La Corte d’appello di Milano ha riconosciuto 303mila euro di risarcimento per ingiusta detenzione a Stefano Binda, condannato e poi assolto per l’omicidio di Lidia Macchi
La Corte d’appello di Milano ha riconosciuto oltre 303mila euro di risarcimento per ingiusta detenzione a Stefano Binda, l’uomo che nel 2018 era stato condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi e poi assolto in via definitiva nel 2021. Macchi fu uccisa in maniera brutale a 21 anni nel gennaio del 1987 a Cittiglio, in provincia di Varese. Il responsabile dell’omicidio non è mai stato trovato.
Prima di essere assolto nel processo in appello, Binda era stato in carcere per circa tre anni e mezzo tra il 2016 e il 2019. Lo scorso maggio aveva presentato una richiesta di risarcimento di oltre 350mila euro per i giorni trascorsi ingiustamente in carcere: mercoledì la Corte d’appello ha accolto in parte la sua istanza.
Il 5 gennaio del 1987 Lidia Macchi era andata a trovare un’amica ricoverata all’ospedale di Cittiglio, ma la sera stessa non tornò mai a casa dei genitori, a Varese; il suo corpo fu ritrovato due giorni dopo in un bosco, coperto da cartoni e parzialmente svestito. La Procura stabilì che era morta nella notte fra il 5 e il 6 gennaio dopo essere stata accoltellata 29 volte. Il caso di Macchi fu il primo in Italia in cui venne impiegato il test del DNA a scopo d’indagine, ma gli indizi e il raffronto del materiale organico trovato sul suo corpo con quello di alcuni sospettati non portarono a nessun riscontro. Binda, un suo ex compagno di scuola, fu incriminato nel 2016 – quasi trent’anni dopo l’omicidio – e poi condannato nonostante le prove contro di lui sembrassero esigue.
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