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  • Mercoledì 21 settembre 2022

La «mobilitazione parziale» è un segnale di debolezza per Putin

È quanto meno l'ammissione che la strategia usata finora contro l'Ucraina non ha funzionato come sperava il regime russo

Un soldato ucraino a Izyum dopo la grossa controffensiva delle scorse settimane (AP Photo/Kostiantyn Liberov)
Un soldato ucraino a Izyum dopo la grossa controffensiva delle scorse settimane (AP Photo/Kostiantyn Liberov)
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La «mobilitazione parziale» annunciata mercoledì mattina dal presidente russo Vladimir Putin è ritenuta dalla maggior parte degli analisti una grossa escalation delle operazioni militari della Russia in Ucraina. Al tempo stesso è considerata un segnale di debolezza e un’ammissione implicita che la strategia militare seguita finora è stata deludente, se non fallimentare.

Putin ha annunciato la mobilitazione di migliaia di riservisti (300 mila, secondo il ministero della Difesa russo) che saranno mandati gradualmente a combattere in Ucraina. Nello stesso discorso, ha poi dato il suo sostegno ai referendum di annessione alla Russia di quattro regioni occupate o parzialmente occupate dell’Ucraina, indetti frettolosamente martedì dopo che nelle scorse settimane l’esercito ucraino aveva ottenuto vittorie e avanzamenti territoriali praticamente su tutti i fronti, soprattutto a nord-est.

La mobilitazione parziale indetta da Putin indica chiaramente che il regime russo ha capito di non essere in grado di raggiungere i suoi obiettivi militari in Ucraina (e forse nemmeno di mantenere i territori occupati finora) con le forze attualmente in campo. È un cambiamento di atteggiamento importante, soprattutto perché fino a poco tempo fa ogni difficoltà era smentita con forza: il 13 settembre il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, diceva che una mobilitazione dei riservisti non era nemmeno in discussione, e pochi giorni prima Putin stesso sosteneva che la Russia «non ha perso niente e non perderà niente» nella sua campagna in Ucraina.

Vladimir Putin (Pavel Bednyakov, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

Mercoledì, in un’intervista preregistrata e pubblicata subito dopo il discorso di Putin, il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha tentato di descrivere l’offensiva russa come ancora vittoriosa, ma ha finito per cadere nel controsenso: ha detto che dall’inizio della guerra a oggi sarebbero stati uccisi soltanto 5.973 soldati russi su oltre 150 mila dispiegati in Ucraina ma non ha spiegato perché, se le perdite sono così eccezionalmente ridotte, sia necessario chiamare al fronte altri 300 mila riservisti.

In realtà, secondo stime occidentali, i morti e feriti nell’esercito russo sarebbero tra i 70 e gli 80 mila, circa la metà di tutte le forze dispiegate finora.

È probabile che a determinare la decisione di Putin sia stata l’improvvisa e vittoriosa controffensiva dell’Ucraina nel nord-est del paese, che ha consentito all’esercito ucraino di liberare enormi porzioni di territori occupati, mettendo in fuga l’esercito russo. Ancora prima, tuttavia, l’esercito russo si trovava in serie difficoltà e da mesi si parlava della necessità per la Russia di cambiare completamente la propria strategia.

Ma non è detto che la mobilitazione parziale di 300 mila riservisti possa davvero cambiare gli equilibri del conflitto.

I riservisti sono persone che pur facendo parte dell’esercito perché hanno fatto il servizio militare in passato sono in congedo permanente, hanno altri lavori e, in tempo di pace, non partecipano ad attività militari. Sono quindi persone che quasi certamente non hanno mai combattuto in una guerra, pur avendo ricevuto un addestramento di qualche tipo. Il ministero della Difesa ha annunciato che i 300 mila soldati che saranno chiamati a combattere saranno scelti esclusivamente tra coloro che hanno già esperienza militare, anche se non ha chiarito di che tipo.

Circolano comunque già dubbi sull’utilità effettiva dei riservisti per l’esercito russo: in particolare, molti analisti hanno fatto notare che nei primi sette mesi di guerra la Russia ha impiegato la gran parte dei suoi soldati più preparati ed esperti, e nonostante questo non è riuscita a raggiungere i propri obiettivi e anzi ha subìto grosse perdite. Aumentare il numero di soldati poco esperti – a cui potrebbe essere chiesto di usare sistemi d’arma complessi e di operare su un terreno difficile, con l’inverno che arriva – potrebbe non essere necessariamente la soluzione giusta.

Ci saranno poi problemi di tempo e di logistica. Di tempo perché radunare, armare e probabilmente addestrare centinaia di migliaia di persone potrebbe richiedere mesi se non addirittura un anno intero, come stimava qualche tempo fa un’analista sulla rivista Foreign Affairs. Anche se il dispiegamento sarà certamente graduale, è probabile che ci vorrà molto tempo prima che l’esercito russo sia in grado di inviare in Ucraina un numero consistente di nuovi soldati.

Inoltre, i problemi di logistica caratterizzano la campagna russa fin dall’inizio, con problemi di trasporti, approvvigionamento, manutenzione dei mezzi e delle armi. Non è chiaro in che modo il sistema logistico militare russo, che finora non è stato in grado di sostenere a dovere una forza di 150 mila soldati, potrebbe riuscire a farlo con una forza che aumenta di 300 mila uomini.

Infine, per il regime di Putin la dichiarazione della «mobilitazione parziale» potrebbe costituire un problema in termini di popolarità e consenso interno.

Per mesi Putin ha cercato in ogni modo di mantenere la normalità in Russia, con l’intento di evitare il diffondersi del malcontento tra la popolazione. In buona parte c’è riuscito: come spiegano vari resoconti, soprattutto a Mosca e nelle grandi città la vita quotidiana non è di fatto cambiata dall’inizio dell’invasione, e la popolarità di Putin è rimasta alta.

Con la decisione di indire una mobilitazione «parziale», e non generale come alcuni analisti avevano previsto, Putin sta cercando di mantenere il più possibile intatta questa sensazione diffusa di normalità, ma non è detto che sarà in grado di farlo ancora per molto, man mano che il coinvolgimento nella guerra si espande a fasce sempre più ampie della popolazione.