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  • Venerdì 11 novembre 2022

La corsa per non perdere il superbonus 110

L'improvviso cambio delle regole deciso dal governo rischia di creare confusione e contenziosi soprattutto a causa dei tempi ristretti

(Mauro Scrobogna /LaPresse)
(Mauro Scrobogna /LaPresse)
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Le nuove regole sul superbonus approvate giovedì notte dal Consiglio dei ministri costringeranno moltissimi possibili beneficiari dell’agevolazione fiscale a una concitata accelerazione delle procedure. Dal primo gennaio 2023, infatti, lo sconto si abbasserà dal 110 al 90% con un’importante eccezione: le persone che presenteranno la comunicazione di inizio lavori (la CILA) entro il 25 novembre potranno continuare a ricevere l’agevolazione del 110% per tutti i lavori fatti e pagati nel prossimo anno. Il 110% è stato confermato anche per tutti gli interventi che comportano la demolizione e la ricostruzione degli edifici, ma soltanto nei casi in cui sia già stata presentata tutta la documentazione. L’unico modo per mantenere l’agevolazione al 110%, quindi, è presentare la CILA nel più breve tempo possibile.

L’eccezione è stata pensata come norma transitoria per evitare di cambiare le regole all’improvviso, tuttavia i tempi imposti sono comunque molto ristretti e con una serie di conseguenze impreviste per i potenziali beneficiari. In molti casi, vale soprattutto nei condomini, i lavori sono preceduti da una complessa valutazione che prevede assemblee, studi di fattibilità e il coinvolgimento di professionisti per i preventivi oltre alla complicata e lunga ricerca di un’azienda disponibile a fare i lavori. Prima di presentare la comunicazione di inizio lavori, insomma, serve molto tempo.

Secondo Federica Brancaccio, presidente dell’ANCE, l’associazione nazionale dei costruttori edili, il governo non ha tenuto conto di questo processo e il rischio è che moltissimi interventi vengano annullati per l’impossibilità di presentare in tempo la comunicazione di inizio lavori. «Si è tanto parlato delle modifiche continue di queste norme con il precedente governo e ora ci troviamo con un intervento così improvviso», dice Brancaccio.

L’ANCE ha accolto le modifiche con una certa insoddisfazione. Secondo l’associazione, un’altra delle conseguenze sottovalutate dal governo riguarda lo sconto in fattura. Il bonus, infatti, si può ricevere in diversi modi. Il primo è attraverso la comunicazione dei pagamenti per i lavori nella dichiarazione dei redditi, pagando meno tasse nei cinque anni successivi per il 110% dell’importo pagato. Una seconda possibilità è lo sconto in fattura, recuperato successivamente dai fornitori che riscuoteranno il credito d’imposta.

La terza opzione è la cessione del credito di imposta: si può trasferire la detrazione fiscale a altre imprese, banche, enti o professionisti. In cambio della cessione del credito, chi ristruttura casa ha la possibilità di avere subito i soldi che servono per iniziare i lavori oppure per accedere a un mutuo o a un finanziamento. Una persona che vuole fare dei lavori di efficientamento energetico può pagare l’impresa, invece che una somma ipotetica di 10mila euro, con il credito d’imposta di 11mila euro. Chi compra un credito di imposta fa un investimento sicuro, se sa che può poi cederlo a sua volta per esempio a una banca.

Con un cambio delle regole, però, non è ancora chiaro se ci saranno conseguenze per gli interventi con sconto in fattura. «Il pericolo è che contratti firmati al 110% vengano annullati, passando al 90%, perché sono cambiate le condizioni economiche», continua Brancaccio. Il rischio è che questa situazione possa causare moltissimi contenziosi legali perché qualcuno – le imprese o i committenti – alla fine dovrà coprire il 20% di sconto fiscale tagliato dal governo.

Secondo i costruttori, la più grande mancanza del governo riguarda però l’esitazione sulla cessione dei crediti. Nei giorni scorsi Poste italiane ha annunciato la sospensione dell’acquisto di crediti fiscali legati ai bonus edilizi, una decisione non sorprendente e in linea con l’impostazione scelta da molti istituti di credito che da tempo non accettano nuove pratiche. Il risultato è che moltissime imprese si ritrovano con crediti fiscali che non riescono a riscuotere. ANCE e ABI, l’associazione bancaria italiana, hanno scritto al governo una lettera per chiedere «una misura tempestiva e di carattere straordinario» per «scongiurare al più presto una pesante crisi di liquidità per le imprese della filiera che rischia di condurle a gravi difficoltà».

Le associazioni hanno proposto al governo di consentire agli intermediari di compensare i debiti fiscali, raccolti attraverso i moduli F24, con i crediti acquistati. Il Sole 24 Ore ha spiegato questa proposta con un esempio efficace: il correntista pagherebbe un F24 dal valore di 100 euro, la banca ne riverserebbe 95 “liquidi” al fisco e 5 attraverso crediti fiscali. Questo passaggio sarebbe indifferente per chi paga, ma consentirebbe di liberare rapidamente capienza fiscale degli istituti di credito. Al momento la proposta non è stata presa in considerazione dal governo.

«Ci sarà un nuovo intervento sui crediti, qualcosa per sbloccarli in modo definitivo», ha detto il sottosegretario all’Economia, Federico Freni. «Se c’è una cosa che non è accettabile è che questa normativa cambi ogni mese e mezzo, questo non ce lo possiamo più permettere. Troveremo una soluzione per dare respiro a queste imprese, ma questo respiro non può essere un bagno di sangue per le casse dello Stato».

Negli ultimi mesi le regole sui crediti fiscali sono cambiate più volte per cercare di limitare i problemi che da sempre interessano il superbonus. Sulla carta l’agevolazione fiscale aveva diversi obiettivi, tra cui: dare la possibilità ai cittadini di ristrutturare casa gratuitamente; ridurre i costi energetici e aumentare il valore delle case; incentivare il settore delle costruzioni, ma anche sostenere l’occupazione e rendere le case più calde in inverno e più fresche d’estate, garantendo un risparmio per le famiglie e meno emissioni nell’atmosfera.

Per fare tutto questo, però, lo Stato ha speso tantissimi soldi pubblici. Troppi, secondo molti esperti e anche secondo il governo guidato da Mario Draghi che ha cercato di limitare le spese in diversi modi, senza riuscirci.

Le critiche alla misura sono state confermate recentemente dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che già lo scorso anno aveva accusato il superbonus di aver “drogato il mercato dell’edilizia”. «Non ho mai visto una norma che è costata così tanto per così pochi», ha detto il ministro durante l’audizione sulla nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef). «Questo governo non ritiene equo destinare una così ingente fetta di risorse ad una limitatissima fetta di cittadini italiani, cioè in modo indistinto per reddito o per prima e per seconda casa».

Durante la conferenza stampa che si è tenuta venerdì mattina per presentare il nuovo decreto, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che il superbonus ha di fatto causato una «deresponsabilizzazione» di chi utilizzava la misura e una conseguente distorsione dei prezzi sul mercato dei materiali. Giorgetti, invece, ha detto che la cessione del credito è «una possibilità ma non un diritto». Chi si appresta a fare lavori, ha spiegato Giorgetti, deve verificare che una banca sia disponibile ad acquisire i crediti, altrimenti deve contare sulla propria capienza fiscale, per la detrazione.