Come si è arrivati alla rielezione di Mattarella

Cosa dicono le cronache e i retroscena sul fallimento definitivo delle trattative per trovare un sostituto o una sostituta, tra venerdì e sabato

Il segretario del Partito Democratico Enrico Letta e altri parlamentari del PD si scattano un selfie dopo la rielezione di Mattarella. (AP Photo/Gregorio Borgia, Pool)
Il segretario del Partito Democratico Enrico Letta e altri parlamentari del PD si scattano un selfie dopo la rielezione di Mattarella. (AP Photo/Gregorio Borgia, Pool)

La decisione dei partiti della maggioranza di governo di rieleggere Sergio Mattarella come presidente della Repubblica si è formata nel giro di una ventina di ore tra il tardo pomeriggio di venerdì e il primo pomeriggio di sabato, quando è diventato evidente che fosse l’unica soluzione per risolvere le complicatissime e travagliate trattative che andavano avanti senza risultati da lunedì. Ci si è arrivati dopo alcune forti tensioni tra le due coalizioni principali della politica italiana, quella tra il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle e quella tra i partiti del centrodestra e della destra. E dopo il fallimento di un avventato tentativo di intestarsi la soluzione alla crisi, che secondo alcune ricostruzioni ha rischiato di ribaltare quelle alleanze, ricostituendone di vecchie.

Intorno alla candidatura del capo dei servizi segreti Elisabetta Belloni, infatti, si è formata venerdì sera un’intesa tra il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte e il segretario della Lega Matteo Salvini, ex alleati di governo diventati in seguito avversari politici. Alle 18 di quel pomeriggio Conte, Salvini e il segretario del Partito Democratico Enrico Letta si erano incontrati alla Camera per discutere – per la prima volta da giorni in maniera formale e concreta – di un candidato o una candidata da votare insieme. Usciti da quel colloquio, prima Salvini e poi Conte si erano di fatto intestati l’iniziativa della candidatura di Belloni, rivendicando la volontà di eleggere una presidente.

Si è poi capito che quegli annunci impliciti ma piuttosto inequivocabili – il nome di Belloni circolava da giorni, e nel giro di minuti è stato fatto esplicitamente da altri leader, come il fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo – non erano stati concordati. Perciò, raccontano oggi le ricostruzioni giornalistiche di quelle ore, Letta e la dirigenza del centrosinistra – che pure erano inizialmente d’accordo con la candidatura di Belloni – hanno deciso di opporsi, temendo che Salvini e Conte volessero allearsi allo scopo di uscire vincitori dalla situazione. A costo di far cadere il governo, l’esito inevitabile se avessero avuto successo.

Sul Corriere della Sera di oggi, Francesco Verderami racconta che all’incontro di venerdì sera Letta, Conte e Salvini hanno discusso di una lista di alcuni nomi, forse cinque, tra cui c’erano quelli di Belloni, dell’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini e di Mattarella. Secondo la versione di Verderami, il presidente del Consiglio Mario Draghi non era stato incluso da Letta nella lista presentata in presenza di Conte, notoriamente contrario al suo trasferimento al Quirinale. Draghi che peraltro poche ore prima si era incontrato proprio con Salvini, anche se non è chiaro di che cosa abbiano parlato.

Quando all’uscita dell’incontro Salvini e Conte hanno parlato di «una presidente», subito è stato evidente che si riferissero a Belloni. La spiegazione principale è che entrambi, con un azzardo che con il senno di poi non era stato ben calcolato, abbiano provato a intestarsi il merito della proposta, con il risultato però di “bruciare” la sua candidatura.

Nel PD infatti si è temuto addirittura che si stesse configurando una iniziativa tra M5S e centrodestra, che forse avrebbe potuto avere successo indipendentemente dai voti del centrosinistra grazie al sostegno di Fratelli d’Italia. «Il segretario dem esce dall’incontro e riferisce allo stato maggiore del suo partito. Teme la trappola. Teme soprattutto che prima dell’incontro a tre ce ne fosse stato uno tra Salvini e Conte», scrive su Repubblica Claudio Tito.

