In Nuova Zelanda serve una nuova legge sul consenso
Le modalità con cui si è svolto un processo per stupro su una bambina 12enne hanno dimostrato l'inadeguatezza dell'attuale legislazione, secondo i movimenti femministi
In Nuova Zelanda si è appena concluso il processo di un uomo che era accusato di aver stuprato due bambine di 8 e 12 anni: è stato condannato, ma i suoi avvocati per difenderlo hanno sostenuto che una delle due vittime avesse dato il proprio consenso, innescando un dibattito sulla legislazione nazionale sugli abusi sui minori. Per legge, infatti, in Nuova Zelanda l’età del consenso è fissata a 16 anni, ma è permesso a chi è accusato di stupro difendersi facendo appello proprio al fatto che le vittime, anche se minorenni, siano consenzienti. Movimenti femministi e associazioni sostengono che le attuali leggi del paese sul consenso sottopongano i minori e le minori vittime di violenza sessuale a un abuso istituzionale e che, dunque, vadano modificate.
L’uomo coinvolto nel processo si chiama Tulisi Leiataua, è un cittadino samoano, e oggi ha 45 anni. È stato condannato per 33 capi di imputazione legati alle aggressioni sessuali e agli stupri commessi contro due bambine dal 2010 (quando avevano 8 e 12 anni) al 2014. Le accuse nei suoi confronti erano state presentate poco dopo, ma nel 2014 Leiataua aveva lasciato la Nuova Zelanda per le Samoa e solo nel marzo del 2020 un tribunale locale aveva accettato di estradare Leiataua in modo che potesse essere processato. L’uomo era stato dunque riportato in Nuova Zelanda e arrestato all’aeroporto di Auckland.
Leiataua ha sempre negato di aver aggredito sessualmente la bambina più piccola, confermando invece le violenze su quella più grande sostenendo però che non si sia trattato di stupro, bensì di rapporti consensuali simili a quelli di una «coppia sposata». Ha sostenuto anzi di essere stato spinto ad averli proprio dalla bambina, che lo avrebbe «perseguitato». «So che era una bambina, ma il modo in cui si è approcciata a me era quello una donna matura» ha detto, aggiungendo: «L’ho rifiutata, ma lei continuava a tornare. Voleva davvero farlo. Mi si è buttata addosso come una puttana».
L’avvocato di Laiataua ha detto a una delle vittime: «Eri spaventata perché non volevi che nessuno sapesse che avevi un rapporto sessuale consensuale con un uomo più anziano. L’unico motivo per cui lo hai detto è perché sei stata costretta, ti vergognavi e ti sentivi dispiaciuta, questa è la verità». «Non ho detto niente subito perché pensavo che nessuno mi avrebbe creduto», ha risposto lei.
Durante il processo, quelle che all’epoca erano due bambine e che ora hanno ora 19 e 24 anni hanno dovuto affrontare due settimane di controinterrogatorio da parte della difesa, durante il quale sono state accusate di aver mentito e di essere di fatto colpevoli di ciò che avevano subito. Sebbene in Nuova Zelanda l’età del consenso sia fissata a 16 anni, l’argomento del consenso o della ragionevole convinzione del consenso è considerato dalla giustizia una difesa ammissibile in tribunale per le persone accusate di stupro anche quando sono coinvolti dei e delle minori.
Kathryn McPhillips, direttrice dell’organizzazione HELP, che sostiene le donne che hanno subito violenza, ha detto che questa situazione «deve assolutamente cambiare»: «è immorale promuovere l’idea che un bambino o una bambina possa essere consenziente» e possa dunque essere colpevolizzato in tribunale per aver causato o voluto quanto ha in realtà subito. McPhillips ha fatto riferimento alla “vittimizzazione secondaria”, quella subita dalle vittime di stupro non come diretta conseguenza della violenza ma attraverso la risposta delle istituzioni. La vittimizzazione secondaria comporta ulteriori traumi per chi ha subito violenza, e in particolare nei bambini e nelle bambine. «Quando un adulto ti ha fatto questo e un altro adulto te ne attribuisce la colpa in tribunale, contribuisce ancor di più a un ribaltamento delle responsabilità: è un mondo sottosopra in cui lo Stato garantisce agli adulti il diritto di farti del male» ha detto McPhillips.
I movimenti femministi e le associazioni che si occupano di violenza di genere sono tornati a chiedere un’immediata modifica della legislazione sul consenso in Nuova Zelanda, in modo che i bambini e le bambine non possano più e senza alcun dubbio essere considerati soggetti consenzienti in attività sessuali che coinvolgono degli adulti. Layba Zubair, attivista di 17 anni che è stata abusata sessualmente quando era più piccola e che ha deciso di non procedere con la denuncia proprio a causa di un sistema legislativo che l’avrebbe messa sotto processo, ha presentato una petizione al parlamento neozelandese con cui chiede una revisione delle leggi sul consenso e l’introduzione di una sua definizione chiara e inequivocabile.
Oggi il Crimes Act 1961 della Nuova Zelanda non definisce che cosa sia il consenso, dice solamente che cosa non è. Secondo la petizione, avere una definizione chiara di che cosa sia il consenso potrebbe contribuire ad affrontare le questioni soggettive e ambigue che attualmente influenzano i casi di violenza sessuale quando vengono discussi in tribunale.
Il New Zealand Herald ha scritto che, nel paese, solo 3 casi di aggressione sessuale su 10 denunciati alla polizia arrivano in tribunale e che solo uno di questi si conclude con una condanna dell’aggressore. Secondo le statistiche del ministero della Giustizia, i bambini sono vittime di oltre il 65 per cento dei casi di violenza sessuale presentati nel 2020-2021. Secondo McPhillips, il basso numero di denunce e di condanne dipende anche dalla mancanza di un sistema tutelante per le vittime di violenza e dal modello di diritto penale sessuale.
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Nel 2021, uno studio commissionato dalla Chief Victims Advisor Kim McGregor (un ruolo formale ma indipendente che ha il compito di lavorare con il ministero della Giustizia per migliorare il sistema giudiziario per le vittime di violenza) ha esaminato le trascrizioni di interrogatori incrociati di bambini e adolescenti di 15 processi per abusi sessuali. E ha dimostrato come i minori fossero stati «tormentati e accusati esplicitamente di mentire». In alcuni casi era stato chiesto loro se si fossero divertiti a subire degli abusi: «È chiaro che c’è bisogno di molto più supporto e protezione di quanto non ce ne sia ora», aveva concluso McGregor.
Dopo le nuove proteste nate dal processo a Tulisi Leiataua, la ministra neozelandese della Giustizia Kiri Allen ha detto che creerà una commissione per rivedere le leggi sul consenso.