milioni di euro totali nel 2017 a 381 milioni nel 2018, per arrivare a 457 milioni nel 2019 (l’anno del picco) e tornare a 348 milioni di euro nel 2020. Se da una parte la spesa media per i film era aumentata negli anni precedenti alla pandemia – 1,4 milioni di euro nel 2017, 1,7 milioni nel 2019 e poi di nuovo 1,4 milioni nel 2020 – è cresciuto anche il numero complessivo delle produzioni: 184 nel 2017, 264 nel 2019 e poi 238 e 242 nel 2020 e 2021.

Ma l’aspetto che emerge solo considerando più nel dettaglio i dati complessivi dell’industria cinematografica italiana è quanto siano aumentate le grandi produzioni. Di film costosi in Italia se ne sono sempre fatti, ma venivano considerate eccezioni rischiose: oggi invece i film italiani frutto di investimenti assai ambiziosi sono una categoria a sé.

Quelle sui budget dei singoli film sono in larga parte stime: perché non esiste l’abitudine a diffondere pubblicamente i dati, e perché spesso anche tra gli stessi produttori non c’è accordo sulla cifra esatta, in cui a volte vengono fatte rientrare determinate spese e a volte no. Ma è possibile comunque individuare con un certo grado di sicurezza i film costati più di 10 milioni di euro: tra il 2021 e il 2022 sono usciti nei cinema e sulle piattaforme di streaming Freaks Out di Gabriele Mainetti, costato all’incirca 15 milioni di euro, due film su Diabolik (entrambi dei fratelli Manetti usciti nel 2021 e 2022) costati più o meno la stessa cifra, Dampyr (tratto dal fumetto della casa editrice Sergio Bonelli, uscito nel 2022 e diretto da Riccardo Chemello) e Rapiniamo il Duce (2022, di Renato De Maria), il cui budget era di circa 12 milioni di euro ciascuno.

A questi si aggiungono molti altri film che hanno superato questa soglia simbolica, come L’ombra di Caravaggio (2022, di Michele Placido), L’immensità (2022, di Emanuele Crialese) e Siccità (2022, di Paolo Virzì). Anche una commedia natalizia come Chi ha incastrato Babbo Natale?, con Alessandro Siani e Christian De Sica, è costata più del solito (8 milioni di euro) e lo stesso vale per film di ambizioni più contenute come La stranezza e I fratelli De Filippo (9 milioni ciascuno).

Per quanto sia difficile stimare il costo di una produzione prima che sia terminata, rientreranno probabilmente tra quelli che supereranno i 10 milioni anche altri film in questo momento in lavorazione e che saranno distribuiti nel 2023: Adagio di Stefano Sollima (con Pierfrancesco Favino, Toni Servillo e Valerio Mastandrea), Il comandante di Edoardo De Angelis (con Pierfrancesco Favino) e The Palace di Roman Polanski (una coproduzione internazionale a maggioranza italiana).

Budget complessivo dei film a produzione italiana (elaborazione dati: Direzione Cinema, MiBACT, fonte: ANICA)

Costi così alti sono dovuti a un insieme di fattori e non sempre sono identificabili in una sola spesa. Un film come Il comandante ha richiesto la costruzione da zero di un sottomarino del 1940 a grandezza naturale in acciaio, che da solo è costato 1,4 milioni di euro. Il primo re (circa 9 milioni di budget) aveva richiesto la costruzione di un intero villaggio primitivo, effettivamente abitabile e il trasporto di una specie rara di cervo dalla Romania per una sequenza onirica.

Il più delle volte però ad alzare i costi è il tempo, cioè il grande impiego di un buon numero di attori rinomati e quindi costosi (è il caso di Adagio, che impiega tre degli attori più costosi del cinema italiano come protagonisti), oppure la lunghezza delle riprese di molte scene spettacolari che richiedono un gran lavoro da parte di molte persone, o ancora la presenza di un gran numero di comparse e stuntmen specializzati (è stato il caso di Freaks Out, il cui scontro finale ha richiesto molto tempo). Infine per quasi tutti questi film c’è una fase di post-produzione digitale di alto livello che può durare anche un anno: è quando a riprese finite si lavora sugli effetti visivi in computer grafica.

Che ragioni ha l’aumento dei budget
Le cause di questo aumento sono diverse ma ruotano intorno a due principali cambiamenti: la Nuova Legge Cinema del 2016 e, paradossalmente, il calo degli incassi in sala dei film italiani.

Il decreto promosso cinque anni fa da Dario Franceschini, allora ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, aumentò la disponibilità di fondi pubblici per il cinema italiano regolandone la distribuzione. Inoltre potenziò le agevolazioni fiscali, sistemando la situazione del contributo statale alla produzione in una maniera che è stata ritenuta molto soddisfacente dalla maggior parte dei produttori.