Diversi dirigenti del PD – si dice in particolare l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini – si sono quindi attivati per fermare questo presunto piano, per reazione al tentativo di Conte e Salvini di presentarlo come proprio. Ma ad avere avuto un ruolo importante nella decisione del PD ha contribuito probabilmente anche il timore che in realtà la maggioranza si sarebbe divisa su Belloni. Nel giro di pochi minuti infatti si erano espressi contro la sua candidatura Forza Italia, Liberi e Uguali ma soprattutto il leader di Italia Viva Matteo Renzi e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che in questi giorni è praticamente sempre stato in disaccordo con il suo rivale interno nel M5S Giuseppe Conte. Senza le nette prese di posizione di Renzi e Di Maio, forse le cose sarebbero andate diversamente.

Non è del tutto chiaro quale fosse il piano di Conte – non è detto che fosse poi così chiaro nemmeno a lui – e circola in realtà anche scetticismo intorno all’ipotesi che avesse realmente architettato di votare Belloni insieme a Salvini, cosa che avrebbe con ogni probabilità fatto cadere il governo, portato a elezioni anticipate e rotto l’alleanza con il PD, isolando politicamente il M5S. La coalizione tra PD e M5S era inoltre già stata logorata pesantemente dai giorni di trattative, anche perché in una precedente occasione Conte e un pezzo del M5S avevano probabilmente discusso con il centrodestra la possibilità di votare in autonomia l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini.

Per il PD in ogni caso si stava configurando uno scenario poco auspicabile. Il rischio era di essere costretti a seguire i rivali del centrodestra e il M5S in una candidatura da cui difficilmente il PD avrebbe potuto dissociarsi, e che però ormai era evidentemente intestata ad altri e che avrebbe comunque finito per rompere l’alleanza di governo. Il presunto piano di Conte e Salvini quindi è fallito nella serata, per i molti veti e rifiuti dai partiti più piccoli e per le pressioni del PD che non ha gradito l’iniziativa di Salvini e Conte.

Sabato mattina ci sono state altre riunioni tra le coalizioni, e quando prima di pranzo si sono incontrati i leader della maggioranza era evidente che le tensioni, le liti, i ribaltamenti e le pressioni per una soluzione allo stallo dei giorni precedenti avevano reso difficilissimo costruire una nuova candidatura. I retroscena dicono che sia stata la Lega a bocciare definitivamente la candidatura di Casini, a cui forse gli altri partiti si sarebbero adeguati, e che sia stato ritenuto troppo difficile accordarsi sulla ministra della Giustizia Marta Cartabia.

Le cronache raccontano che all’incontro i leader si sono rassegnati al fatto che non c’era altra soluzione alla rielezione di Mattarella, che era stata preparata nei giorni precedenti dalle varie correnti parlamentari, specialmente nel M5S, che lo avevano riempito di preferenze scrutinio dopo scrutinio fino ad assegnargli 387 voti sabato mattina. Cinque in più di quelli ricevuti al quinto scrutinio dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, che a differenza di Mattarella era davvero candidata.

Letta fin dall’inizio aveva indicato nella rielezione di Mattarella la sua ipotesi preferita, motivo per cui alla fine della fiera il segretario del PD è stato ritenuto l’unico parziale vincitore delle trattative, avendo ottenuto l’esito desiderato pur fallendo nel tentativo di guidare le trattative con gli alleati di maggioranza verso un altro presidente o un’altra presidente.

È stato infine Draghi a parlare a Mattarella al Quirinale, dove si trovava per la cerimonia di giuramento del nuovo giudice della Corte costituzionale Filippo Patroni Griffi. Mattarella ha accettato – come si sa, molto controvoglia – chiedendo però che venissero a chiederglielo formalmente i capigruppo dei partiti, una scelta interpretata come un tentativo di restituire importanza al Parlamento – che deve eleggere il presidente – a discapito dei leader, che sono stati i protagonisti delle trattative.

Sintetizza Verderami sul Corriere, descrivendo quanto successo tra venerdì e sabato:

Questo è il resoconto della sfida per il Quirinale politicamente più sgrammaticata della storia, zeppa di strafalcioni, scarabocchi, errori da matita blu. E dalla quale tutti escono a vario titolo sconfitti. La notte della politica è proprio l’ultima notte prima dell’esame, quando i leader si rendono conto che devono prepararsi a consegnare il compito. Ma il loro foglio è bianco.