Una canzone dei Blur

E un vecchio pensiero sulle canzoni che parlano di cantare

(Scott Gries/Getty Images)
(Scott Gries/Getty Images)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Kenny G è una buffa storia di successo musicale: è uno che ha venduto tantissimo e ha popolarità pazzesche in esotici posti del mondo, e che è anche considerato con sprezzo una specie di modello di insulsa musica di successo. Adesso c’è un documentario e ne ha scritto il sito Vulture.
Nella settima puntata della terza stagione di Succession, la serie magnetica dove tutti sono così stupidi e insopportabili, ricchi e sfigati, che non puoi farne a meno, Kendall abbozza una sua goffa esecuzione di Honesty di Billy Joel: la metto qui per la grande bibliografia Billy Joel di questa newsletter.

Sing
Blur

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Lo so, e vi chiedo scusa: ho già abusato altre volte dell’autoplagio, ma stasera “tutto un complesso di cose”, come diceva quello, e non ultima la benedetta terza dose che ha avuto pratiche di disbrigo più lunghe del previsto, fanno sì che io sia arrivato molto lungo stasera a scrivervi di questa canzone dei Blur del 1991 che avevo messo da parte per oggi: e spero tra l’altro che i suoi versi non siano di presagio per il mio post terza dose, anche perché domani devo parlare con Ezio Mauro del suo libro e vorrei essere all’altezza.

I can’t feel
‘Cause I’m numb
I can’t feel
‘Cause I’m numb

Quindi sto frettolosamente condividendo con voi questi pensieri, e affidandovi all’andamento inesorabile e conclusivo di Sing, che da solo basta a sistemarvi la serata: era nel primo disco dei Blur, prima che diventassero la band britannica più cool degli anni Novanta; spartendosi la scena con gli Oasis per la narrazione giornalistica, ma un paio di spanne più su nei fatti e nell’inventiva. La canzone finì anche nella colonna sonora di Trainspotting. E infine, l’ulteriore trucco per dare senso ad avervi fatto pagare il prezzo del biglietto stasera – dicevo – è un autoplagio. Perché nel caso di Sing la ragione per cantare è un po’ lugubre, e quindi forse per quello non l’avevo inclusa in un mio vecchio pensiero sulle canzoni sul cantare. Ciao, a domani.

Le canzoni che celebrano la bellezza del cantare, del canticchiare, hanno una lunga storia, da “Singin’ in the rain” in poi. Tra le ultime, ce n’era una dei Travis che diceva pressappoco che se uno è innamorato deve sciogliersi e cantare, e cantarlo: “for the love you bring won’t mean a thing, unless you sing, sing, sing”. Adesso c’è una band di Boston molto apprezzata, si chiamano Dresden Dolls, e hanno un singolo emozionante sulle virtù liberatorie del cantare, in un mondo che non ci vuole più: “C’è questa cosa che è come scopare, solo che non scopi. Una volta si faceva e basta: adesso tutta la storia del mondo sta sparendo. Ma c’è questa cosa che è come parlare solo che non parli. Canti. Canti.”

You sing
You sing

“Comunque la pensiate, noi ve l’abbiamo detto. E un giorno canterete, stronzi”

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