«Fu come costruire un aereo mentre lo si faceva volare»

Action Park, nel New Jersey, fu un parco divertimenti progettato male e gestito peggio: ci morirono in sei, e tanti ne uscirono malconci

(Joe Shlabotnik, Wikimedia)
(Joe Shlabotnik, Wikimedia)
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Action Park è stato un parco acquatico e di divertimenti del New Jersey, attivo con questo nome dal 1978 al 1996. Aprì perché un imprenditore voleva sfruttare anche in estate le infrastrutture di un’area sciistica di sua proprietà, e chiuse per bancarotta, ma soprattutto perché le sue attrazioni e la sua incauta gestione causarono sei morti e un numero imprecisato di feriti.

Negli anni la storia di Action Park è stata più volte raccontata negli Stati Uniti, da molti articoli e anche da un paio di documentari, ma è in genere meno conosciuta altrove. Eppure è sorprendente come e per quanto un parco così controverso e problematico riuscì a restare aperto facendo parlare di sé con toni scherzosi, più che preoccupati. In realtà, come ha scritto Mel Magazine, Action Park è stato «il più pericoloso parco a tema americano», con attrazioni che «sembravano uscite dalla mente di un bambino squilibrato che non aveva contezza del concetto di morte». Sports Illustrated, che nel 2019 dedicò al parco un lungo e approfondito articolo, scrisse, con riferimento alla gestione del parco, che «fu come costruire un aereo mentre lo si faceva volare».

Ad aprire e gestire Action Park attraverso la società Great American Recreation (GAR) fu Eugene Mulvihill, che seguendo l’esempio di altre stazioni sciistiche decise di inaugurare anche lì a Vernon, a meno di cento chilometri da New York, un luogo per fare soldi anche senza neve. Secondo una definizione di Porges, coautore del documentario del 2020 Class Action Park (un gioco di parole tra il nome del parco e “l’azione collettiva” con cui negli Stati Uniti più persone posso intentare un’unica causa legale), Mulvihill, morto nel 2012, era «un imprenditore showman e ciarlatano, una via di mezzo tra P.T. Barnum e Walt Disney, con l’aggiunta di un pizzico di Donald Trump».

In linea con la necessità di sfruttare le infrastrutture per lo sci, la prima attrazione a essere realizzata nel parco, che era in parte acquatico e in parte no, fu un alpine slide o “fun bob”: una pista per bob lunga più di 800 metri, alla partenza della quale si arrivava in seggiovia. Furono poi realizzati scivoli, piscine, una pista per go-kart e altre attrazioni di vario genere. Il giorno dell’apertura, il 4 luglio 1978, Action Park ospitò inoltre una gara per sosia dell’attrice e cantante Dolly Parton e una competizione di sputi di tabacco. Da certe sue pubblicità, il parco sembrava essere indirizzato perlopiù ai bambini, ma certe sue attività e attrazioni erano quantomeno per adolescenti.


Nel corso degli anni Ottanta, Action Park crebbe fino a contare quasi ottanta attrazioni: metà circa erano motorizzate, le altre erano acquatiche. Il parco era diviso in tre principali aree tematiche – Alpine Center, Waterworld e Motorworld – e nel momento di maggiore espansione arrivò ad avere una superficie complessiva superiore al chilometro quadrato. Nei suoi primi anni Action Park, raggiungibile comodamente e in poco tempo da diversi milioni di persone che abitavano nel New Jersey e nell’area metropolitana della vicina New York, ebbe senz’altro successo e si costruì un’immagine da posto spregiudicato e per certi versi innovativo.

Andy Mulvihill (figlio di Eugene, ex capo dei bagnini, ex direttore del parco e autore di un libro sulla sua storia) disse a Sports Illustrated a proposito di suo padre:

«Non voleva le solite vecchie stronzate in cui la gente era legata a qualcosa e veniva fatta piroettare da qualche parte. Voleva prendere l’idea dello sci, che è emozionante perché hai il controllo dell’azione, e voleva trasferire il concetto nel suo parco. C’è un rischio intrinseco, ma è quello che lo rende divertente».

Il problema è che molte attrazioni furono costruite con l’ottica di minimizzare i costi anziché massimizzare la sicurezza, o quantomeno senza le necessarie cautele e precauzioni. In parte per avventatezza ingegneristica e gestionale di Mulvihill, in parte per una carenza legislativa del New Jersey sui parchi di quel tipo.

Su internet si trovano decine di aneddoti e dettagli sulla maggior parte delle attrazioni del parco. Tra le altre, si raccontano i frequenti infortuni e incidenti legati all’uso degli alpine slide, in cui si faticava a controllare la propria velocità e in cui le pareti della pista – su cui era frequente che i visitatori andassero in costume da bagno – erano fatte di cemento, vetroresina e forse anche amianto.

