“Panta rei” non vuol dire quello che sembra

Il celebre detto attribuito a Eraclito è comunemente utilizzato per intendere che niente è permanente e “tutto scorre”, ma indica un concetto più complesso e ambiguo

Due canottieri sul fiume Androscoggin, in Maine. (AP Photo/Robert F. Bukaty)
Due canottieri sul fiume Androscoggin, in Maine. (AP Photo/Robert F. Bukaty)

L’espressione “Panta rei” (πάντα ῥεῖ), tradotta in italiano come “tutto scorre” e molto conosciuta e pronunciata anche nella sua formulazione in greco antico, è considerata una delle più influenti massime della storia della filosofia occidentale. Attribuita al filosofo Eraclito, vissuto tra il VI e il V secolo a.C. a Efeso, città ionica della penisola dell’Anatolia (parte dell’odierna Turchia), “tutto scorre” è anche uno dei più radicati e abusati cliché linguistici che siano esplicitamente riconducibili alla tradizione del pensiero filosofico. Il senso è generalmente ricavato da uno dei più conosciuti e citati frammenti di Eraclito che ci siano pervenuti – «Nello stesso fiume non è possibile scendere due volte» – e di cui “Panta rei” rappresenterebbe la sintesi, pur avendo un’origine diversa.

La frequenza con cui questa espressione è stata ed è utilizzata sia nelle conversazioni quotidiane che in discorsi più formali e a volte paludati e ampollosi, in genere per indicare la mutevolezza delle cose sottolineando che niente è permanente, ha tuttavia contribuito a consolidarne un significato piuttosto parziale e per certi versi opposto rispetto a quello che gli studi di filosofia tendono ad attribuirle.

In breve: che le cose siano soggette al cambiamento e alle trasformazioni, secondo le interpretazioni prevalenti del pensiero di Eraclito, è l’“essenza” delle cose stesse, quindi una condizione della loro stabilità e non una ragione della loro presunta ineffabilità.

Gran parte dell’ambiguità legata al concetto sintetizzato dall’espressione “Panta rei” deriva dall’origine di questa frase, oltre che dai diversi usi e interpretazioni del pensiero di Eraclito presenti nella storia della filosofia e nel lavoro di altri pensatori influentissimi e molto studiati a loro volta come Platone, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Friedrich Nietzsche e Martin Heidegger. A complicare molto l’interpretazione contribuisce la frammentarietà con cui ci sono pervenuti i testi di Eraclito e il fatto che il suo stile fosse già dai suoi contemporanei ritenuto alquanto criptico e oracolare.

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Una delle più complete e utilizzate catalogazioni di frammenti e testimonianze del pensiero dei filosofi greci presocratici, di cui Eraclito rappresenta uno dei massimi esponenti, si deve al lavoro di raccolta dei testi superstiti compiuto dai filologi tedeschi Hermann Diels e Walther Kranz nella prima metà del Novecento. Stando alla numerazione Diels-Kranz, la frase “tutto scorre” non è attestata in nessuno dei circa cento frammenti diretti di Eraclito che ci siano stati tramandati. Il primo a riportarla esattamente in quei termini (“Panta rei os potamòs”, tutto scorre come un fiume) fu il filosofo e matematico bizantino Simplicio, vissuto nel VI secolo d.C.

La formulazione “Panta rei” proviene a sua volta da uno dei dialoghi di Platone, il Cratilo, dal nome di un seguace delle dottrine eraclitee che nel dialogo platonico è un personaggio che fa da spalla a Socrate, protagonista dell’opera. «Eraclito dice che “tutte le cose si muovono [panta chorei, πάντα χωρεῖ] e nulla permane” e, paragonando le cose che sono alla corrente di un fiume, dice che “non puoi entrare due volte nello stesso fiume”», è scritto in un passaggio del Cratilo.

Come sappiamo dalle descrizioni presenti nel dialogo di Platone e anche nella Metafisica di Aristotele, Cratilo estremizzò il pensiero di Eraclito al punto da ritenere insufficiente l’affermazione secondo cui non ci si può immergere due volte nello stesso fiume. Aggiungeva che anzi non è possibile farlo nemmeno una volta, perché la realtà è intrinsecamente mutevole e non è possibile conoscerla veramente e afferrarla. Per questo motivo arrivò a credere che le parole stesse siano una forma di espressione cristallizzata e quindi inadatta a indicare la realtà, e che piuttosto i gesti siano preferibili.

Sebbene lo definisca come uno dei più importanti filosofi del divenire, in opposizione alla visione “statica” dell’Essere della scuola presocratica di Elea e del suo più importante esponente Parmenide, la tradizione filosofica attribuisce a Eraclito un pensiero molto più complesso ed elaborato rispetto alle sintesi e alle semplificazioni tratte nel corso dei secoli a partire dal Cratilo di Platone.

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Per Eraclito, probabilmente, la realtà è in perenne divenire: al giorno segue la notte, alla nascita succede la morte, alla sazietà la fame e così via. E questo principio supremo regola il mondo senza produrre contraddizioni, esattamente come un fiume scorre incessantemente e riceve acque sempre nuove senza per questo smettere di essere un fiume. Come afferma Eraclito in uno dei suoi frammenti diretti, stabilendo il parallelismo con il fiume poi ripreso da Platone, «acque sempre diverse scorrono per coloro che s’immergono negli stessi fiumi» (Diels-Kranz 12).

Esiste per Eraclito una costante tensione in tutto ciò che esiste, un’«armonia contrastante» (Diels-Kranz 51), un’unità degli opposti che permette a tutte le cose di essere ciò che sono e al contempo anche altro da sé, in un continuo divenire. È per questa ragione che afferma, in un altro dei suoi frammenti più noti (Diels-Kranz 49): «Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo». Ma questi cambiamenti non tolgono niente alla stabilità delle cose: in un certo senso, ne costituiscono anzi la premessa. Diversamente non esisterebbe niente in cui possa verificarsi il cambiamento.

Come osservato dal docente di Lettere e filosofia dell’Università di Cambridge James Warren nel libro I presocratici, il fatto che l’acqua vi scorra è proprio ciò che costituisce un fiume: se non scorresse, sarebbe l’acqua di un lago o di uno stagno. L’affermazione secondo cui “nello stesso fiume non è possibile scendere due volte» (Diels-Kranz 91) genera una sorta di complicazione logico-linguistica – peraltro notata dal filosofo Seneca in un passaggio delle Lettere a Lucilio – dovuta al fatto che il concetto legato alla parola “fiume” resta invariato sebbene la forma di ciò che quella parola denota muti continuamente. Che è esattamente la tensione alla base di tutte le cose, per Eraclito.

Per Eraclito, in definitiva, è vero che tutto cambia ma – allo stesso tempo e in un certo senso – è anche vero che le cose permangono. Un fiume è sempre lo stesso fiume anche se composto da diverse gocce d’acqua.