L’Accademia Bizantina di Bagnacavallo

Una delle migliori orchestre di musica classica del mondo ha sede nel teatro di un comune romagnolo: c’entrano Muti, Berio e dei talenti eccezionali

Luca Ragazzini è il general manager di Accademia Bizantina, un’orchestra di musica barocca tra le più importanti del mondo, con sede a Bagnacavallo, in provincia di Ravenna. Il nome potrebbe risultare strano: come mai un’accademia «bizantina» fa musica barocca? «Ci consideriamo nel nostro genere un mosaico bizantino», spiega Ragazzini. «Il nome è un’idea di Jörg Wolfgang Demus, un musicista che negli anni ’80 era molto famoso, tra i mentori dell’Accademia. L’intento era legare l’arte bizantina del mosaico all’orchestra ravennate. La nostra filosofia è di mettere insieme “pezzi”. Noi non abbiamo un direttore capo, ma tutti partecipano alle scelte artistiche, commerciali, promozionali».

Quattro amici al bar

L’Accademia nasce da un incontro di quattro amici “al bar” nel 1982. «Erano davvero quattro compagni al conservatorio, talentuosi e pieni di iniziativa, che fondarono un quartetto di musica classica contemporanea. Erano davvero bravi. Uno dei loro primi direttori fu Riccardo Muti. Qualche tempo dopo incontrarono Luciano Berio, che negli anni ha anche composto per l’Accademia, e con lui fecero molte attività sia discografiche che concertistiche. Nel corso del tempo il lavoro dei musicisti si è orientato sulla musica barocca».

I fondatori continuano a collaborare con l’Accademia, ma il ricambio generazionale è frequente. «In giro ci sono dei talenti mostruosi» sostiene Ragazzini.

Il cuore dell’attività dell’orchestra sono, ora come alle origini, i concerti.

«Incidiamo dischi, ma ci interessa anche sviluppare un’attività accademica vera e propria per divulgare la filosofia della nostra azione musicale».

Perché Bagnacavallo

Dal 2012 la sede dell’accademia è a Bagnacavallo, un comune in provincia di Ravenna.

Bagnacavallo, municipio e teatro Goldoni (Valentina Lovato/Il Post)

Il Teatro Goldoni, nella piazza principale del paese, ha un’acustica perfetta perché è una delle poche strutture teatrali romagnole che non hanno subìto danni durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale e quindi la sua cassa armonica, sotto la platea, ha mantenuto le caratteristiche originarie.

È un caso raro in Italia, perché gli interventi di stabilizzazione e gli adeguamenti strutturali che sono stati fatti nel dopoguerra hanno spesso influito sul risultato sonoro che si ottiene sul palco dei teatri.

«In questo teatro gestiamo una piccola stagione di musica barocca – dice Ragazzini – Noi siamo i principali interpreti, ma riusciamo a invitare altri importanti artisti e sovente registriamo dei dischi, grazie alle caratteristiche acustiche di questo luogo, ideale per il repertorio barocco».

Bagnacavallo, piazza Nuova (Valentina Lovato/Il Post)

Da laureando a general manager

Ragazzini ha conosciuto l’Accademia durante la tesi di laurea. Poi ha cominciato a collaborare occupandosi di logistica.

«Studiavo violino e il mio professore era già un componente dell’orchestra. All’inizio organizzavo i viaggi, compravo i biglietti, prenotavo gli alberghi… Ho fatto anche altre esperienze, ma quando il vecchio general manager è andato in pensione, sono arrivato io».

In questi due anni l’Accademia non ha sospeso totalmente la sua attività.

«La Spagna, ad esempio, non ha fatto il lockdown e comunque non ha mai chiuso i teatri. Fortunatamente avevamo un tour in quel paese e quindi siamo andati là a suonare. Diversi festival dove era prevista la nostra presenza hanno trasformato il concerto dal vivo in performance in streaming, e quindi ci siamo spesso ritrovati qui a Bagnacavallo: abbiamo trasformato il teatro in un set e la nostra esibizione è stata trasmessa via web. Quando c’era la sensazione che il virus allentasse un po’ avevamo preso impegni con paesi che si possono raggiungere in auto e quindi abbiamo lavorato in Svizzera, Austria, Germania. Bene o male siamo riusciti a stare a galla».

