La Corte d’appello di Milano ha riconosciuto 303mila euro di risarcimento per ingiusta detenzione a Stefano Binda, condannato e poi assolto per l’omicidio di Lidia Macchi

Stefano Binda durante la lettura della sentenza in appello per l'omicidio di Lidia Macchi nel luglio del 2019 (LaPresse, Matteo Corner)
Stefano Binda durante la lettura della sentenza in appello per l'omicidio di Lidia Macchi nel luglio del 2019 (LaPresse, Matteo Corner)

La Corte d’appello di Milano ha riconosciuto oltre 303mila euro di risarcimento per ingiusta detenzione a Stefano Binda, l’uomo che nel 2018 era stato condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi e poi assolto in via definitiva nel 2021. Macchi fu uccisa in maniera brutale a 21 anni nel gennaio del 1987 a Cittiglio, in provincia di Varese. Il responsabile dell’omicidio non è mai stato trovato.

Prima di essere assolto nel processo in appello, Binda era stato in carcere per circa tre anni e mezzo tra il 2016 e il 2019. Lo scorso maggio aveva presentato una richiesta di risarcimento di oltre 350mila euro per i giorni trascorsi ingiustamente in carcere: mercoledì la Corte d’appello ha accolto in parte la sua istanza.

Il 5 gennaio del 1987 Lidia Macchi era andata a trovare un’amica ricoverata all’ospedale di Cittiglio, ma la sera stessa non tornò mai a casa dei genitori, a Varese; il suo corpo fu ritrovato due giorni dopo in un bosco, coperto da cartoni e parzialmente svestito. La Procura stabilì che era morta nella notte fra il 5 e il 6 gennaio dopo essere stata accoltellata 29 volte. Il caso di Macchi fu il primo in Italia in cui venne impiegato il test del DNA a scopo d’indagine, ma gli indizi e il raffronto del materiale organico trovato sul suo corpo con quello di alcuni sospettati non portarono a nessun riscontro. Binda, un suo ex compagno di scuola, fu incriminato nel 2016 – quasi trent’anni dopo l’omicidio – e poi condannato nonostante le prove contro di lui sembrassero esigue.

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