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  • Mercoledì 27 aprile 2022

Il lockdown con i recinti a Shanghai

Sono stati installati negli ultimi giorni, spesso senza preavviso, per bloccare all'interno degli edifici le persone positive o a rischio di contagio

(EPA/ALEX PLAVEVSKI)
(EPA/ALEX PLAVEVSKI)
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A Shanghai, dove la situazione è sempre più difficile a causa di un’ondata di coronavirus iniziata più di un mese fa, da qualche giorno le autorità locali hanno iniziato a installare recinzioni e reti all’esterno degli edifici per ridurre i movimenti della popolazione. Le barriere sono comparse in numerosi quartieri, senza che gli abitanti fossero avvisati per tempo.

Alcune immagini del trasporto e del montaggio delle reti sono state condivise sulle chat e i social network cinesi, superando le censure del governo della Cina, che sta cercando di limitare il più possibile la circolazione di notizie non ufficiali sul lockdown. Nelle fotografie si vedono camion che trasportano grandi quantità di reti verdi verso alcuni quartieri della città, e altre zone dove sono già stati installati.

Da fine marzo buona parte dei circa 26 milioni di abitanti di Shanghai è sottoposta a un rigido lockdown, in seguito a un sensibile aumento dei casi positivi rilevati nella zona. La gestione dell’emergenza è stata spesso caotica, con quartieri chiusi senza preavviso e altri riaperti e nuovamente chiusi in seguito all’emergere di ulteriori contagi. Nelle ultime 24 ore Shanghai ha rilevato 13.562 nuovi casi positivi, con oltre 1.600 casi sintomatici e ha segnalato 48 decessi a causa del COVID-19.

Per gestire il lockdown in un’area urbana così estesa, il governo cinese ha fatto affidamento su migliaia di funzionari, spesso con scarsa esperienza e raccolti tra i comitati locali del Partito comunista cinese. A loro è stato affidato l’incarico di gestire le varie porzioni in cui è stata divisa Shanghai, organizzando i test di massa, i ricoveri in ospedale per i sintomatici e l’isolamento nei centri dedicati alle persone positive, ma prive di sintomi.

I funzionari di basso livello dedicati a questi compiti sono circa 50mila in tutta la città, organizzati in vari comitati sul territorio. Entro certi limiti, ogni comitato ha possibilità di scelta su come gestire il lockdown, applicando regole più o meno severe per la popolazione. In alcune zone i comitati hanno per esempio concesso agli abitanti permessi di vario tipo per lasciare le loro case in cerca di medicinali o per aiutare i vicini. Altri funzionari si sono rivelati più inflessibili, rendendo molto difficile il reperimento di cibo e altri generi di conforto, anche per gli animali domestici.

La stessa variabilità nell’applicazione delle regole ha riguardato la costruzione di palizzate e cancelli intorno ad alcuni edifici. Formalmente, le persone in queste “aree sigillate” non possono uscire di casa per nessun motivo, sia che abbiano il coronavirus sia che siano negative, secondo le autorità locali per ridurre il rischio che vengano contagiate. Raramente gli abitanti vengono avvisati sulla costruzione dei recinti, ritrovandoseli fuori dalla porta da un momento all’altro, a volte con lucchetti e catene per impedire qualsiasi uscita o ingresso.

In alcune zone le reti sono state installate, evidentemente seguendo le istruzioni del governo, ma non sono poi sorvegliate o chiuse a chiave: formalmente ci sono e questo sembra bastare ai funzionari che se ne dovrebbero occupare.

La presenza delle reti ha inoltre reso più difficoltosa la distribuzione di cibo e altri beni da parte dei fattorini, il cui lavoro nelle ultime settimane si è rivelato essenziale per i residenti bloccati nelle loro abitazioni. Tramite le app per le consegne a domicilio e quella per i messaggi WeChat, molti abitanti hanno organizzato gruppi di acquisto per semplificare la distribuzione del cibo, anche se effettuare un ordine non è semplice a causa della domanda molto alta e del numero limitato di negozi aperti e fattorini al lavoro.

La scarsa applicazione delle regole molto restrittive in alcuni quartieri sembra derivare da una scelta dei comitati locali di non porre sotto ulteriori pressioni la popolazione, stanca dopo settimane di isolamento e senza prospettive sulla fine del lockdown. Le dure limitazioni e la mancanza di informazioni chiare ha spinto la popolazione di Shanghai a organizzare proteste di vario tipo, sulle quali ci sono solo notizie parziali a causa della forte censura da parte del governo cinese.

Nei giorni scorsi era circolato online un video che mostrava gli effetti del lockdown sulla popolazione, condiviso molte volte e alla base di alcune delle proteste. Il video è una raccolta di conversazioni tra alcuni abitanti, i funzionari che gestiscono il lockdown nei vari quartieri e altre istituzioni. Le conversazioni sono difficili da verificare in maniera indipendente, ma danno efficacemente l’idea di che cosa stia succedendo ormai da più di un mese in molte aree di Shanghai.

La Cina ha intanto deciso l’istituzione di un lockdown a Yiwu, una città di 1,2 milioni di abitanti nello Zhejiang, in seguito alla segnalazione di alcuni casi di COVID-19. Il governo ha inoltre disposto alcuni giorni per effettuare test di massa sulla popolazione di Pechino, con l’obiettivo di anticipare un’eventuale ondata nella capitale isolando il più velocemente possibile i positivi, anche se asintomatici.

Con qualche parziale revisione, il governo della Cina mantiene ancora la cosiddetta strategia “zero COVID” per provare a contenere i contagi. Il sistema prevede l’impiego di lockdown molto rigidi nelle aree dove si sviluppano focolai di COVID-19 e test di massa per la popolazione, in modo da identificare il maggior numero possibile di casi anche asintomatici, isolandoli poi dal resto della popolazione. Fino ai primi mesi del 2022, questo approccio aveva consentito alla Cina di contenere enormemente i nuovi contagi, ma si sta mostrando poco adeguato per contrastare la diffusione della variante omicron, molto più contagiosa.