Equilibrismi

A dimostrazione delle gare di equilibrismo che una struttura di questo genere deve affrontare per sostenersi economicamente, Ragazzini racconta come l’Accademia è arrivata in questa sede: «Prima eravamo a Ravenna, dove un’azienda che ci sponsorizzava ci aveva concesso uno spazio, poi l’azienda fallì e fummo costretti a sgombrare i locali. Di tanto in tanto facevamo concerti in una chiesa qui in paese, così entrammo in contatto con l’allora assessore alla cultura del Comune di Bagnacavallo che ci aiutò a trovare questa collocazione, di cui siamo contenti».

In quarant’anni di attività ci sono stati episodi curiosi e divertenti. Uno dei maggiori sostenitori dell’attività dell’Accademia è stato incontrato da Ragazzini in spiaggia a Marina di Ravenna…

«Mi ero messo a raccontare di che cosa mi occupavo, e dei problemi economici con cui la musica classica ha sempre a che fare, e il vicino di ombrellone che non conoscevo minimamente si è appassionato. E senza volere mai apparire è diventato il mecenate dell’orchestra».

Si vive bene a fare il musicista barocco?

«Loro devono viaggiare continuamente. Hanno figli piccoli che portano con sé, non è facile mantenere un equilibrio. Certo che sono abituati così da sempre: questa è la loro vita. Dal punto di vista economico – ci dice Ragazzini – non stanno male. Non si arricchiscono, ma percepiscono un dignitoso stipendio».

I musicisti sono pagati “a progetto”, quelli che insegnano spesso hanno la partita IVA e, ovviamente, il livello dello stipendio dipende dal ruolo e dalla quantità di esibizioni effettuate.

Il mercato della musica classica

Per i vecchi appassionati l’acquisto del cd resiste ancora, ma anche la fruizione della musica classica passa per le piattaforme di streaming.

«I numeri che facciamo noi su Spotify e sulle principali piattaforme sono interessanti – spiega Ragazzini – Nessuno si arricchisce, ma dai proventi che arrivano da lì riusciamo a coprire qualche spesa. Abbiamo avuto degli album che hanno superato i 50 milioni di ascolti nel mondo».

Secondo Ragazzini il sistema discografico nella musica classica sta riproducendo, più in piccolo, le stesse dinamiche che funzionano nella musica pop.

«Quando si scopre che un personaggio funziona si investe tutto su di lui (o lei). Viene spremuto come un limone e quando il successo per sovraesposizione fatalmente cala, la star di turno viene abbandonata. La stessa cosa capita nella musica classica e soprattutto nella lirica. Ci sono interpreti capaci e promettenti che vengono caricati di impegni e di visibilità. Le loro doti canore vengono super sfruttate, e appena le cose cominciano ad andare peggio vengono accantonati e dimenticati. Non ci sono investimenti “di sistema”, non si lavora su una reale informazione, sensibilizzazione e cultura popolare nel repertorio della musica classica. Tutto è lasciato alla spontaneità, e credo che questo sia un problema e un impoverimento complessivo».

Ovviamente la musica classica è rivolta a un pubblico particolare, ma accompagnare il lavoro dei musicisti in giro per il mondo ha permesso a Ragazzini di conoscere l’approccio diverso che c’è in tanti paesi del mondo.

«Mi ricordo di essere stato particolarmente colpito dal pubblico giovanissimo che ho visto durante un tour cinese. Ho avuto la sensazione che l’età media non arrivasse ai trent’anni e non sto a descrivervi come fossero enormi e acusticamente straordinarie le sale cinesi… Erano tutti preparatissimi. Ero sconvolto. Ho chiesto spiegazioni di come persone così giovani potessero conoscere così bene la cultura barocca. La spiegazione aveva un nome: professional audience. In Cina ci sono esperienze di formazione del pubblico che partecipa ai concerti. Presso i teatri si organizzano corsi per approfondire l’opera dei compositori, la spiegazione dei concerti che si ascolteranno, la storia e la cultura della musica barocca. A differenza di quello che succede negli incontri con i musicologi che si fanno in Italia e in Europa, i numeri cinesi e l’intensità della preparazione sono decisamente maggiori».

In giro per il mondo si incontrano fenomeni di fan culture – cioè legati alla creazione di una comunità di appassionati – che somigliano a quelli del pop anche per i protagonisti della musica classica.

