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  • Sabato 26 marzo 2022

Cosa è diventata la Pravda

Uno dei giornali più famosi e famigerati del Novecento, organo della dittatura sovietica, oggi ha perso rilevanza nel limitato panorama dell'informazione russa

Lenin legge la Pravda, circa 1920 (Hulton Archive/Getty Images)
Lenin legge la Pravda, circa 1920 (Hulton Archive/Getty Images)

Durante tutto il periodo di esistenza dell’Unione Sovietica, fino al 1991, leggere e “interpretare” la Pravda era il modo migliore – avendone le competenze – per conoscere la linea ufficiale che guidava quella dittatura. Organo di stampa ufficiale del Comitato Centrale del Partito Comunista Sovietico dal 1918 fino allo scioglimento dello stato, la Pravda (in russo: Verità) è stata per decenni la voce ufficiale dell’URSS.

Era la più studiata nel mondo occidentale durante i decenni della Guerra Fredda, ma soprattutto il giornale che tutti “dovevano” leggere all’interno della federazione delle repubbliche sovietiche, che arrivò a una diffusione massima di undici milioni di copie giornaliere: e ne divenne quasi proverbiale, all’interno come all’esterno, la promozione rigida e cieca della propaganda del regime.

Il giornale esiste ancora oggi in Russia, il maggiore degli stati nati dalla dissoluzione dell’unione delle repubbliche sovietiche, ma sotto la testata Pravda escono due pubblicazioni, entrambe divenute piuttosto marginali nel panorama mediatico russo: una cartacea e diretta erede di quella originaria, che è il giornale ufficiale dell’odierno Partito Comunista russo; l’altra online, più esplicitamente filogovernativa e con edizioni internazionali.

La Pravda fu fondata ufficialmente a San Pietroburgo il 5 maggio 1912, anniversario della nascita di Karl Marx, ma in realtà esisteva già dal 1905 e per i primi anni circolò soprattutto nei circoli anti zaristi fuori dal territorio russo: dal 1908 la direzione era affidata a Lev Trotsky, che sarebbe stato uno dei principali leader della rivoluzione bolscevica che travolse gli zar e dei primi anni dell’URSS, a Vienna. Prima della “Rivoluzione d’Ottobre” del 1917 fu una pubblicazione quasi clandestina, chiusa ripetutamente dalla polizia zarista e costretta a uscire con nomi sempre diversi.

Diventata organo della fazione bolscevica, pubblicò sulle sue pagine le famose “Tesi di Aprile” di Lenin: dieci punti programmatici su come sarebbe dovuta continuare la rivoluzione dopo i primi successi. Dal marzo 1918 la Pravda fu trasferita a Mosca e divenne il giornale ufficiale del Partito Comunista, sotto il controllo di Lev Kamenev e di Josif Stalin. Durante tutta l’epoca sovietica raggiungeva ogni parte del paese, rappresentava la linea del governo di Mosca e svolgeva, parallelamente a quella informativa, anche una funzione “educativa”, con lunghe esposizioni della dottrina del Partito e del suo programma. L’abbonamento alla Pravda era obbligatorio per imprese statali, per le forze armate e per le varie emanazioni del regime, ma era letta in patria anche per le approfondite analisi economiche, scientifiche, culturali e letterarie.

All’estero la lettura della Pravda era strumento fondamentale per politici, giornalisti e chiunque si interessasse di Unione Sovietica: in un panorama di censura e grande assenza di notizie, anche piccoli dettagli all’interno di lunghi articoli rappresentavano segnali preziosi per cogliere reali e significativi movimenti politici interni. Uno degli esempi più ricorrenti è quello degli elenchi dei partecipanti agli eventi ufficiali: l’ordine in cui venivano presentati indicava chi fosse di volta in volta nei favori della leadership comunista, mentre anche una velata critica era segno di una “caduta in disgrazia”.

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Saltuariamente comparivano notizie dalle province più lontane da Mosca, all’epoca irraggiungibili per i corrispondenti stranieri, e le lettere dei lettori, seppur filtrate, approvate e corrette, consegnavano indizi sulla vita reale del popolo sovietico. Per chi abbia vissuto negli anni della Guerra Fredda – la contrapposizione nata dopo la fine della Seconda guerra mondiale tra i paesi del “blocco comunista” e quelli occidentali guidati dagli Stati Uniti – la Pravda, uno dei “brand” sovietici più riconoscibili all’estero, ha sempre rappresentato la voce dell’URSS ed è stata citata con costanza dai giornali occidentali.

Va interpretata come eredità di questa considerazione anche l’iniziativa di questi giorni del quotidiano italiano Libero di tradurre integralmente l’edizione del 22 marzo della Pravda nel tentativo di mostrare come sia raccontata la guerra in Ucraina ai lettori russi.

Ma la scelta è oggi poco rappresentativa, e nei trent’anni trascorsi dalla dissoluzione dell’URSS, la Pravda ha vissuto diverse vicende che l’hanno cambiata profondamente privandola quasi del tutto della sua rilevanza. Nel 1991 Boris Eltsin, primo presidente della nuova Federazione russa, la vendette a un imprenditore greco, con cui divenne – come Pravda International – la voce dell’opposizione conservatrice e nazionalista fino al 1996, quando la testata fu acquistata dal Partito Comunista della Federazione russa – oggi il secondo partito per rappresentanza parlamentare – che la restituì al suo ruolo di organo ufficiale.

