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  • Mercoledì 8 giugno 2022

C’è un guaio dentro al Washington Post

Il retweet di una battuta sessista da parte di un importante giornalista ha sviluppato una discussione pubblica che si trascina da giorni tra risentimenti e imbarazzi

(Alex Wong/Getty Images)
(Alex Wong/Getty Images)
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Da alcuni giorni la redazione del Washington Post, uno dei più autorevoli e letti quotidiani al mondo, è coinvolta in una accesa discussione pubblica nata quando un importante giornalista politico della testata ha retwittato una battuta sessista, suscitando critiche e biasimo in particolare da una collega che da giorni accusa la dirigenza di non prendere abbastanza sul serio la questione. Il giornalista, che nel frattempo si era scusato, è stato sospeso senza paga per un mese dopo qualche iniziale esitazione, ma la giornalista sta continuando ad attaccare i suoi capi, attirandosi a sua volta molte critiche.

Il tweet incriminato, scritto da uno youtuber, diceva: «Ogni ragazza è bi. Devi solo capire se -polare o -sessuale». Dave Weigel, 41enne reporter di politica che lavora al Washington Post da molti anni, lo ha retwittato, e poco dopo la sua collega Felicia Sonmez, che fa parte a sua volta della redazione politica, ha chiesto conto della battuta in una chat interna sull’app di messaggistica aziendale Slack. Non è stata però soddisfatta delle risposte ricevute dalla dirigenza, e quindi ha pubblicato uno screenshot su Twitter con il commento: «È fantastico lavorare per una testata dove retweet simili sono permessi!».

Weigel si è poi scusato e ha rimosso il retweet, scrivendo che non voleva «ferire nessuno». Da allora non ha fatto altri commenti. La sua sospensione senza paga non è stata confermata ufficialmente, ma è stata riportata da CNN. Nei giorni successivi però si è sviluppata e trascinata una lunga e risentita discussione pubblica che ha coinvolto parte della redazione e altri commentatori e giornalisti, attirando attenzioni e imbarazzi sui giornalisti e sui dirigenti del quotidiano.

La discussione è stata animata soprattutto da Sonmez, che da allora ha pubblicato decine di tweet sulla vicenda. Prima per criticare Weigel, chi lo difendeva e la dirigenza del Washington Post per la risposta blanda alla battuta sessista, e poi per difendere la sua ostinazione nel criticare Weigel. Nel frattempo, altri giornalisti l’hanno accusata di aver attirato attenzioni sproporzionate intorno alla vicenda e di aver personalizzato la questione, generando a sua volta centinaia di commenti aggressivi nei confronti di Weigel.

Su Twitter la discussione va avanti da giorni, con toni molto accesi. Sonmez dice che è in corso un tentativo di silenziarla, per aver portato all’attenzione di tutti un problema di sessismo nella redazione: un fenomeno tipico quando una donna denuncia pubblicamente un comportamento simile, dicono lei e molte altre che la sostengono.

Altri però continuano ad accusarla di essersi accanita troppo per il retweet di una brutta battuta a cui però erano seguite delle scuse, agevolando in questo modo dinamiche di bullismo online nei confronti di Weigel. Un giornalista in particolare, Jose A. Del Real, ha chiesto a Sonmez di avere più compassione per una battuta «terribile e inaccettabile», ma che a suo avviso non meritava quel tipo di reazione collettiva soprattutto visto che si era scusato. Sonmez ha avuto un successivo duro confronto con quel collega, che ha anche ricordato che, in quanto gay e messicano, sa qualcosa sull’appartenere a gruppi marginalizzati. Alla fine Del Real ha scritto di ritenere un errore l’essersi immischiato nella vicenda, chiedendo: «Non potremmo essere semplicemente più gentili gli uni con gli altri?».

Un’indicazione simile era arrivata nel frattempo anche dalla direttrice del Washington Post Sally Buzbee, che ha pubblicato un comunicato interno alla redazione che chiede che ci si tratti con rispetto e gentilezza tra colleghi «online e offline. Siamo una redazione collegiale e creativa che fa un lavoro giornalistico impegnativo, importante e innovativo. Uno dei punti di forza del Washington Post è il nostro spirito di collaborazione. Il Washington Post si impegna per un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso, senza forme di molestie, discriminazioni o pregiudizi di alcun tipo. Quando nascono delle questioni, per favore sottoponetele alla dirigenza o alle risorse umane e ce ne occuperemo con decisione e rapidità».

Buzbee, insomma, ha richiamato indirettamente Sonmez per aver gestito pubblicamente la questione, creando un problema di immagine al Washington Post. E Sonmez ha a sua volta criticato la dirigenza per non averla sostenuta, dimostrando di non tenere davvero ai valori femministi che invece dice di sostenere. Sonmez ha peraltro ricordato che il tweet di Weigel viola le linee guida aziendali per i giornalisti sui social, che diffidano dal condividere opinioni che possano essere percepite come sessiste.

Sonmez ha poi citato un altro episodio che la riguarda: nel gennaio del 2020, subito dopo la morte in un incidente in elicottero del giocatore di basket Kobe Bryant, aveva condiviso il link a un articolo che ricostruiva le accuse di stupro a suo carico, risalenti al 2003. Era stata criticatissima online per il tempismo del suo tweet, e il Washington Post l’aveva inizialmente sospesa, per poi cambiare idea dopo varie proteste in redazione. Una lettera in difesa di Sonmez era stata firmata da molti colleghi, tra i quali peraltro anche Weigel.

Sonmez ha condiviso vari passaggi di un’indagine interna che fu commissionata in quell’occasione dal Washington Post. Attraverso decine di interviste a vari e varie dipendenti, aveva rilevato una differenza di trattamento tra giornalisti più importanti e altri meno, e tra giornalisti e giornaliste, sulle libertà che ci si poteva prendere sui social e sulle eventuali conseguenze di commenti pubblici inopportuni. Sonmez si è lamentata del fatto che in quell’occasione «il Post mi punì per il mio stesso trauma», e che da allora altre segnalazioni riguardo a tweet considerati problematici sono state ignorate dalla dirigenza.