Su LinkedIn è meglio scrivere o no che si è in cassa integrazione?

È una forma di trasparenza che però può avere controindicazioni per chi cerca lavoro, anche per i limiti tecnici della piattaforma

Una scena di “Strappare lungo i bordi” di Zerocalcare. (Netflix)
Una scena di “Strappare lungo i bordi” di Zerocalcare. (Netflix)

Si può scrivere su LinkedIn, il sito per presentare il proprio curriculum e cercare lavoro, che si è in cassa integrazione? La domanda riguarda una quota di persone che la pandemia ha allargato in maniera inedita. Secondo le ultime rilevazioni annuali dell’INPS, infatti, sono state quasi tre miliardi le ore di cassa (ordinaria, straordinaria, in deroga) autorizzate dall’istituto previdenziale nel 2020. Nel 2019 erano state meno di 260 milioni.

La crescita è stata quindi di oltre 10 volte durante l’anno dei lockdown dovuti alla pandemia, anche grazie all’ampliamento del periodo di utilizzo dell’ammortizzatore sociale, garantito dai vari decreti relativi. Nel corso del 2021 il ricorso alla cassa integrazione si è attenuato, ma le ore autorizzate dall’INPS nei primi 10 mesi dell’anno sono 1,6 miliardi (qui la serie storica con il dettaglio, mese per mese): meno dell’anno scorso, ma ben al di sopra dei livelli precedenti alla pandemia.

Comunicare dunque il nuovo status di cassintegrato per chi si trova a vivere questa situazione è una questione che ha una sua rilevanza su LinkedIn, il social più legato al mondo del lavoro, che evidenzia le posizioni professionali degli iscritti. Attualmente i profili degli utenti non prevedono la possibilità di avere un bottone “cassa integrazione”, fanno sapere dall’azienda. Ma queste informazioni possono essere inserite nella sezione “esperienza”, dove ciascuno può segnalare di essere in questa situazione particolare.

Al momento la piattaforma offre inoltre la possibilità – grazie al pulsante “disponibile per” – di dichiarare ai recruiter, o ad altre aziende, la propria disponibilità a intraprendere un nuovo percorso lavorativo. Si può scegliere se far vedere questo status solo a chi usa “LinkedIn Recruiter”, uno strumento offerto dal social network per la selezione professionale del personale, oppure a tutti gli utenti in modo indifferenziato, e quindi potenzialmente anche agli attuali datori di lavoro. Ci si può far notare anche aggiungendo #OpenToWork nella foto profilo.

«La Cassa Integrazione Guadagni (CIG) è un ammortizzatore sociale, fruito in costanza di rapporto di lavoro, finalizzato a sostenere economicamente il salario dei lavoratori di imprese che si trovano in determinate situazioni di difficoltà, a fronte delle quali richiedono una riduzione o una sospensione del rapporto di lavoro», dice la definizione su Cliclavoro, il portale del ministero del Lavoro e Politiche sociali per facilitare l’intermediazione tra domanda e offerta. I cassintegrati, se a zero ore, sono quindi in teoria dipendenti sospesi, inattivi; può capitare che vengano fatti lavorare comunque, ma si tratta di truffa ai danni dello Stato.

Per tornare alle metriche di LinkedIn, non sarebbe quindi corretto indicare l’interruzione del rapporto di lavoro nei campi obbligatori da compilare quando si vogliono elencare le proprie esperienze. Anche aggiungendo l’informazione della cassa integrazione nella parte di “descrizione” del lavoro, il social network non ne tiene conto quando manda le sue mail o le sue notifiche ai contatti. Quindi può capitare che nel bel mezzo di un periodo di cassa integrazione, che può essere difficile e preoccupante, un utente riceva le congratulazioni di rito dai propri conoscenti virtuali, in occasione di un anniversario lavorativo. Per evitare questi inconvenienti serve definire bene le impostazioni di privacy (qui è spiegato come).

Al di là dei tecnicismi legati a un social usato per trovare lavoro, e che quindi riguarda un’attività più cruciale e delicata che condividere le foto delle vacanze, rimane la questione: affidare o no a un palcoscenico del genere, e quindi a un pubblico potenzialmente molto esteso, la notizia dello status di cassa integrazione? E soprattutto: avrà o no ripercussioni su potenziali datori di lavoro e opportunità di assunzioni?

Ci sono fondamentalmente due scuole di pensiero tra chi si occupa di risorse umane. Da una parte c’è chi predilige la trasparenza sempre e comunque come valore, anche nell’accezione più estrema diffusa sui social network, dove non è raro finire per esporsi anche più di quello che si vorrebbe. Dall’altra c’è chi conferma la percezione negativa che aleggia sui cassintegrati. Nel mondo reale, quando head hunters e direttori di “risorse umane” vedono che un’azienda ha messo in cassa integrazione alcuni dipendenti, mentre altri sono rimasti al lavoro, si chiedono: come mai proprio loro? Un motivo ci sarà, deducono spesso, e ne traggono conseguenze.

«Io personalmente credo in una totale trasparenza delle relazioni professionali e penso che sia sempre opportuno mettere sul piatto la situazione e spiegarla, anche perché in una vicenda del genere è interessante valutare quello che il candidato sta facendo. Ma magari non è la cosa giusta da fare. Magari è più opportuno tenere un atteggiamento diverso a seconda delle aziende», è la riflessione di Alessandro Rimassa, fondatore di Radical HR Club, una piattaforma online del settore delle risorse umane.

«Io menzionerei questo status solo in sede di colloquio e solo se richiesto. Non c’è bisogno di giustificarsi sul perché si sta cercando un altro lavoro» dice invece David Buonaventura, fondatore di Colloquio Diretto, un sito di informazioni per chi cerca lavoro.

Roberta Zantedeschi, consulente sulla comunicazione e sulle risorse umane per le aziende, ricorda che «essere in cassa integrazione non denota un’insufficienza professionale o personale, bensì dichiara una difficoltà o una scelta gestionale e strategica dell’azienda per cui quella persona lavora». Secondo Zantedeschi, «chi si racconta ha un certo margine di azione nel guidare, almeno in parte, il percepito altrui». Presentarsi come un lavoratore o una lavoratrice «di serie B» però ha conseguenze negative sulla comunicazione di sé, e sarebbe preferibile puntare sulle proprie competenze, senza sminuirle solo perché in quel preciso momento non sta lavorando, continua Zantedeschi.

Pur consapevole che non sia un atteggiamento facile o scontato da mantenere, per Zantedeschi «il potere negoziale deve basarsi sul valore che una persona può portare, non sulla sua necessità di lavorare», anche nell’ottica di «trasformare alcune storture del mercato del lavoro e del rapporto domanda-offerta».

C’è poi la questione, non secondaria, degli sgravi contributivi che per legge un’impresa che assume un cassintegrato può ottenere. «Vi comunico, inoltre, che essendo in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria/in mobilità/in età da apprendistato…, una mia eventuale assunzione comporterebbe agevolazioni per la vostra azienda», suggerisce il vademecum per scrivere la lettera di risposta a un’inserzione dei centri per l’impiego di Ravenna (Agenzia regionale per il lavoro dell’Emilia Romagna). In questo caso non si tratta di impostazioni di un social, ma di una comunicazione privata, come privato è il colloquio. La scelta di scrivere “cassa integrazione” accanto al proprio nome su LinkedIn è invece una comunicazione moltiplicata senza diritto di replica, con effetti che possono essere diversi e sulla cui scelta stanno riflettendo molte persone.