Furono aumentati gli stanziamenti disponibili, creando un fondo che aumenta di anno in anno con l’aumentare della produzione (perché nel fondo confluisce l’11% delle tasse pagate dal settore), ed è stato potenziato il tax credit, cioè una forma di sgravio fiscale per le produzioni che può arrivare anche al 40% delle spese sostenute. Il tax credit è uno strumento considerato automatico, cioè può accedervi qualunque produzione rispetti i criteri (che includono una distribuzione in sala canonica, cioè che passi prima in sala e aspetti almeno 90 giorni per le altre forme di sfruttamento, e una spesa minima in territorio italiano). Il fondo invece è selettivo, e vi si può accedere per meriti commerciali (il successo al box office), internazionali (le vendite all’estero) o artistici (la selezione o la vittoria in festival internazionali) delle società e persone coinvolte. Questo senza contare i contributi riservati ad opere prime o seconde, cioè destinati ai film di registi esordienti o al secondo lavoro.

Contemporaneamente a questo aumento di sovvenzioni, il progressivo calo di incassi dei film italiani in sala, che va avanti almeno dalla metà degli anni Dieci, ha portato alla necessità di produrre film per un pubblico non solo italiano. I soggetti, le trame e lo stile scelti per molti film italiani sono pensati sempre meno per il solo pubblico domestico: registi e case di produzione sono sempre più attenti ai gusti del pubblico straniero. Tra le altre cose, questo comporta un maggiore impiego dei pochi attori italiani dotati di una notorietà internazionale.

Tutto questo richiede budget superiori a quelli cui era abituato il cinema italiano fino a qualche anno fa. Secondo una ricerca commissionata da ANICA a eMedia, tra il 2017 e il 2021 i film italiani che hanno avuto una distribuzione in altri paesi sono raddoppiati, passando da una percentuale compresa tra il 23 e il 28% del totale a una tra il 40 e il 49%. In questo aumento hanno influito anche le produzioni delle piattaforme di streaming, che generalmente sono disponibili in tutti i paesi in cui queste sono presenti.

In linea con questa tendenza sono aumentate anche le coproduzioni, cioè i film che impiegano capitali e quindi maestranze (dagli attori ai tecnici) di più paesi differenti. Tra il 2013 e il 2016 per le coproduzioni italiane erano stati stanziati in totale 41 milioni di euro, mentre tra il 2017 e il 2021 sono stati 92 milioni. L’incremento più marcato si è verificato tra il 2019 e il 2020, quando l’ammontare è passato da 14 a 55 milioni di euro (quindi la cifra del 2020 da sola è superiore al totale dei quattro anni tra 2013 e il 2016).

Percentuale dei film italiani prodotti ogni anno che hanno avuto una distribuzione estera (elaborazioni eMedia su dati DGCA-MIC per le coproduzioni 2017 – 2020 e stime eMedia su dati PRCA e dichiarazioni degli operatori del settore)

Sia l’aumento dei budget sia l’esigenza di una maggiore circolazione internazionale hanno cambiato anche i generi bazzicati dai film italiani. Se fino al 2015 circa le produzioni italiane erano per la maggior parte commedie o film drammatici, oggi è molto aumentata la quantità di film che fanno riferimento a generi più specifici e dal comprovato successo internazionale. Film di supereroi o tratti da fumetti, come Dampyr, Diabolik e Freaks Out, film di guerra come Il comandante o Il sergente nella neve (che doveva essere girato in Russia e la cui produzione è saltata a causa dell’invasione in Ucraina), polizieschi, musical, horror e via dicendo.

Come si finanziano i film italiani più costosi
Nonostante abbiano ambizioni commerciali, il ritorno economico di queste produzioni non è legato ai biglietti venduti. Da decenni la maniera in cui si produce in Italia (e per molti versi in quasi tutti i paesi d’Europa che non sono anglofoni) è infatti diversa dal modello anglosassone, che invece dipende esclusivamente dall’incasso nei cinema.

Nonostante ognuno di questi grandi film abbia una storia produttiva a sé e non esista un modello unico, si può dire che in linea di massima qualsiasi film italiano viene prodotto con i costi coperti, cioè avendo già trovato o sapendo dove trovare tutti i soldi di cui si ha bisogno. Buona parte viene dai fondi pubblici (sia il tax credit automatico, che i contributi selettivi se il film può accedervi) e dai fondi regionali, una forma di contributo pubblico diverso da quello nazionale che attinge a stanziamenti che dipendono e variano da regione a regione, a seconda dell’investimento che l’amministrazione locale decide di fare.