E il pubblico italiano com’è?

Ragazzini è convinto che «lo spettatore italiano questa musica ce l’ha dentro. Anche se non conosce nel dettaglio il repertorio barocco, questa musica è nel nostro DNA. Questa musica “ce l’abbiamo dentro”. L’emozione arriva subito in platea. La musica barocca è una forma di codificazione dell’emozione. Gli spettatori italiani sono generalmente più predisposti a recepire queste vibrazioni anche se non hanno una reale cultura musicologica. All’estero troviamo platee più preparate, con maggiori conoscenze, ma spesso più fredde e distaccate».

Si può essere innovativi facendo musica barocca?

La linea dell’Accademia, sotto la guida di Ottavio Dantone, ha assunto una fisionomia precisa orientata alla musica barocca.

Ottavio Dantone, direttore dell’Accademia Bizantina (Valentina Lovato/Il Post)

«Fa ridere dire che il lavoro di questi anni ha portato ad un linguaggio innovativo in questo stile – scherza Ragazzini – ma è così ed è internazionalmente riconosciuto».

Non è una scelta ideologica.

«Il barocco è l’inizio di una codificazione della musica – spiega Ragazzini – Se si conosce si possono affrontare con maggiore preparazione anche i repertori di musica emersa in epoca successiva. Se facciamo un esempio che riguarda il linguaggio, si può dire che, se si conosce bene il latino, imparare l’italiano o lo spagnolo diventa più facile. La stessa cosa vale nel linguaggio musicale: il barocco è la base di tutta la musica che è arrivata dopo».

Che differenza c’è nell’interpretazione della musica quando era vivo Vivaldi e interpretare Vivaldi oggi?

«La cosa più macroscopica è l’approccio del pubblico. L’opera di Vivaldi, ai suoi tempi, durava sei, otto, dieci ore. I teatri erano una sorta di bivacco, di accampamento: il concerto si faceva in questi ambienti, ma il pubblico chiacchierava, rideva, litigava, beveva, mangiava, l’opera era quasi un sottofondo. Poi arrivavano dei momenti di esibizione di un solista strumentale o di un cantante: tutti si fermavano attenti, poi riprendevano a “fare casino”. Godersi il concerto era una cosa più informale e vissuta con uno spirito un po’ diverso da quello nostri tempi».

Il passato, fin verso alla metà dell’800 era questo, ma come si suonerà Vivaldi nel 2050?

«Io immagino che i concerti del futuro siano molto ispirati dallo spirito di ricerca che anima l’Accademia. Non so dire se si suonerà Vivaldi in un teatro, in un bar o in uno stadio, ma sono certo che la strada che porta al futuro la stiamo tracciando anche noi, con il lavoro che facciamo qui».

Gramophone Classical Music Awards

Ogni anno i critici della rivista Gramophone e vari esperti del settore indicano i 10 candidati al titolo di “Orchestra dell’anno”.

Il vincitore è scelto dal pubblico attraverso una votazione online.

«I Gramophone Awards sono veramente gli Oscar della musica classica. Certo ci sono i Grammy e anche lì in passato siamo stati candidati – dice Ragazzini – ma la soddisfazione di essere considerati tra le migliori orchestre del mondo è stata grande».

«A un certo punto – racconta Ragazzini – alla fine di aprile del 2021, mi è arrivata una mail che annunciava che l’Accademia Bizantina era tra i 10 candidati. Io mi sono messo a piangere. Le orchestre candidate con noi sono potenze: i Berliner Philharmoniker, la Singapore Symphony Orchestra, la Bamberger Symphoniker. I migliori di tutto il mondo e… Bagnacavallo. Sono orchestre che hanno un teatro di proprietà, sostenute da capitali statali enormi. I critici fanno le nomination sulla base della qualità musicale e sull’attività di comunicazione. Dopo questo passaggio, per definire la classifica, il pubblico aveva tre mesi di tempo per votare via web. Io ero già felice così, anche perché l’Accademia Bizantina su Facebook ha 11 mila follower, i Berliner ne hanno un milione e mezzo. Siamo arrivati secondi! Se ci penso non ci credo ancora. Mi chiedo ancora chi ci ha votato».

La Minnesota Orchestra è stata la vincitrice di quest’anno.

