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  • Mercoledì 27 aprile 2022

Alla fiera delle calzature di Mosca ci sono quasi 50 aziende italiane

Cercando di rispettare i divieti imposti dalle sanzioni, sono lì per preservare un mercato importante in mezzo alle polemiche

Visitatori all'esposizione di Mosca (foto sito Obuv’ Mir Kozhi)
Visitatori all'esposizione di Mosca (foto sito Obuv’ Mir Kozhi)
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Quarantotto aziende del settore calzaturiero italiano sono in questo momento a Mosca per partecipare all’Obuv’ Mir Kozhi (“Scarpe in pelle dal mondo”), fiera del settore calzaturiero e della pelletteria che si tiene al centro esposizioni Krasnaja Presnja della capitale russa. L’esposizione è iniziata il 26 aprile e si concluderà il 29, e la partecipazione delle aziende italiane ha provocato alcune polemiche, anche se le imprese non stanno violando nessuna norma sulle sanzioni.

Il regolamento europeo legato al quarto pacchetto di sanzioni vieta infatti la vendita sul mercato russo di beni di lusso con un valore superiore a 300 euro (oltre alle scarpe per esempio ci sono sigari, gioielli, caviale): e gli espositori italiani si sono adeguati a questa norma, proponendo ai rivenditori russi i modelli in listino con prezzi inferiori. Inoltre, durante le contrattazioni, potranno abbassare i prezzi di alcuni modelli.

La presenza di imprenditori italiani alla fiera di quest’anno è comunque inferiore a quella degli anni passati. Delle 48 aziende partecipanti, 31 sono marchigiane: 2.250 delle 11.665 imprese di settore presenti in Italia, pari al 19%, sono infatti nelle Marche. A organizzare l’esposizione di Mosca sono, dal 1997, Bolognafiere e Assocalzaturifici, l’associazione di settore che fa parte di Confindustria. A pagare le spese degli stand, per quanto riguarda gli espositori marchigiani, è la regione Marche. L’assessore regionale alle Attività produttive delle Marche, Mirco Carloni, ha detto al Fatto Quotidiano: «La Regione Marche condanna la guerra in tutte le sue forme e continuerà a aiutare i profughi ucraini ma, vista la situazione, non si può girare dall’altra parte, lasciando sole le imprese marchigiane colpite dalla crisi. E la calzatura è il nostro fiore all’occhiello».

Il mercato russo è importante per le aziende calzaturiere italiane ma, guardando le cifre, non appare così determinante. Secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore dopo il Micam, la fiera internazionale delle calzature che si è svolta a Milano dal 13 al 15 marzo, la Russia vale il 2,7% dell’export calzaturiero italiano e, per le imprese italiane, è il decimo mercato (l’Ucraina è il 26esimo con lo 0,4%). Contano molto di più per l’Italia il mercato europeo (Svizzera e Francia in testa), quello americano e quello cinese.

È vero anche però che la Russia rappresenta un mercato molto proficuo per i produttori di scarpe d’alta fascia. Nel 2020 il prezzo medio delle calzature a livello globale era valutato in circa 15 dollari a paia con un consumo pro capite di 2,6 paia l’anno e una spesa individuale di 42,6 euro. In Italia il prezzo medio di un paio di scarpe è stimato in 42,6 euro per un consumo pro capite annuo di quattro paia e una spesa di circa 170 euro. L’Italia è tra i più importanti produttori di calzature di lusso: il prezzo medio delle esportazioni italiane (60,43 dollari a paio) è il più elevato al mondo, molto davanti a quello della Francia (36,44 dollari a paio) e superiore di oltre dodici volte a quello cinese (4,79 dollari a paio). In Italia le imprese sono 4.500, per 70mila addetti. Oltre al distretto delle Marche, che è quello più ampio, le altre Regioni coinvolte maggiormente nella produzione sono la Toscana, il Veneto e l’Emilia per quanto riguarda l’alta gamma. Poi Lombardia, Campania e Puglia.

Quello che rischia di mancare, in seguito alle sanzioni decise contro la Russia, è secondo una relazione di Mediobanca una parte importante di acquirenti con grande disponibilità economica: in sostanza quelli che possono comprare modelli di scarpe da mille euro. «Le sanzioni», ha scritto Mediobanca, «potrebbero limitare la spesa dei consumatori russi, in particolare gli high net worth individuals (individui ad alto patrimonio netto)». Secondo le previsioni rischiano, quindi, di essere penalizzate le aziende dai marchi più lussuosi. Prima i russi con buone disponibilità economiche venivano in Italia per acquistare non solo scarpe ma articoli di moda in generale, ora di questi acquirenti si dovrà per forza fare a meno.

A proposito della situazione in cui si trova il settore italiano i dati sono contrastanti. Nel 2021 il giro d’affari delle 170 industrie calzaturiere analizzate dal report di Mediobanca (tutte con fatturati annui superiori a 10 milioni di euro) è arrivato a 9,5 miliardi di euro con una crescita del 21% rispetto al 2020, ma ancora inferiore (-6%) rispetto al 2019. Ma il settore calzaturiero, assieme a quello del tessile e dell’abbigliamento, è anche quello che ha registrato il maggior numero di richieste di ammortizzatori sociali: prima con la cassa integrazione legata al Covid e ora con quella ordinaria. A causa della pandemia, lungo la costa adriatica hanno chiuso nel 2021 oltre 100 aziende calzaturiere e sono stati persi oltre 1.200 posti di lavoro, ha scritto di recente sull’Essenziale Angelo Mastrandrea.

Il cosiddetto “segmento di alta gamma”, cioè i marchi di lusso, si era ripreso meglio dopo la pandemia, registrando una crescita del 32%, contro il 13% delle aziende della fascia più economica. Ora però quei marchi rischiano di soffrire di più le limitazioni sul mercato russo.

In particolare, è un timore delle aziende marchigiane: la regione è la prima in Italia per numero di aziende e scarpe prodotte. Una scarpa su tre importata in Ucraina proviene dalle Marche, mentre la provincia di Fermo è la principale esportatrice in Russia.

Ha detto al Quotidiano nazionale il presidente reggente di Confindustria di Fermo, Arturo Venanzi: «Nel settore calzaturiero ci sono aziende che hanno l’80% del fatturato legato al mercato russo e ucraino. Il problema più importante, al momento, è il mancato pagamento di ordini e merce consegnata. E questo perché le banche italiane non lavorano più con la Russia. Ci devono essere i margini per far arrivare i pagamenti. Ma per riuscirci serve l’intervento del governo. Tecnicamente si stanno fermando soldi nostri».