Una parte dei giornalisti di allora però contestò la cessione e fondò il giornale online Pravda.ru, registrato nel 1999 con edizioni anche in inglese e portoghese. Il sito di news, dopo una sentenza che ha permesso a entrambi i giornali di usare la testata Pravda, è attualmente controllato dall’uomo d’affari e politico Sergej Veremeenko, uno degli oligarchi vicini a Putin.

Pravda.ru, che negli anni ha ospitato teorie cospirazioniste, posizioni fortemente nazionaliste e titoli da tabloid come “Gli alieni costringono gli USA ad abbandonare la Luna” o “Scienziato russo rivela: Macchina del tempo costruita in Europa”: oggi presenta in homepage non solo tutte le fake news della propaganda del Cremlino sulla guerra, ma anche teorie più radicali, come la “possibilità di un attacco biologico attraverso pipistrelli” da parte degli Stati Uniti e dell’Ucraina.

Lo sdoppiamento della Pravda divenne più noto fuori dalla Russia nel 2013 quando il senatore statunitense John McCain, in risposta a un intervento di Vladimir Putin sulla guerra in Siria ospitato dal New York Times, annunciò che avrebbe scritto una risposta sulla Pravda. Fu pubblicata su Pravda.ru, con risposta indignata della Pravda comunista, che ribadì di essere “l’unica legittima erede” del giornale sovietico.

Questa Pravda cartacea si presenta oggi con la stessa testata di allora, accompagnata dalle tre medaglie ricevute in epoca sovietica e dal motto “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”. Esce tre volte alla settimana, il martedì, il giovedì e il venerdì, con un formato da quattro o otto pagine. La redazione, ancora ospitata in una parte degli uffici storici, fu visitata da un giornalista di Reuters nel 2012, in occasione dei festeggiamenti per i cento anni: “All’entrata si è accolti da un busto di Lenin, mentre quelli di Stalin e Marx sono piazzati dietro la scrivania del direttore”.

Allora aveva 23 giornalisti e dichiarava 100mila copie di tiratura, ulteriormente scese nell’ultimo decennio. Se nei primi anni dopo la fine dell’Unione Sovietica il Partito Comunista e il suo maggiore esponente, il nostalgico Gennadij Zjuganov, furono una reale forza alternativa prima a Eltsin e poi alla prima candidatura di Putin, oggi costituiscono una opposizione di facciata, tollerata dal presidente perché inoffensiva e aderente alle posizioni governative per quel che riguarda la politica estera. Sull’Ucraina, ad esempio, Zjuganov chiedeva il riconoscimento delle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk sin dal 2014.

Il giornale del partito, la cui direzione è affidata dal 1993 a un iscritto di lungo corso, Boris Komotsky, ha avuto un certo seguito fra i nostalgici dell’epoca sovietica fino ai primi anni Duemila. Oggi, spiega Giovanni Savino, storico, già docente per molti anni a Mosca, «è praticamente irrilevante, ha una diffusione limitata e spesso gratuita, affidata a volte a simpatiche vecchiette posizionate fuori dalle stazioni della metro di Mosca».

Ma è tutta la stampa scritta ad avere un impatto declinante nel mondo dell’informazione russo, sempre meno libero. Le due testate di cui risulta il maggior numero di lettori – soprattutto online – sono la free-press Metro, il tabloid Komsomolskaya Pravda e Rossiyskaya Gazeta, organo ufficiale della Federazione Russa (sul quale vengono pubblicati anche gli atti legislativi), forse il vero erede della Pravda.

Il giornale a maggiore tiratura su carta è Argumenti i Fakti, un settimanale da tre milioni di copie nato nel 1978, oggi di proprietà del governo della città di Mosca e che nella sua forma attuale ricorda per stile i tabloid inglesi. Il più autorevole e indipendente è invece Novaya Gazeta, fondato nel 1993 da altri giornalisti fuorusciti dalla Pravda e finanziato da Mikhail Gorbaciov, ultimo segretario generale del PCUS, e da Alexander Lebedev, ex oligarca, ora editore nel Regno Unito dei quotidiani Evening Standard e Independent. Sette giornalisti di Novaya Gazeta, fra cui Anna Politkovskaya, sono stati uccisi dal 2000 a oggi, mentre il suo direttore Dmitry Muratov ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 2021.

Un recente sondaggio indipendente conferma che il 63 per cento dei russi dichiara di informarsi attraverso la tv (dove la propaganda è più forte e costante), il 43 tramite i social media e solo l’11 per cento dai giornali. In più, come è diventato ancora più evidente dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, lo spazio per la stampa libera si sta ulteriormente restringendo. Fra i primi sedici siti di informazione (per numero di visitatori unici al mese) quattordici sono dichiaratamente vicini al governo, mentre solo due, Rbc e Kommersant, sono meno schierati; il primo apertamente critico, Novaya Gazeta, arriva solo al 17° posto. Dal 4 marzo, però, l’accesso al suo sito dal territorio russo è stato bloccato, così come è accaduto a quello del canale di opposizione Tv Rain.

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