«Sono contento che abbiano vinto loro perché dopo le violenze che ci sono state per reprimere il movimento di Black Lives Matter, l’orchestra, che aveva un contratto con la polizia della città, ha disdetto gli accordi sottoscritti, ha cancellato il cartellone che aveva e ha ingaggiato solo artisti di colore per tutta la stagione. Uno dei tre voti che avevo a disposizione l’ho dato a loro. Credo che l’arte e la cultura debbano dare anche questo tipo di messaggio, e hanno la responsabilità di prendere posizione di fronte alle violenze, alle ingiustizie e alle sopraffazioni».

Nel 2010 per la Bizantina era arrivata la nomination per il Grammy Award per il miglior disco di musica barocca.

Nel 2018 l’orchestra con Delphine Galou ha vinto con il disco Agitata il Gramophone Classical Music Award per la categoria Recital.

«I premi danno soddisfazione, ma non bisogna mai esaltarsi più di tanto – commenta il direttore Ottavio Dantone, con la razionalità che lo caratterizza – è come vincere un campionato dove non si era il favorito. Ci sono delle concomitanze favorevoli che certamente riconoscono la qualità del nostro lavoro, ma dobbiamo guardare avanti».

Ottavio Dantone

Il direttore della Bizantina è Ottavio Dantone, suona l’antenato del pianoforte: il clavicembalo. Non aveva pensato di dirigere, ma verso i trent’anni (quest’anno ne compie 62) gli hanno chiesto di concertare.

«Concertare vuol dire preparare insieme ai musicisti dell’orchestra le musiche trovando insieme dei criteri di interpretazione per “dare vita” alla musica. Quello che c’è scritto nelle partiture è solo una minima parte di quello che poi viene fatto sul palco: le note danno l’altezza dei suoni, ma è anche molto importante stabilire dei comportamenti musicali. Suonare è come parlare una lingua per farla capire a chi ascolta. Il compito del musicista è dare emozioni».

Dantone ha imparato a leggere e a scrivere la musica da solo. Poi ha fatto il cantore al Duomo di Milano: «Ho sempre respirato musica antica».

Quando era ragazzo e non aveva ancora cominciato a studiare le tastiere è passato davanti ad un negozio di strumenti musicali che esponeva un clavicembalo e «mi sono fermato per ore ad ammirare quello strumento, sognando di suonarlo».

È rimasto un sogno fino a metà degli anni ’70, quando andava di moda costruirsi gli strumenti da soli.

Dantone riuscì a trovare in vendita un kit per costruire un clavicembalo da un’azienda americana, la Zuckermann: il prezzo dello strumento era meno di un sesto di quelli che si trovavano in commercio già pronti.

«Io e un amico abbiamo comprato i pezzi e ci siamo costruiti il clavicembalo. Lo usiamo ancora per le prove in Accademia».

Tra i momenti di svolta della carriera di Dantone ci sono incontri avvenuti quasi per caso. Ad esempio quello con Riccardo Muti.

Dantone non sa dire se è un credente, ma in chiesa si è sempre sentito bene.

«La musica storicamente è stato un pretesto per avvicinarsi a Dio»

Un direttore d’orchestra, anche il più razionale, può emozionarsi fino alle lacrime mentre suona?

«Ci sono stati dei momenti, mentre suonavo e studiavo da solo, in cui scoprivo delle cose che mi emozionavano. Mi è capitato di commuovermi fino alle lacrime con le Fughe di Johann Sebastian Bach. Sembra strano, perché non hanno una melodia struggente. Io sono molto razionale e mi emoziona la costruzione immane della Fuga, la scrittura musicale che è stato capace di produrre è mirabolante. Io non riesco ancora a spiegarmi come un uomo sia riuscito ad arrivare a questo livello di elaborazione. Bach è senza ombra di dubbio il più grande ingegnere della musica. Se c’è un marziano caduto sulla terra, ecco, quello è lui. Con lui non si può parlare di ispirazione, la sua musica è costruzione, artigianato, puro ingegno».

Sorge un dubbio a chi cerca indizi di futuro nelle storie della provincia italiana: guardando a Bach, Corelli, Vivaldi… Lo sguardo dei musicisti che suonano musica barocca è rivolto indietro. Al passato. Non stiamo parlando di una musica morta?