Regioni come la Puglia, il Trentino e in passato il Piemonte hanno molto investito nell’audiovisivo, attirando diverse produzioni con fondi generosi, nonostante il Lazio rimanga la regione che investe maggiormente, sia per la presenza degli studi di Cinecittà che per tradizione (fino a qualche decennio fa i film italiani si giravano quasi tutti a Roma). Ai fondi di una regione si accede spendendo soldi in quella regione, sia per l’impiego di professionalità o maestranze locali che per la logistica, quindi per gli hotel che ospitano la produzione o i ristoranti per il catering sul set, o ancora per le società di post-produzione. Molti film sono girati in più regioni o si appoggiano a studi di effettivi visivi di una certa regione proprio per poter accedere a più fondi.

Infine, se si parla dei film con i budget più alti, molto spesso una quota consistente di quei costi li sostiene Rai Cinema, che è una società di produzione dotata di fondi propri di cui disporre. La missione di Rai Cinema è promuovere e sostenere il cinema italiano, quindi i suoi contributi si trovano in tantissimi film: alle volte sono piccoli (vale ad esempio per molti film di scarse ambizioni commerciali e più “festivaliere”, cioè pensati soprattutto per finire nel circuito dei festival del cinema), in altri casi sono medi (le classiche commedie) e in alcuni sono altissimi.

In quest’ultima categoria rientrano sempre più film. I finanziamenti di Rai Cinema hanno contribuito ai budget di Freaks Out, Diabolik o Il comandante, in quest’ultimo caso per il 40%, spiega Nicola Giuliano, il fondatore della casa di produzione Indigo Film. «Che non è inusuale» per queste grandi produzioni, aggiunge.

Le singole società di produzione che si occupano di realizzare i film, quindi, di solito non investono in prima persona, se non minimamente o nella forma di un anticipo in attesa dello stanziamento dei fondi pubblici (cosa che costituisce comunque una forma di rischio, perché spesso si parte senza conoscere con certezza la cifra che lo stato concederà).

E al pubblico piacciono, questi film?
Nonostante un aumento dei valori produttivi e della qualità percepita, quella che ha un riscontro tecnico e pratico che si può vedere sullo schermo, e che viene generalmente riconosciuta dalla critica, questi film dai budget così consistenti e inediti solo in casi molto rari sono stati dei successi al cinema.

I film italiani più spettacolari e costosi al momento ottengono incassi al di sotto delle aspettative, e questo sebbene i film che più velocemente stanno tornando a incassi paragonabili a quelli del 2019 siano proprio i blockbuster stranieri a cui questo cinema italiano si ispira. Al momento si può dire che nessuna produzione importante e costosa italiana abbia trovato un numero di spettatori in sala proporzionato all’investimento, e questo anche considerando la fatica che i cinema stanno facendo a riprendersi dal calo di pubblico dovuto alla pandemia.

Freaks Out, costato 15 milioni di euro, ne ha incassati 2,5, Diabolik lo stesso, Dampyr, costato 12 milioni, ha incassato molto meno di un milione. Il pubblico italiano che va al cinema sembra non esserne attratto (i dati del loro sfruttamento sulle piattaforme invece non sono noti), mentre gli preferisce film più tradizionali con attori molto famosi come La stranezza, che per gli ottimi incassi è considerato il caso commerciale del cinema italiano del 2022, che mette insieme Toni Servillo con Ficarra e Picone, in una storia con protagonista Luigi Pirandello.

Non essendo però l’incasso in sala il momento in cui una produzione si ripaga dei suoi costi, ed essendo questi in gran parte già coperti prima che si inizi a preparare il film, il profitto delle società di produzione viene tutto dalle vendite dei diritti televisivi (sia che il film finisca su piattaforme a pagamento oppure gratuite) o dei diritti di distribuzione nei vari paesi del mondo che comprano il film. Il ricavato di queste vendite può arrivare in parte subito, nella forma di una prevendita se il film è così promettente o coinvolge nomi così noti da poter essere comprato già sulla carta, e in questi casi di fatto contribuisce alla produzione; oppure può arrivare a film finito, perché magari per venderlo si preferisce aspettare la selezione ad un festival che ne aumenti il valore.

La questione dello scarso interesse del pubblico delle sale nei confronti di questi film, spesso molto spettacolari e per questo in teoria attraenti, è molto dibattuto all’interno dell’industria italiana. La disaffezione verso il cinema italiano dopo molti anni in cui è stato incapace di cambiare e rinnovarsi per continuare ad essere attraente per un pubblico diverso e più giovane è una causa tra le più citate. Altre sono una scarsa competenza di sceneggiatori e registi, che molto spesso non hanno una carriera in questi generi e non ne conoscono perfettamente meccanismi e finalità, ma anche un livello produttivo insufficiente nonostante i budget alti. I film italiani ambiziosi e spettacolari costano di più, ma non abbastanza per competere con i rivali internazionali.

Al momento la risposta di tutti i soggetti dell’industria audiovisiva a questa fatica nel riconquistare il pubblico italiano è di non fermarsi, ma continuare a produrre e tentare di trovare strade italiane, stili, modalità di produzione o anche generi e sottogeneri che attirino il pubblico e siano apprezzati.