Il primo discorso di Meloni da presidente del Consiglio

Ha parlato di moltissimi temi, fra cui il presidenzialismo e la sua nomina a prima donna presidente del Consiglio

(Roberto Monaldo/LaPresse)
(Roberto Monaldo/LaPresse)
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Martedì mattina la nuova presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha tenuto il discorso con cui ha chiesto la fiducia alla Camera dei deputati, il primo dall’inizio del suo mandato. Ha parlato per più di un’ora affrontando moltissimi temi, senza scendere però in molti dettagli, interrotta spesso dagli applausi della coalizione di destra che la sostiene.

Quasi subito Meloni ha parlato dell’importanza simbolica della sua nomina in quanto «prima donna a capo del governo di questa nazione», elencando i nomi (senza cognomi) di diverse donne che hanno combattuto per ottenere la parità di genere, da lei ritenute importanti anche per il suo percorso personale. Le ha ringraziate «per aver dimostrato il valore delle donne italiane come spero di riuscire a fare ora anche io».

Tra le cose più importanti che Meloni ha detto a livello politico c’è la promessa che la coalizione di destra al governo farà di tutto per realizzare una riforma costituzionale che trasformi l’Italia in una repubblica presidenziale (o almeno in qualcosa di simile), «che garantisca stabilità e restituisca centralità alla sovranità popolare», secondo Meloni. Ha parlato del presidenzialismo come di una riforma per passare da «una democrazia interloquente a una democrazia decidente» e ha detto di voler partire dal modello di un semi-presidenzialismo alla francese, che «in passato aveva ottenuto consensi anche nel centrosinistra». Ma ha anche aggiunto, più duramente: «non rinunceremo a riformare l’Italia se ci trovassimo di fronte a opposizioni pregiudiziali».

– Leggi anche: Il presidenzialismo che vuole fare la destra

Meloni ha poi parlato di moltissimi altri temi fra cui tasse, pensioni, Europa, guerra in Ucraina, energie rinnovabili, scuola e immigrazione, ribadendo in sostanza le posizioni espresse nella campagna elettorale appena trascorsa, alcune delle quali in contraddizione con il suo passato. Il passaggio sull’Europa in particolare è stato assai morbido per una leader politica che fino a qualche anno fa chiedeva di uscire dall’euro, definiva la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea «comitato d’affari e di usurai», e tifava apertamente per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Ha infatti ribadito l’appartenenza dell’Italia all’«Occidente e al suo sistema di alleanze», ricordandone il ruolo di stato fondatore dell’Unione Europea e della NATO, arrivando poi a definirla «culla insieme alla Grecia» delle «radici classiche e giudaico-cristiane dell’Europa»: tutte dichiarazioni in linea con gli sforzi fatti da Meloni negli ultimi mesi per apparire come una leader più moderata e dalle posizioni europeiste e atlantiste – cioè allineate all’Occidente e alla NATO – per garantirsi un atteggiamento non ostile dei principali alleati internazionali dell’Italia, ma decisamente in contraddizione con gran parte della sua carriera politica.

Anche sulla guerra in Ucraina ha proseguito sulla scia delle dichiarazioni dei mesi recenti, dicendo che l’Italia continuerà «a dare sostegno al valoroso popolo ucraino» e definendo inaccettabile l’invasione russa: una questione su cui è noto che all’interno della coalizione di destra ci siano posizioni anche molto diverse.

A livello di posizionamento invece la cosa più rilevante è stato il tentativo di prendere nettamente le distanze dal fascismo: «A dispetto di quello che strumentalmente si è sostenuto, non ho mai provato simpatie o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici, per nessun regime, fascismo compreso», ha detto, contraddicendo di fatto diverse sue dichiarazioni fatte in anni passati in cui lodava il dittatore fascista Benito Mussolini. Poi ha detto di aver «sempre reputato» le cosiddette leggi razziali del 1938 come «il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre».

In uno dei passaggi che saranno più discussi ha detto di aver vissuto da giovane gli anni in cui «nel nome dell’antifascismo militante ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese», riferendosi alle violenze fra neofascisti e antifascisti fra gli anni Settanta e Ottanta, parlando di «antifascismo militante» come se fosse un disvalore. Da giovane Meloni ha militato nel Fronte della Gioventù, il movimento giovanile del Movimento Sociale Italiano (MSI), il partito che si formò nel secondo dopoguerra raccogliendo dichiaratamente l’eredità del fascismo (che poi cambiò nome in Azione Giovani quando Alleanza Nazionale soppiantò il MSI).

Ha parlato anche di cosa intende fare il suo governo per i giovani, sui quali secondo Meloni ci sarebbe una «crescente emergenza delle devianze, fatte di droga, alcolismo, criminalità»: le proposte menzionate su questo tema però sono state decisamente vaghe, dalla promozione di «attività artistiche e culturali» e sportive, al lavoro «sulla formazione scolastica». La cosa più concreta che ha detto a questo proposito è stata una generica opposizione alla «cannabis libera», con attacchi indiretti alla sinistra.

Anche sugli aspetti economici ha ribadito le idee espresse in campagna elettorale, dalla cosiddetta “flat tax”, a una «tregua fiscale» per cittadini e imprese, cioè un modo per aiutarli a regolarizzare i debiti col fisco (anche se le modalità con cui il governo intende realizzarla non sono ancora state chiarite).

In generale durante tutto il discorso Meloni ha fatto più volte riferimento alle critiche e perplessità che sono state avanzate sulla capacità istituzionale del suo governo e sulla sua credibilità a livello internazionale. Alla fine ha parlato di un «pregiudizio politico» nei confronti suoi e dei suoi alleati, ha rivendicato di avere una storia politica costruita senza «un contesto familiare favorevole» o «amicizie importanti» e si è definita una «underdog, diciamo così, lo sfavorito, quello che, per riuscire, deve stravolgere tutti i pronostici». Ha chiuso il discorso con una citazione sulla libertà di papa Giovanni Paolo II.