«Noi siamo l’unica società moderna che consuma musica del passato. Ogni epoca “consumava” la produzione musicale del suo tempo. La musica che ha sempre accompagnato il gusto e la capacità di emozionare i popoli delle varie epoche ad un certo punto ha preso altre direzioni espressive e costruttive. Era come se si fossero esauriti: avevano sperimentato tutto quello che c’era da provare. Con l’avvento della dodecafonia, e poi della atonalità, la musica ha preso una direzione che “la persona normale” non era più in grado di comprendere. Oggi la musica classica contemporanea non viene seguita da tutti. Per questo ci siamo rivolti al passato perché stavamo cercando qualcosa che è dentro di noi e che ancora oggi ci emoziona. In fondo leggiamo libri antichi, guardiamo quadri dipinti secoli fa. Tutte le forme d’arte si sono evolute e hanno preso una loro strada, ma noi consumiamo anche l’arte e la musica del passato. Io credo che la vera scommessa della musica antica è recuperare le emozioni del passato e scoprire che sono le stesse anche oggi e lo saranno ancora per molto tempo».

La Bizantina utilizza gli strumenti d’epoca anche per questo, per offrire lo stesso timbro, la stessa sonorità di un teatro del 1700, anche se l’obiettivo finale è sempre quello di emozionare chi ascolta.

«Il recupero degli strumenti antichi è indispensabile, ma non si può fare l’errore di considerare lo strumento l’unico elemento per produrre musica barocca. È chiaro che il compositore ha pensato a quello strumento dal punto di vista sonoro, ma anche per l’articolazione musicale. In teoria si può fare tutto anche con uno strumento moderno, ma non è naturale come quando si utilizzano strumenti antichi. Poi i timbri sono un’altra cosa, hanno un impatto completamente diverso. Certo, si possono imitare, ma il suono che ne uscirà non è quello che aveva pensato il compositore e l’impatto emozionale è differente. Se si è onesti fino in fondo allora è necessario utilizzare gli strumenti antichi».

Anche se parliamo di musica antica, tutto è in continua evoluzione.

«Rispetto a cinquant’anni fa la musica antica si suona in modo diverso. C’è più consapevolezza da parte degli esperti e dei musicisti. Negli anni ’50, ad esempio, si sono riscoperti gli strumenti. È stato un elemento fondamentale capire che non si poteva suonare questa musica senza avere una competenza sul linguaggio».

Per Dantone è evidente che oggi la musica barocca ha più successo rispetto a qualche anno fa perché le conoscenze dei musicisti sono maggiori e riescono a comunicare questa musica in maniera più comprensibile ed emotivamente più chiara.

«Sì, ci rivolgiamo al passato ma con competenze estetiche, storiografiche, filosofiche che ci aiutano a recuperare gli elementi che possono portare il pubblico ad emozionarsi. Negli ultimi vent’anni c’è molto più pubblico ai concerti e io sono convinto che tra trent’anni ce ne sarà ancora di più. Noi sappiamo che l’artista è sempre un incompreso, non possiamo pretendere che il nostro lavoro sui particolari, a volte infinitesimali, sia avvertito da tutti. Nel complesso l’onestà con la quale affrontiamo la musica e la qualità complessiva dei musicisti fa sì che il nostro prodotto sia molto apprezzato».

Un direttore della preparazione di Dantone ha trovato degli errori fatti in origine dai compositori?

«Si possono trovare degli errori in tanti compositori. Ora stiamo per registrare un Concerto Grosso di Corelli: non è impossibile che ci siano errori anche perché gli spartiti di Corelli che sono arrivati fino a noi sono stampati e non so quanto possano essere stati controllati dall’autore. Peraltro erano stati stampati a Amsterdam, probabilmente lui avrà potuto dare un’occhiata, ma i tipografi dell’epoca non erano molto precisi. Però, con la nostra visione moderna della musica, a volte possiamo considerare errori degli elementi che per l’epoca non erano tali e potevano essere delle prassi del compositore. Anche su questo dobbiamo essere cauti e continuare a studiare».

«Il nostro direttore è un geniaccio del clavicembalo».

I romagnoli hanno uno slang che è difficile riportare fedelmente, ma al di là delle caricature certe espressioni ancorché poco traducibili in scrittura rendono l’idea.

