È praticamente impossibile riparare gli auricolari Bluetooth

Per ragioni tecniche invece di aggiustarli le aziende sostituiscono quelli rotti o difettosi, che stanno riempiendo le discariche

(AP Photo/Marcio Jose Sanchez)
(AP Photo/Marcio Jose Sanchez)

Si stima che in tutto il mondo siano state vendute dal 2017 a oggi 750 milioni di paia di auricolari wireless, cioè le cuffiette senza fili per ascoltare musica e podcast e parlare al telefono. Le più famose e vendute sono le AirPods di Apple, i cui piccoli steli bianchi pendono ogni giorno dalle orecchie di milioni di persone, ma sono note e molto usate anche le Galaxy Buds di Samsung e le cuffie di vari marchi cinesi: in Italia, per esempio, vanno abbastanza quelle di Xiaomi.

La giornalista del Financial Times Alexandra Heal aveva comprato per sé auricolari di quest’ultimo tipo, prodotti da una ditta cinese chiamata EarFun e pagati 69 sterline (in Italia si trovano per 69 euro), circa la metà di un paio di AirPods. Ma dopo meno di un anno, le EarFun si sono rotte e hanno smesso di funzionare. È un fatto piuttosto comune: si stima che la vita media di un paio di auricolari wireless, sia che si tratti di prodotti di marchi famosi sia meno rinomati, sia di due anni appena – questo, ovviamente, se non li si perde prima.

Nella maggior parte dei casi, scrive Heal, quando un paio di auricolari wireless si rompe li si butta e se ne compra un altro. Lo si fa quasi sempre per convenienza: come nel caso delle EarFun di Heal, si tratta spesso di prodotti costati poco, e i consumatori ritengono che non valga la pena perdere tempo a cercare di ripararle. Inoltre, poiché si tratta di oggetti piccoli e fragili, spesso gli auricolari si rompono in modi che non sono coperti dalle garanzie: dopo una caduta, o schiacciati da una scarpa.

Ma anche se non vengono maltrattati, gli auricolari senza fili sono comunque destinati a smettere di funzionare nel giro di un paio d’anni: le minuscole batterie che li fanno funzionare sono soggette a processi di degradazione che, nel giro di appunto qualche anno, li rendono di fatto inutilizzabili. E siccome le batterie non sono sostituibili, gli auricolari sono da buttare.

Heal però ha deciso di provare ugualmente a riparare i suoi auricolari (che peraltro non erano caduti né erano stati schiacciati) e ha scoperto che è praticamente impossibile.

Benché tutti i grandi produttori di auricolari abbiano programmi di sostituzione e riparazione dei loro prodotti, in realtà fanno perlopiù la prima cosa. Apple, per esempio, offre un servizio di “Sostituzione, assistenza e riparazione per AirPods”, ma quando Heal ha contattato l’azienda un rappresentante le ha spiegato che in realtà se un consumatore invia le proprie AirPods per una riparazione in garanzia, Apple gliene manda direttamente un paio nuovo.

Lo stesso vale per Samsung, il cui servizio di riparazione prevede di fatto soltanto una sostituzione, e perfino per la semisconosciuta EarFun, che si è offerta di inviare a Heal un paio di auricolari nuovi, senza nemmeno volere quelli rotti indietro.

Quando Heal ha provato a rivolgersi a riparatori indipendenti, si sono tutti rifiutati di lavorare sui suoi auricolari. Gli auricolari sono troppo piccoli, cercare di aggiustarli richiederebbe troppo tempo e non varrebbe la pena, anche considerando il loro prezzo da nuovi. Inoltre, poiché i componenti sono incollati anziché avvitati assieme, è praticamente impossibile aprirli per una riparazione senza rovinarli irreparabilmente. «Non sono pensati per essere riparabili», ha detto uno dei tecnici. iFixit, un famoso sito che si occupa di verificare la riparabilità dei prodotti tecnologici, ha dato alle AirPods un voto di 0 su 10.

Quando un auricolare wireless si rompe o smette di funzionare, dunque, buttarlo è praticamente l’unica opzione.

E con 750 milioni di paia di auricolari in circolazione questo è un problema per la gestione dei rifiuti perché, come spiega Heal, gli auricolari wireless sono pur sempre prodotti elettronici, che contengono metalli e componenti chimici altamente inquinanti. È vero che molte compagnie hanno programmi di ritiro dei prodotti usati. Apple, per esempio, in alcuni paesi (ma non tutti) si offre di ritirare gratuitamente le AirPods non più funzionanti e riciclarle.

Ma l’impatto di questi programmi è relativamente limitato, anche perché spesso i consumatori buttano gli auricolari senza trattarli come rifiuti elettronici. I danni sono notevoli: nel 2019 soltanto un quinto delle 54 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici nel mondo era stato riciclato, e i piccoli prodotti elettronici sono uno dei problemi più gravi. Justin Greenway, il gestore di uno stabilimento di riciclo di rifiuti elettronici a Londra, ha detto a Heal: «Come consumatori, fatichiamo [a smaltire correttamente] cose come i bollitori e i tostapane. Figuriamoci un piccolo insignificante auricolare».