Ascesa e declino degli spermatozoi

Negli ultimi 45 anni la quantità di spermatozoi si è più che dimezzata, dice una nuova discussa analisi, ma valutarne le cause e l'impatto sulla fertilità maschile non è semplice

(Deon Black | Unsplash)
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Secondo una nuova analisi condotta in Israele e negli Stati Uniti, gli uomini hanno sempre meno spermatozoi a conferma di un fenomeno che era già stato rilevato in un grande e discusso studio pubblicato nel 2017. Tra il 1973 e il 2018 in media la quantità di spermatozoi nello sperma umano si è più che dimezzata riducendosi dell’1 per cento circa ogni anno fino al 2000, quando si è iniziata a registrare una riduzione annuale ancora più marcata, di oltre il 2,6 per cento.

La nuova analisi, pubblicata questa settimana sulla rivista scientifica Human Reproduction Update, è basata sui dati provenienti da 53 paesi del Sudamerica, dell’Asia e dell’Africa, aree geografiche per le quali non c’erano molti dati per il precedente studio pubblicato nel 2017. Secondo il gruppo di ricerca, la riduzione di spermatozoi in quelle parti del mondo è comparabile a quella che era stata rilevata in Europa, Australia e nel Nord America. Lo studio non esamina le cause di questa riduzione, ma porta nuovi dati importanti per dare una dimensione al fenomeno, esplorato da oltre 50 anni.

Il liquido seminale, o sperma, è composto da varie sostanze che favoriscono il mantenimento e i movimenti degli spermatozoi, le cellule gametiche maschili che hanno il compito di raggiungere l’ovulo (gamete femminile) e di fecondarlo, innescando il processo che porta alla gravidanza.

A ogni eiaculazione, un uomo adulto produce tra gli 1,5 e i 5 millilitri di sperma con una concentrazione di spermatozoi per millilitro che varia molto, a seconda delle condizioni di ogni soggetto: l’Organizzazione mondiale della sanità indica come normali i valori superiori ai 15 milioni di spermatozoi per millilitro. Una quantità ridotta di spermatozoi può influire sulle capacità di fecondazione, anche se non devono essere esclusi altri fattori come la capacità dei singoli spermatozoi di muoversi, e di farlo con una velocità sufficiente per raggiungere l’ovulo.

I primi studi che segnalavano una riduzione degli spermatozoi furono pubblicati tra gli anni Settanta e Ottanta, ma all’epoca non era ancora molto chiara la portata del fenomeno. Nella comunità scientifica si discusse molto sui risultati di quelle ricerche, anche perché altri studi non avevano rilevato particolari declini o una generale riduzione della qualità dello sperma. Non esistevano inoltre standard condivisi per valutare la dimensione del problema, e proprio per questo l’Organizzazione mondiale della sanità avviò alcune iniziative, in modo da trovare riferimenti comuni per gli studi sull’infertilità maschile.

Grazie al maggior coordinamento tra i ricercatori e ad alcuni importanti progressi nei sistemi di analisi, a partire dagli anni Novanta furono pubblicate ricerche più approfondite e affidabili, che segnalavano una riduzione nella concentrazione di spermatozoi. Uno dei lavori più importanti fu pubblicato in Danimarca nel 1992 e mise a confronto i principali studi sul tema prodotti fino ad allora, concludendo che nei 50 anni precedenti ci fosse stata una sensibile riduzione di spermatozoi e quantità di sperma prodotto. L’analisi portò a un’ampia serie di nuove ricerche, non solo sul funzionamento dell’apparato riproduttivo maschile, ma anche sulle implicazioni psicologiche e sociali di una fertilità in declino.

Nel 2017 una meta analisi, cioè una analisi di numerosi studi sul tema pubblicati negli anni condotta presso l’Università ebraica di Gerusalemme, rilevò una riduzione del 52,4 per cento nella concentrazione di spermatozoi e del 59,3 per cento nella quantità di spermatozoi tra il 1973 e il 2011. Analisi pubblicate in seguito da altri centri di ricerca avrebbero portato a dati simili, in alcuni casi con percentuali più basse, a conferma del fenomeno. Anche lo studio da poco pubblicato sui paesi del Sudamerica, dell’Asia e dell’Africa ha confermato la riduzione degli spermatozoi.

(Hagai Levine et al., Human Reproduction Update)

In tempi recenti altri studi si sono dedicati all’analisi della motilità degli spermatozoi, che come abbiamo visto è un altro fattore importante per la fertilità. Uno studio pubblicato nel 2019 aveva rilevato che la quantità di uomini con una normale motilità degli spermatozoi si era ridotta del 10 per cento rispetto a 16 anni prima. Nel complesso, la maggioranza degli studi segnala quindi che gli uomini di oggi producono meno spermatozoi rispetto a un tempo, e che questi sono nel complesso meno in salute.

L’argomento viene ripreso periodicamente da giornali e televisioni, spesso con titoli allarmistici, nonostante a oggi non siano chiare né le cause né le implicazioni di questa cosiddetta “crisi dell’infertilità maschile”. Negli anni sono state pubblicate molte ricerche per esplorare le possibili cause, alcune si sono concentrate su fattori di rischio per la salute come l’obesità e il diabete, altre sugli stili di vita e l’esposizione a particolari sostanze.

È noto da tempo che alcune di queste possono causare sbilanciamenti ormonali, che comportano poi conseguenze per la fertilità. I loro effetti sono stati riscontrati in laboratorio sugli animali, mentre è più difficile valutarli sugli esseri umani non potendo condurre esperimenti in cui vengono esposti a quelle sostanze. I gruppi di ricerca possono comunque trovare qualche indizio analizzando le sostanze presenti negli ambienti in cui vivono le persone che sono poi sottoposte ai test per la fertilità. Non è una scienza esatta, ma permette di raccogliere elementi importanti.

Le analisi si concentrano spesso sugli “interferenti endocrini”, molecole che possono avere effetti simili agli ormoni che regolano varie funzionalità del nostro organismo, comprese quelle legate alla riproduzione. Ce ne sono moltissimi negli oggetti e talvolta negli alimenti con cui siamo in contatto ogni giorno, per questo il loro utilizzo è regolamentato e viene tenuto sotto controllo per limitare i rischi. Non potendone stimare con certezza gli effetti, le autorità sanitarie e i governi adottano spesso principi di precauzione, limitando entro determinate soglie le quantità delle sostanze ritenute a rischio. Anche l’inquinamento atmosferico, dovuto soprattutto alle attività umane, può avere conseguenze sul nostro organismo e sulla fertilità.

L’eccessivo consumo di alcol, il fumo, la scarsa attività fisica e in generale gli stili di vita poco sani possono influire sulla riduzione degli spermatozoi. L’obesità è un fattore di rischio spesso trascurato, nonostante nelle società più sviluppate sia una condizione che interessa porzioni importanti della popolazione.

Gli studi sui problemi di fertilità maschile sono ancora molto dibattuti, soprattutto perché al momento non sono stati riscontrati importanti effetti sulla natalità riconducibili a questo problema. Nonostante il sensibile declino riscontrato dalle analisi più estese, in termini assoluti la concentrazione degli spermatozoi rimane comunque superiore ai 15 milioni per millilitro indicati dall’OMS, che però in precedenza indicava la soglia in 20 milioni.