Luca Ragazzini adora Dantone, ma racconta un aneddoto che riguarda il direttore dell’Accademia.

«A un certo punto fu contattato dal management di Madonna per suonare al matrimonio della popstar. Ottavio non sapeva chi fosse Madonna. Ci ha detto: “Io non suono ai matrimoni”. Era stato chiamato insieme a “mostri” della musica classica internazionale: Viktorija Mullova, le sorelle Katia e Marielle Labèque… Ma lui non è andato».

Il direttore d’orchestra deve essere amato dai suoi musicisti?

«Meglio se è amato – commenta Dantone – Noi qui siamo una famiglia, ogni tanto si discute, ma c’è un grande rispetto reciproco per cui è facile lavorare in questo clima. Quando vado a dirigere orchestre nuove io sono sempre un po’ in ansia perché se vuoi che i musicisti siano dalla tua parte, in qualche modo devi conquistarli, almeno dal punto di vista intellettuale. Non è più l’epoca dei direttori d’orchestra che si mettono a comandare, come poteva essere con Toscanini. L’autorità deve essere riconosciuta, non può essere pretesa».

Alessandro Tampieri

Bel tipo Alessandro Tampieri: fa il maratoneta ed è molto veloce di testa (lo avevamo già pensato vedendolo suonare, prima di sapere che fosse un abbonato al Post).

Lo abbiamo seguito, con il resto dell’orchestra, in un concerto di Antonio Vivaldi, al teatro di Bagnacavallo e nelle prove di registrazione di un disco di musiche di Arcangelo Corelli in uno strepitoso teatro di legno, L’Arboreto, costruito in mezzo a un bosco a Mondaino, in provincia di Rimini, al confine tra Romagna e Marche.

L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino (Valentina Lovato/Il Post)

È il concertmaster dell’orchestra e primo violino.

«Il violino punto di riferimento. Se ci sono delle parti da solista, le faccio io. Sono il coordinamento dei colpi d’arco». In pratica, il vicedirettore.

Alessandro Tampieri, concertmaster e primo violino dell’Accademia Bizantina (Valentina Lovato/Il Post)

Il suo lavoro alla Bizantina è più importante “per il cuore”. Poi insegna la viola al Conservatorio “Gioacchino Rossini” di Pesaro.

«Insegnare al conservatorio serve per comprarsi il pane, suonare per l’Accademia serve per comprare il prosciutto».

Ogni musicista ha un suo percorso. Quello iniziato da Alessandro Tampieri è ragionieristico.

«Il violino lo ha scelto mio padre – racconta – che fa il ragioniere commercialista. Andò ad un concerto e vide che c’erano tanti violinisti e un solo flauto: “Se fai il violino hai più possibilità”, mi disse. Io accettai con piacere perché sapevo di non poter vivere senza musica. A 5 anni, prima ancora di saper leggere io cantavo arie del ‘500 nel coro della parrocchia».

Per Tampieri la musica è un rifugio e una salvezza.

«Ho sempre saputo che avrei avuto a che fare con la musica. Poter lavorare tutti i giorni con la musica è una continua fonte di gioia e di riposo: mi dà energia e tranquillità».

Durante le prove i musicisti si fermano, discutono i minimi particolari e curano i dettagli in modo maniacale. Durante il concerto, quando tutti suonano insieme, ogni musicista si accorge se qualcuno fa un errore.

«Esiste una libertà espressiva individuale anche durante un concerto per orchestra, e c’è la consapevolezza da parte di tutti che la somma delle capacità individuali, insieme, diventa qualcosa di più. I limiti della nostra sperimentazione sono chiari. Io tendo sempre a stare sul limite, me lo posso permettere, in quanto “spalla” posso portare l’orchestra in zone più pericolose. Il direttore no. Il suo compito è darci ordine. Ovvio che durante le esibizioni live c’è un linguaggio non verbale tra di noi. Dantone, ad esempio, è tremendo: se c’è qualcosa che non va gli basta un’occhiata per mettere a posto le cose. Ha un grande carisma».

Tampieri ritiene di essere arrivato a «rendere sul palco come volevo io abbastanza tardi», attorno ai trent’anni, quando è riuscito a dominare le proprie intemperanze e i propri eccessi.

