Il brevissimo discorso di fine anno di Cossiga, trent’anni fa

Durò solo tre minuti e mezzo, che l'allora presidente della Repubblica usò per spiegare perché non aveva voglia di dire niente

(CLAUDIO ONORATI / ANSA / PAL)
(CLAUDIO ONORATI / ANSA / PAL)

Questa sera alle 20.30 il presidente della Repubblica Sergio Mattarella terrà il consueto discorso di fine anno, una tradizione cominciata da Luigi Einaudi nel 1949. Inizialmente i discorsi di fine anno si facevano via radio e duravano due o tre minuti al massimo, poi arrivarono anche in TV e i tempi si allungarono negli anni: il più lungo di sempre durò circa 40 minuti e fu pronunciato da Oscar Luigi Scalfaro nel 1997. Uno dei più brevi di sempre, invece, lo pronunciò Francesco Cossiga nel 1991. Era il suo ultimo anno da presidente della Repubblica e Cossiga parlò solo tre minuti e mezzo, che impiegò a spiegare perché non aveva voglia di dire niente.

Nel corso dei suoi sette anni da presidente Cossiga si era guadagnato la fama di “picconatore” criticando aspramente i partiti politici e la Prima Repubblica, a suo dire compromessi dalla corruzione e inadeguati a governare l’Italia. A causa delle sue dichiarazioni provocatorie e della sua appartenenza alla struttura militare clandestina Gladio fu anche messo in stato di accusa dal Partito Comunista (PCI) per tradimento alla Costituzione, meno di un mese prima del suo discorso del 1991. Nelle settimane successive la procedura si sarebbe risolta in un nulla di fatto, dopo che le accuse furono giudicate infondate dal comitato parlamentare competente.

In questa situazione così complessa, il 31 dicembre Cossiga decise di non dire nulla, spiegando che il ruolo che rivestiva gli impediva di parlare di quello che avrebbe voluto: «parlare non dicendo, tacendo anzi quello che tacere non si dovrebbe, non sarebbe conforme alla mia dignità di uomo libero, al mio costume di schiettezza, ai miei doveri nei confronti della Nazione. […] Ed allora mi sembra meglio tacere».

– Leggi anche: Mattarella contro la sua rielezione

Cossiga si dimise poi pochi mesi dopo, in leggero anticipo rispetto alla scadenza del suo settennato e dopo le elezioni politiche del 1992, con l’intenzione di assecondare il processo di rinnovamento del sistema politico emerso a suo avviso dai risultati delle consultazioni, che videro un grosso calo di consensi dei partiti della Prima Repubblica, e in particolare quelli della coalizione che governava da anni l’Italia (il cosiddetto “pentapartito”). «Talvolta ho gridato, ma se ho gridato è perché soltanto temevo di non farmi sentire» disse Cossiga nel suo discorso finale.

– Leggi anche: Francesco Cossiga non era come gli altri