Una canzone dei Get well soon

Una giornata convulsa che si riflette nella convulsa newsletter di stasera

(Elisabetta Villa/Getty Images)
(Elisabetta Villa/Getty Images)
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Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Per percorsi diversi stamattina ho citato due volte – sia nella mia supplenza di Morning che nella conversazione che abbiamo fatto a margine del festival La prima estate a Lido di Camaiore – la vecchia e celebrata frase “scrivere di musica è come ballare di architettura”, mai attribuita esattamente: ma ho scoperto che c’è una filologia che la fa discendere da una formulazione leggermente diversa.
Il concerto dei National nel suddetto festival, ieri sera, molto bello, con una scelta perfetta di scaletta: lo so che voi eravate dai Rolling Stones e che vi siete divertiti pure voi, ma dovendo scegliere ho trascurato il già visto .

My home is my heart
Get well soon

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È una giornata convulsa quella che si riflette nella convulsa newsletter di stasera. Avevo in effetti in programma un’altra canzone, ma mi è sembrata inadeguata a un bisogno di qualcosa di più eccitante e motivante. Tutto perché una successione di frustrazioni mi ha pericolosamente portato vicino al mood del protagonista di Quinto potere , non so chi se lo ricordi, quello che diventava popolarissimo raccogliendo il risentimento del suo pubblico televisivo e portandolo a urlare alla finestra “sono incazzato nero, e tutto questo non lo accetterò più” (se pensavate che il diffuso risentimento incazzoso sia un’invenzione di questo millennio, beh, no: il film era del 1976). Predicazione – già trattata con preoccupazione dal film – che mi è sempre sembrata pessima e pericolosa, quella dell’aizzamento delle incazzature. Anni fa un mio amico mi descrisse così suo padre: «è uno che se c’è una cosa su cui ci si potrebbe incazzare, lui ci si incazza». Quella cosa lì è dilagata e ora siamo circondati da persone che si incazzano anche in assenza di cose per cui: è un po’ un modo di esistere, incazzarsi (insieme a proclamarsi vittime di qualcosa, complementare). E sarebbe meglio guardarsene: non perché non ce ne siano ragioni, a volte, ma perché è una balla che le incazzature portino a costruttivi cambiamenti. Magari è stato così una volta, o qualche volta, ma di questi tempi portano a sterili aggressività e violenze, e a sfoghi che si sostituiscono a qualunque azione costruttiva, e concorrono a generare ulteriori incazzature (guardate come sono finiti ieri gli ultimi che avevano fomentato e radunato incazzature senza sapere cosa farne).

Però dicevo, ragioni ne capiterebbero, e a volte disarmano: oggi ero in giro per l’Italia e al decimo cospicuo di ritardo di treno negli ultimi dodici viaggi in treno che ho fatto, e davanti al tabaccaio che mi ha venduto una mascherina a un euro e mezzo, e davanti al bar della stazione che mi ha dato una pastarella a 3 euro e 90, e con la rete del telefono che andava lentissima per va’ a sapere quale sciatteria del mio fornitore, e con Cose spiegate bene nascosto in fondo al millesimo scaffale nella libreria della stazione che promuove solo i libri del proprio editore (ok, questa è un po’ personale), e con i bidoni della differenziata nel Frecciaclub pieni di monnezza buttata a caso, e col pensiero che però pure i Frecciaclub ci metterebbero un niente di impegno a dare indicazioni più esatte e precise su dove buttare i sei-tipi-sei di prodotti che ospitano (“QUI I BICCHIERI DI CARTA”, “QUI GLI INVOLUCRI DEI BICCHIERI”), e con una ricca esperienza anche oggi di persone che si muovono e camminano senza nessuna consapevolezza che esistano altri umani a cui stanno complicando la vita e i movimenti, e con la quota che avete tutti familiare di superatori di fila che cadono mortificati dalle nuvole quando la signora che hanno superato glielo fa notare, e potrei andare avanti parecchio ma sto rischiando un tantino di smentire quell’impressione di coolness e understatement che cerco quotidianamente di far passare intorno a me, e insomma, ecco, a un certo punto mi è salito alle labbra un “che palle!”, perdonate l’espressione patriarcale (ma di genere femminile).

E insomma, ho ritenuto che mi servisse una canzone che ridimensionasse questa perdita di controllo e mi riconsegnasse al buonumore più solidamente motivato dalla mia condizione di privilegiato abitante di mondi privilegiati. E però ho avuto una esitazione: non è che così finiamo nella ingenua, retorica e limitante narrazione del “canta che ti passa”, “sorridi e il mondo sorriderà con te”, eccetera? Mi ricordo quella volta che in Brasile mi spiegarono quanto la retorica dell’allegria e del buonumore brasiliani fossero degli strumenti fortissimi usati dai poteri bianchi per mantenere in condizioni di discriminazione e povertà le maggioranze non bianche, a forza di calcio e canzoncine, una specie di oppio dei popoli al ritmo di meu amigo Charlie Brown. Il mio rifugiarmi in belle e allegre canzoni significa arrendermi alla pastarella a 3,90, o significa mandarla a quel paese, la catena che vende le pastarelle a 3,90 approfittando che le persone devono fare colazione, sono di corsa in una stazione, e non ci sono alternative al loro bar peraltro sistematicamente piuttosto fetente? (fetente anche col concorso delle persone stesse, perché poi tutto si morde la coda).

Mentre facevo queste riflessioni ascoltando la canzone che avevo deciso quindi di indicarvi stasera, e mi rendevo conto che in effetti il suo testo era un po’ assolutorio di tutto e di tutti, ho percepito la sua ultima strofa.

Someone out there must see you for who you are
Or even love you, still a wish upon a star
Just be yourself and love yourself, that should do the trick
Except when you’re a prick

Che è esattamente la cosa che in tanti cerchiamo di dire da molto tempo contro le esortazioni demagogiche a essere se stessi: e se uno è stronzo? (eventualità peraltro statisticamente probabile per molti di noi, in qualche misura). Non siate voi stessi, siate qualcun altro di meglio, o provateci.
E insomma la consonanza di cautele mi è sembrata un buon segno per darvi questo pezzo con una base house di piano, dei suoni rock, un refrain da coro ai concerti, e al diavolo tutto il resto. Loro sono tedeschi (loro sono uno, in realtà), il disco è della scorsa primavera, e immagino che a questo punto, stremati, vi basti.


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