• Mondo
  • Domenica 11 dicembre 2022

In Thailandia i macachi sono usati per raccogliere noci di cocco

L'organizzazione animalista PETA lo denuncia da anni, invitando a boicottare chi vende latte di cocco prodotto nel paese

Un macaco usato per raccogliere noci di cocco in Thailandia (PETA Asia)
Un macaco usato per raccogliere noci di cocco in Thailandia (PETA Asia)
Caricamento player

In Thailandia macachi catturati nelle foreste o allevati in cattività vengono addestrati a raccogliere le noci di cocco e poi sfruttati nelle piantagioni di palme. È noto da anni e a novembre l’organizzazione animalista PETA ha diffuso i risultati della sua ultima indagine in merito. Nonostante nel 2019, dopo una prima inchiesta, il governo thailandese avesse smesso di pubblicizzare le “scuole” in cui le scimmie sono addestrate nel suo sito dedicato al turismo, non ha fatto nulla di concreto per ridurre lo sfruttamento degli animali, che appartengono a una specie, i macachi nemestrini settentrionali (Macaca leonina), ritenuta vulnerabile all’estinzione.

La Thailandia è il nono paese al mondo per la produzione di cocco e il terzo per l’esportazione. Negli ultimi anni l’aumento del consumo di bevande alternative al latte vaccino ha peraltro fatto aumentare la richiesta del cosiddetto latte di cocco, uno dei prodotti che si ottengono con le noci di cocco, e si prevede che continuerà a farlo.

È da circa un secolo che i macachi sono usati nelle piantagioni di cocco, non solo in Thailandia ma anche in alcuni altri paesi del sud-est asiatico, come l’Indonesia e la Malesia. Vengono sfruttati perché sono in grado di arrampicarsi agilmente in cima alle palme, che hanno altezze comprese tra i 20 e i 30 metri, e in un giorno riescono a staccare e far cadere a terra molte più noci di cocco di una persona: tra le 500 e le 1000 invece di alcune decine. L’uso dei macachi è tradizionalmente ritenuto più sicuro perché per recuperare in autonomia le noci di cocco in modo manuale una persona deve usare un lungo palo con un coltello fissato in alto, e avvicinarsi molto alle palme: può rischiare di essere colpito dalle noci, una volta staccatesi dall’albero.

Esistono degli strumenti più tecnologicamente avanzati per la raccolta umana delle noci di cocco, che permettono alle persone di salire velocemente e in sicurezza sulle palme, ma sono tuttora poco diffusi.

Secondo la più recente indagine di PETA, realizzata dal dicembre del 2021 al luglio del 2022 in nove regioni thailandesi, molti dei macachi usati nelle piantagioni di cocco subiscono varie forme di abuso nelle “scuole” in cui vengono addestrati ad arrampicarsi sulle palme e a staccare le noci prima di essere venduti ai raccoglitori di cocco. I membri di PETA hanno visto che le giovani scimmie vengono addestrate con metodi violenti e tra le altre cose hanno filmato un addestratore che frustava un animale e lo faceva dondolare tenendo la catena legata al collo. Le scuole possono anche essere visitate dai turisti pagando un biglietto.

Quando non stanno lavorando le scimmie sono spesso tenute incatenate o trasportate in piccole gabbie. Ad alcune vengono rimossi i denti canini per evitare che mordano le persone con cui hanno a che fare. In generale vivono in un contesto molto diverso da quello che sarebbe naturale per la loro specie, anche perché sono generalmente tenute separate dai propri simili: i macachi sono animali sociali, vivono in branchi, e per questo l’isolamento che sperimentano potrebbe essere l’aspetto più dannoso per il loro benessere.

Secondo quanto spiegato da alcuni raccoglitori di cocco ai membri di PETA, ogni macaco viene fatto lavorare per una decina d’anni e poi mandato “in pensione”: in alcuni casi vengono mantenuti in cattività, legati, in altri sono liberati nella foresta, dove però sopravvivono poco perché avendo sempre vissuto con gli umani non sono in grado di procurarsi il cibo.

L’anno scorso il gestore di un centro di addestramento per macachi, Arjen Schroevers, aveva detto al National Geographic che i resoconti di PETA non sono veritieri, che alle scimmie l’addestramento piace e che non subiscono violenze: «I tanti proprietari di scimmie che conosciamo lavorano molto tranquillamente con loro, non urlano e non le picchiano». Schroevers inoltre negava che i canini dei macachi siano rimossi e diceva che dato che gli animali si stressano quando vedono persone sconosciute è normale che appaiano agitate quando sono filmate dagli animalisti.

In Thailandia sarebbe vietato possedere macachi nemestrini a meno che non siano nati in cattività, da genitori già allontanati dalla vita naturale della specie. Secondo Edwin Wiek, un attivista per i diritti animali che fa consulenze al parlamento del paese, circa la metà delle scimmie impiegate nelle piantagioni sono state catturate in natura da molto giovani e dunque sono possedute illegalmente. Nessuno viene però perseguito per questo reato. Le leggi thailandesi sul maltrattamento degli animali riguardano solo quelli domestici e per questo è difficile perseguire chi commette abusi evidenti.

Nel 2021 Wiek stimava che le scimmie usate nelle piantagioni di cocco nel sud della Thailandia fossero circa tremila e notava come la situazione sia comunque migliorata ultimamente, con la diffusione di nuove sensibilità sull’uso degli animali per svolgere delle mansioni e sulla loro sofferenza: 15 anni fa erano almeno 15mila le scimmie impiegate. PETA ritiene che per abbassare ulteriormente questo numero il governo thailandese dovrebbe sussidiare l’acquisto di attrezzature per la raccolta umana delle noci di cocco.

L’organizzazione animalista dice che le autorità thailandesi non stanno facendo granché per contrastare lo sfruttamento dei macachi (alcune agenzie governative negano che sia praticato, altre dicono che fa parte delle tradizioni thailandesi). Secondo una stima della Mordor Intelligence, una società di studi di mercato indiana citata dal National Geographic, dal 2019 al 2021 ci sono però stati cali fino al 30 per cento delle vendite di prodotti a base di cocco. Inoltre il Consiglio nazionale delle ricerche thailandese ha permesso uno studio condotto da un gruppo di ricercatori internazionali, pubblicato nel settembre del 2021 e avente come prima autrice una ricercatrice dell’Università di Oxford: pur senza affermare che non dovrebbero essere utilizzati per lavorare, dice che i bisogni specifici dei macachi usati per la raccolta delle noci di cocco non sono soddisfatti.

Intanto PETA continua a invitare al boicottaggio delle aziende che usano cocco proveniente dalla Thailandia per i propri prodotti.