Uno skatepark fu aperto e chiuso nel giro di poco tempo perché ci si rese conto che era stato mal progettato e pericoloso. Dei go-kart si dice che ci fosse un semplice modo, noto a tutti e talvolta assecondato dagli addetti alla pista, per aumentarne la velocità semplicemente mettendo in un certo posto del veicolo una pallina da tennis. Oltre ai go-kart c’erano poi delle più grandi monoposto, da guidare su una pista più lunga, e anche in quel caso le limitazioni di velocità potevano essere rimosse piuttosto facilmente. Un’altra “attrazione” permetteva invece di guidare per qualche minuto dei piccoli carri armati che sparavano a ripetizione palline da tennis o di sparare, da fuori, palline da tennis verso i carri armati: i problemi, in genere, si verificavano quando gli addetti del parco dovevano entrare nell’area sottoponendosi a una intensa pioggia di proiettili.

Altri aneddoti ancora parlano, più semplicemente, di scivoli pericolosi per velocità o percorso, di piscine malsorvegliate (compresa quella con le alte onde artificiali), di aree in cui ci si poteva tuffare da diversi metri d’altezza senza avere la certezza che sotto non ci fosse qualche ignaro nuotatore, di un’attrazione che permetteva di lanciarsi con una liana, alla Tarzan, in un laghetto: solo che l’acqua era gelida e non tutti, non sempre, riuscivano comunque a centrarlo.

Più di ogni altra attrazione, però, quando si parla di Action Park si cita il Cannonball Loop: nella sua seconda versione era uno scivolo acquatico chiuso (un grande tubo, in altre parole) in cui si faceva un “giro della morte”. Si dice che i primi manichini mandati giù nei test uscirono senza testa o senza arti, e ci sono diversi racconti di visitatori in carne e ossa che ne uscirono malconci, feriti o con qualche dente in meno.


Talvolta, gli aneddoti sulle criticità di Action Park sono raccontati come qualcosa di strambo e persino divertente, e in effetti parte del successo del parco ebbe a che fare con il suo essere percepito come inconsueto e azzardato. Per un paio di generazioni di persone che furono adolescenti in quegli anni e che vivevano da quelle parti, andare ad Action Park fu qualcosa di identitario, quasi un rito di passaggio: una cosa da “sei del New Jersey se almeno una volta ti ci sei fatto male”.

Per dirla come uno degli ex visitatori intervistati da Mel Magazine, «la più grande differenza tra Action Park e gli altri parchi era che altrove magari avevi paura, ma poi tutto andava bene. Ad Action Park, non sempre era così. La paura era giustificata».

Non ci sono stime su quanti furono gli incidenti e i ferimenti, ma i resoconti sono molti e vari. Di certo, il parco finì col dover comprare alcune ambulanze in più per il vicino pronto soccorso, che fu ben presto oberato di attività e che arrivò a dover soccorrere anche diverse persone nello stesso giorno. Soprattutto, però, si ricordano le morti di sei visitatori: uno dopo essere stato fulminato da un cavo elettrico che alimentava un’attrazione acquatica, uno dopo essere stato sbalzato fuori dall’alpine slide, uno per un infarto forse causato dalle acque troppo fredde del laghetto delle liane, altri tre per annegamento nella piscina delle onde (che qualcuno prese a chiamare “piscina tomba”).


Oltre alle attrazioni in sé, i problemi del parco – che tra l’altro si scoprì essere assicurato presso una società di proprietà dello stesso Mulvihill, con sede alle Isole Cayman – avevano anche altre cause. È stato scritto infatti che i dipendenti erano spesso adolescenti, molti dei quali assegnati a incarichi di responsabilità per cui non avevano le necessarie credenziali. Di alcuni di loro si dice che fossero disinteressati o, come nel caso dei go-kart, conniventi con la voglia di certi visitatori di andare oltre il consentito.

In un generale contesto di disorganizzazione, anche certi visitatori si presero non poche libertà: dalle code per certe attrazioni, per esempio, non era inconsueto che qualcuno sputasse verso chi quelle attrazioni le stava facendo. Di certo non fu d’aiuto il fatto che nel parco si vendessero piuttosto liberamente bevande alcoliche.

Nel caso delle attrazioni acquatiche, parte del problema era inoltre dato dal fatto che non tutti i visitatori sapevano nuotare o nuotare bene, cosa che invece era spesso necessaria. Nonostante i molti visitatori ispanici, le istruzioni erano poi solo in inglese.

Ci furono anche scontri tra dipendenti e visitatori, in particolare nella Gladiator Challenge, in cui i visitatori dovevano attraversare, armati di bastoni di gomma, un’area presidiata da figuranti vestiti da gladiatori il cui scopo era provare a fermarli. Quando l’appartenente di uno dei due gruppi andava oltre il lecito, si sfiorava o si arrivava alla rissa.

Per diversi anni, il parco riuscì a bilanciare gli incidenti (spesso risarciti con semplici ingressi omaggio) e i problemi con la sua fama di parco estremo. Col tempo, però, cause legali e problemi economici portarono alla crisi e infine, nel 1996, alla chiusura.

Con differenti nomi e nuove gestioni il parco ha poi riaperto due volte. Eugene Mulvihill morì nel 2012, dopo aver provato senza successo a ricomprare e rilanciare il parco. Un personaggio chiaramente ispirato a lui è interpretato da Johnny Knoxville, co-creatore di Jackass, nel film di finzione Action Point, che uscì nel 2018 e andò malissimo. Più accurato e apprezzato è invece Class Action Park, documentario del 2020 di HBO.


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