Pensiamo di essere l’Arca ma siamo il diluvio

«Quando noi europei iniziammo a costruire gli zoo nel XIX secolo, sottovalutammo la complessità degli animali e sopravvalutammo la nostra capacità di andare incontro alle loro esigenze. Gli zoo vennero progettati con una mentalità imperialista. Vennero riempiti con tutti gli animali che si riuscirono a trovare e si favoleggiava persino di portarci le balene. Non si capì che gli animali avevano altre esigenze oltre al cibo: avevano bisogno delle condizioni per comportarsi come in natura»

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Un elefante è una persona? Ovviamente no. Ma un elefante dovrebbe essere una persona giuridica? Sì, o almeno lo sosterranno questo mese, il 18 maggio, degli avvocati di New York. Diranno che un’elefantessa asiatica di nome Happy dovrebbe essere considerata un soggetto di diritto, come le corporazioni e le navi. Potrebbe sembrare un tema frivolo ma è importante. La questione di fondo è se Happy appartenga o meno a uno zoo e se abbia quindi diritto a una vita più libera.

Molti di noi sono cresciuti andando allo zoo a vedere animali esotici: elefanti, gorilla, orsi polari… Pensavamo fosse normale, anzi amavamo questi animali e pensavamo di aiutarli. Purtroppo, in molti casi non era così. Prendiamo un indicatore semplice: la longevità. Si può pensare che gli elefanti vivano una vita più lunga negli zoo, dove ricevono cibo e cure mediche, che in natura, dove sono a rischio bracconaggio. Uno studio della rivista Science, però, ha scoperto che la vita media di un elefante africano allo zoo è solo di 17 anni contro i 36 anni in natura; gli elefanti asiatici utilizzati per il disboscamento in Myanmar vivono in media 42 anni ma meno di 19 anni se tenuti negli zoo.

Quando noi europei iniziammo a costruire gli zoo nel XIX secolo, sottovalutammo la complessità degli animali e sopravvalutammo la nostra capacità di andare incontro alle loro esigenze. Gli zoo vennero progettati con una mentalità imperialista. Vennero riempiti con tutti gli animali che si riuscirono a trovare e si favoleggiava persino di portarci le balene. Non si capì che gli animali avevano altre esigenze oltre al cibo: avevano bisogno delle condizioni per comportarsi come in natura.

Questo, per un elefante che vive in uno zoo, è quasi impossibile. In natura gli elefanti hanno relazioni sociali complesse: le nonne aiutano a crescere i piccoli ma negli zoo sono separate dalle loro famiglie; in natura gli elefanti camminano per centinaia di chilometri ma negli zoo c’è pochissimo spazio; il clima non è lo stesso e i duri pavimenti, spesso di cemento, provocano dolori alle zampe.

Persino gli elefanti che sopravvivono conducono spesso delle vite tristi. Happy, l’elefantessa di New York, arrivò dalla Thailandia nel 1977 quando aveva 5 o 6 anni. Ora ne ha circa 51 e per molto tempo ha vissuto in uno spazio recintato senza altri elefanti. Il suo spazio era grande quanto un piccolo campo da calcio: minuscolo. Gli avvocati del Nonhuman Rights Project, un’organizzazione no profit, volevano spostarla in una riserva naturale, dove avrebbe avuto più spazio e altri elefanti a farle compagnia.

Anche altri animali vivono male nello zoo. Gli uccelli di grandi dimensioni non possono volare e gli orsi polari non possono vagabondare. David Attenborough, il conduttore televisivo che iniziò la sua carriera con un programma in cui gli animali venivano catturati e trasportati negli zoo britannici, ora spiega che i gorilla sono troppo intelligenti per essere tenuti in cattività. Per gli animali di grandi dimensioni, vivere negli zoo deve essere simile a un lockdown permanente.

C’è chi sostiene che gli zoo aumentino la consapevolezza verso gli animali. Forse era vero nel XIX secolo ma oggi abbiamo fantastici documentari sulla vita in natura. E poi cosa imparerebbero i bambini allo zoo? Che gli animali possono vivere in piccole gabbie, lontano dal loro habitat naturale? È una visione fuorviante.
Gli zoo, dal canto loro, sostengono di combattere l’estinzione. È vero che stiamo vivendo una crisi di questo tipo: una specie di mammiferi su quattro e una specie di uccelli su cinque rischia di scomparire. Ma la maggior parte degli animali degli zoo non verranno mai reintegrati in natura, perché non hanno nessun posto in cui andare.

Per combattere l’estinzione non abbiamo bisogno di zoo: abbiamo bisogno di spazi protetti. In Africa ci sono circa 415mila elefanti. Perché sopravvivano, bisogna creare delle aree protette e trovare delle alternative economiche per le persone del luogo che vogliono usare la stessa terra per l’agricoltura e soprattutto per l’allevamento.

Nel mio libro Amare gli animali spiego che ci consideriamo amanti degli animali ma le nostre azioni vanno nella direzione opposta. A causa dell’espansione dell’agricoltura, dell’allevamento intensivo e del cambiamento climatico, questo potrebbe essere il momento peggiore di sempre per un animale non umano. Quando andiamo allo zoo, pensiamo di aver costruito l’arca di Noè ma in realtà, come ha detto Carl Safina, scrittore che si occupa del mondo naturale, noi siamo il diluvio.

Da piccolo mi piaceva andare allo zoo ma ora non ci porto mai i miei figli. Se uno ama davvero gli animali è meglio vederli nel loro ambiente naturale, fossero pure le rane in uno stagno, e impegnarsi a proteggerlo. Dovrebbe mangiare meno carne, così da avere bisogno di meno terre per l’agricoltura e da ridurre le emissioni di carbonio.

Stabilire se Happy sia o meno una persona è una questione giuridica difficile. La questione morale, invece, è più semplice: tutti gli elefanti provano emozioni e dolore, le loro vite dovrebbero avere un valore. Come essere umani abbiamo il potere di proteggerli. Abbiamo il dovere di fare piccoli sacrifici necessari. Potrebbero darci persino più soddisfazione che andare allo zoo.

Henry Mance presenterà “Amare gli animali”, da poco pubblicato da Blackie Edizioni, al Salone del libro di Torino il 20 maggio alle 13:45, insieme a Giulia Innocenzi e Roberto Palladino.

Henry Mance
Henry Mance

Henry Mance è uno dei più importanti autori del Financial Times. Ha lavorato in un mat­tatoio e in un allevamento di maiali, per sentirsi meno in colpa ha adottato due galline ovaiole vecchie e sterili, regalando loro una fine dignitosa. Vive a Londra con due figlie, una gatta e un numero imprecisato di rane.

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