«Più vado avanti più acquisisco un controllo razionale e consapevole sui miei mezzi. Durante i concerti riesco a “vedermi da fuori”, e ritengo di essere arrivato a questo livello da quando ho cominciato a correre le maratone. Nei concerti non c’è un problema di impegno fisico, per curiosità ho fatto verifiche con il cardiofrequenzimetro e non ho visto nessun problema. I concerti sono molto difficili da affrontare psicologicamente. La testa è la cosa più importante».

Per Tampieri suonare barocco vuol dire suonare contemporaneo.

«Vivaldi e Corelli, Palestrina prima, hanno dato origine alla grammatica della musica che è la base della musica pop di oggi. Quando si dice che Vivaldi somiglia a Sanremo, la verità è esattamente il contrario».

Con Alessandro Tampieri abbiamo un po’ giocato e gli abbiamo chiesto chi è il Vivaldi di oggi.

«Dovrebbe essere un chitarrista che ha composto anche opere. Potrebbe essere Frank Zappa» ha risposto.

E Corelli?

«Corelli? Potrebbe essere Eric Clapton»

La multinazionale del talento

La composizione dell’orchestra varia a seconda del programma proposto: dal singolo musicista (normalmente il direttore o il primo violino) fino a sessanta persone, perché si è cominciato ad esplorare il repertorio classico romantico.

Si tratta di una multinazionale del talento musicale.

C’è la violinista Lisa Ferguson, ad esempio, che si è trasferita a Bologna, ma è newyorkese di origine giapponese; un altro violinista, il messicano Heriberto Delgado Gutiérrez di Hermosillo, viene dallo stato di Sonora; Elisabeth Baumer, di Klagenfurt, in Austria e la giapponese Rei Ishizaka, di Kyoto, suonano l’oboe; la violinista Maria Grokhotova è moscovita.

Poi c’è Ana Liz Ojeda Hernández, cilena di Valdivia, il termine tecnico del suo ruolo orchestrale è “spalla dei secondi violini”.

«La nazionalità non è un criterio di selezione – spiega Ragazzini – da noi arrivano i musicisti più bravi».

Ana Liz Ojeda Hernández

Ana Liz Ojeda Hernández è da 29 anni lontana dal Cile.

È in Italia dal 2005 dopo essere stata in Germania per undici anni.

«Ho cominciato a suonare quando avevo 7 anni, con mio padre violinista. In Cile la formazione musicale funziona diversamente rispetto all’Italia. Io ho frequentato una scuola di musica e qualche anno di conservatorio. Poi sono andata negli Stati Uniti, ad Atlanta, dal 1993 al 1995. Nel 1996 ho cominciato a frequentare un corso di violino moderno alla Hochschule für Musik a Detmold. Poi sono andata all’Aja, nei Paesi Bassi, dove per due anni ho fatto violino barocco e così è cominciato il mio percorso nella musica antica».

Il violino ha sempre fatto parte della sua vita. Al tramonto della dittatura di Augusto Pinochet il padre la spinse ad uscire dal Cile: «Fu una cosa fantastica, a 18 anni il mondo è tuo».

La musica antica è sempre stata nella sua testa, dice.

Dopo avere ottenuto un posto da spalla dei secondi violini all’Orchestra Giuseppe Verdi di Milano («era un posto molto buono»), nel 2007 ha incontrato la Bizantina e la prima attività che ha fatto con loro è stata una tournée in Sudamerica.

«Li incontrai per la prima volta in aeroporto, a Malpensa, per volare in Cile. Ottavio Dantone mi si avvicinò e mi disse: “Non mi sono mai perso un concerto degli Inti-Illimani quando sono venuti a Milano… E pensare che io non ho mai visto un loro concerto».

Quando si vede un concerto da vicino si ha la sensazione di avere a che fare con persone che entrano in un’altra dimensione. L’immersione totale nella musica.

«Suonare è un po’ entrare in uno stato di grazia. Se c’è l’armonia con gli altri, percepisco l’energia dei colleghi e si realizza un momento unico».

Ipotesi di futuro

I progetti di Accademia Bizantina per il futuro sono chiari, spiega Luca Ragazzini.

«Abbiamo creato una piccola etichetta discografica per sganciarci dalle logiche delle major e abbiamo avviato un percorso di incisioni per proseguire nella nostra ricerca, ma soprattutto nel nostro futuro ci sono tre cose: concerti, concerti, concerti».

 

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