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  • Venerdì 20 maggio 2022

“Domani” fa un mensile di narrativa e cultura

Si chiama "Finzioni", uscirà in edicola dal 21 maggio e raccoglierà racconti di scrittori come Teresa Ciabatti, Jennifer Egan, Nicola Lagioia e Walter Siti

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È un periodo di esperimenti con riviste e inserti per molti giornali, come Cose spiegate bene del Post, le molte pubblicazioni create da Linkiesta, l’Essenziale di Internazionale e Review del Foglio. Sabato 21 maggio ne arriverà uno nuovo: un mensile di narrativa e cultura del quotidiano Domani, disponibile in edicola. Curato da Beppe Cottafavi, editor, consulente di Mondadori Libri e responsabile della sezione Idee del quotidiano, si chiamerà Finzioni. Come il precedente Scenari, dedicato alla cosiddetta geopolitica, avrà il formato dell’inserto: sarà fatto dunque della stessa carta del giornale.

Il primo numero avrà 32 pagine e raccoglierà racconti o saggi di scrittori e scrittrici come Teresa Ciabatti, Jonathan Bazzi, Viola Di Grado, Jennifer Egan, Nicola Lagioia, Letizia Pezzali, Tiziano Scarpa e Walter Siti, e un fumetto di Fumettibrutti. Ci sarà anche un racconto di Antonio Delfini (1907-1963), scrittore modenese di cui Einaudi ha da poco pubblicato i Diari, accompagnato da scritti inediti di Natalia Ginzburg e di Pier Paolo Pasolini. In aggiunta ai contributi più letterari ci saranno interventi di satira degli autori tv Chiara Galeazzi e Alessandro Gori (che forse conoscete per Una pezza di Lundini) e del curatore del profilo Instagram Adelphighetti. Sulla prima pagina e non solo ci saranno ritratti e disegni di Tullio Pericoli: quello in copertina rappresenta Jorge Luis Borges, che intitolò Finzioni una sua celebre raccolta di racconti.

Pubblichiamo uno dei racconti del primo numero: “Il mondo visto dal quartiere. Dal Pigneto a Soho” di Francesco Pacifico, di cui è da poco uscito Solo storie di sesso. La rivista sarà presentata al Salone del Libro di Torino il 20 maggio, dalle 18.15 alle 19.15.

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Il mondo visto dal quartiere. Dal Pigneto a Soho
In due anni sono uscito dal quartiere solo per andare in centro. Avevo letto che si era svuotato ed era vero: non solo era vuoto di turisti ma aveva anche perso il suo senso, non esisteva più l’aspirazione ad arrivarci. Mano a mano che riprendono gli eventi, sono ancora come isolati l’uno dall’altro, dei fatti fine a sé stessi che non innescano movimento.

L’altra sera sono tornato nel locale di un amico a San Lorenzo. Pochi clienti, nessuno del vecchio giro. Il proprietario l’avevo sempre visto al centro di questa comunità di persone, invece adesso era simpatico e dolce come lo conoscevo ma era solo in mezzo al niente. Le strade erano quasi deserte, perfino la piazza pedonale che cominciava a venti metri dal tavolino dove mi ero seduto con mia moglie. Senza dircelo, abbiamo deciso di non fargli domande su com’era cambiata la zona. Avevo letto che l’equilibrio tra la tradizione del quartiere, il commercio, il mercato immobiliare e il crimine organizzato era saltato.

Ai tavolini sul marciapiede di fronte erano seduti tre uomini: due ragazzi dall’aria borghese ed eccitata, un uomo sui trentacinque e più cupo, bianco con un accento dell’Est. Una conversazione di risate sicure che rivelava una rara simpatia interclassista; parlavano di giri, di soldi e di cose costose. A un certo momento è passata una macchina della polizia. Dopo un minuto è arrivato un loro amico e ha lasciato la macchina per strada; uno dei ragazzi borghesi ridendo ha detto Ammazza che occhio, sei arrivato appena se ne sono andate le guardie. La frase ha squillato nella strada vuota.

Quando ci siamo alzati e ce ne siamo andati avevamo addosso la sensazione che non saremmo tornati mai più da quelle parti. Pochi giorni dopo invece una coppia di amici ci ha invitati a bere in un circolo che ha aperto dall’altro capo dello stesso quartiere. Si è parlato tanto di Soho House perché è una mossa poco romana: un circolo internazionale che apre una sede a Roma per portare aspirazioni. Le ambasciate, l’architettura coloniale, le exclave, i circoli di cultura nazionale all’estero – le bolle di cultura straniera sono tra le mie esperienze preferite, danno sensazioni crudeli, spietate; piegando l’atmosfera, illustrano in maniera inconfutabile cos’è il potere: il potere economico o politico è l’ebbrezza di imporre a piacimento una nuova atmosfera. Questo circolo straniero è un palazzo di dieci piani costruito da zero il cui aspetto, quando si staglia di notte all’angolo del quartiere, rimanda a un disegno architettonico di fine Ottocento, con la massa rivelata dalle ombreggiature, leggermente irreale. Sembra completamente estraneo e insieme sembra sia sempre stato lì. Dentro, l’illuminazione racconta come si illuminano i posti costosi nella nazione potente che ce l’ha portato. Ogni spazio è definito dai punti di luce, che disegnano i percorsi tra i divani, i tavoli, i banconi con il minimo di elettricità necessario, immergendo le cose e i corpi in una delicata ultradefinizione.

Il potere sprigionato da questo palazzo distante duecento metri dalla via deserta del locale del mio amico è incarnato dal suo ingresso. Sono rimasto a osservarlo all’entrata e poi uscendo alla fine dell’aperitivo: semplici porte a vetro con la molla, sul marciapiede non c’è traccia di un sistema per chiudere e sbarrare il palazzo: non hanno le grate, non sembra esserci saracinesca, il palazzo è come protetto da un campo magnetico e quel che dice è insieme che sarà sempre aperto e che è inespugnabile.