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  • Martedì 25 gennaio 2022

La signora Dalloway era guarita dall’influenza spagnola

La pandemia del secolo scorso tra le prime righe del romanzo più famoso di Virginia Woolf, nata 140 anni fa

Vanessa Redgrave nei panni della signora Dalloway, nel film del 1997
Vanessa Redgrave nei panni della signora Dalloway, nel film del 1997

La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei.

(…) Si irrigidì appena sul marciapiede, aspettando che passasse il furgone di Durtnall. Una donna affascinante, pensò di lei Scrope Purvis (che la conosceva come ci si conosce tra vicini a Westminster); somigliava a un uccello, a una gazza verde-azzurra, esile, vivace, malgrado avesse più di cinquant’anni, e le fossero venuti tanti capelli bianchi dopo la malattia. Se ne stava posata lì, senza neppure vederlo, in attesa di attraversare la strada, ben diritta.

Quando si vive a Westminster – da quanti anni ormai? più di venti – anche in mezzo al traffico, o svegliandosi di notte, Clarissa non aveva dubbi, prima dei rintocchi del Big Ben si sentiva un silenzio particolare, una speciale solennità, un indescrivibile arresto, una sospensione (ma forse era semplicemente il suo cuore, indebolito, dicevano, dall’influenza). Ecco! Rimbombò forte.

Virginia Woolf, La signora Dalloway

Sono passati 140 anni dalla nascita di Virginia Woolf, il 25 gennaio del 1882, e quasi un secolo dalla pubblicazione di uno dei suoi romanzi più famosi: La signora Dalloway. Il librò uscì nel 1925 ma era ambientato nel 1923, cinque anni dopo l’inizio dell’epidemia di influenza spagnola che in quel periodo uccise tra i 50 e i 100 milioni di persone in tutto il mondo. Chi ha letto il romanzo potrebbe non aver mai associato le due cose, perché l’epidemia non viene mai menzionata esplicitamente, ma fin dalle prime pagine Woolf accenna al fatto che alla signora Dalloway erano comparsi molti capelli bianchi dopo la malattia e il suo cuore era stato indebolito dall’influenza.

Non viene specificato, ma i rintocchi del Big Ben, che ispirano nella signora Dalloway «solennità» e «sospensione», sono le campane che venivano suonate per commemorare le persone morte per la malattia. Nello stesso incipit del romanzo, molto noto anche a chi non lo ha mai letto, c’è un riferimento alla malattia, perché se la signora Dalloway aveva scelto di uscire per andare a comprare i fiori era proprio perché era finalmente guarita: lo spiega un saggio di critica letteraria pubblicato nel 2019, Viral Modernism: The Influenza Pandemic and Interwar Literature di Elizabeth Outka. La studiosa ha ricostruito l’impatto dell’influenza spagnola sul pensiero dell’epoca attraverso i riferimenti presenti nelle opere letterarie e ha osservato come «i milioni di decessi per influenza non contavano (e non contano) come Storia nel modo in cui contano le vittime di guerra», e che perfino la letteratura preferiva raccontare le morti eroiche dei soldati rispetto alle morti “domestiche” dell’influenza.

Durante la sua passeggiata, la signora Dalloway apprezza la vivacità delle strade di Londra, a maggior ragione perché viene da un periodo di isolamento. Virginia Woolf conosceva la sensazione, visto che come il suo personaggio era stata più volte costretta a letto dall’influenza.

All’inizio della pandemia da coronavirus, scrivendo sul New Yorker di queste pagine del romanzo, Evan Kindley notava come l’influenza spagnola fosse rimasta in qualche modo un capitolo sbiadito e poco elaborato della nostra storia recente, probabilmente anche a causa della sua sovrapposizione con la fine della Prima guerra mondiale.