• Mondo
  • Domenica 14 novembre 2021

Sono tempi agitati per il governo argentino

Ci sono le elezioni di metà mandato e ci si aspetta una grossa sconfitta per la coalizione che appoggia il presidente, che nel frattempo litiga al suo interno

Buenos Aires, 12 settembre 2021 (Ricardo Ceppi / Getty Images)
Buenos Aires, 12 settembre 2021 (Ricardo Ceppi / Getty Images)

Oggi, domenica 14 novembre, si tengono in Argentina le elezioni legislative per rinnovare metà dei rappresentanti della Camera bassa (127 seggi su 257) e un terzo di quelli del Senato (24 su 72). L’obiettivo del presidente Alberto Fernández è quello di ribaltare il risultato ottenuto alle primarie dello scorso 12 settembre, nelle quali la coalizione di cui fa parte ha perso circa 4 milioni di voti rispetto alle elezioni del 2019. Se invece i risultati delle primarie dovessero ripetersi, il partito di Fernández potrebbe perdere la sua maggioranza al Senato e rischiare molti seggi alla Camera bassa, dove è già in minoranza.

Le primarie
Le primarie vengono considerate come un grande sondaggio nazionale pre-elezioni e il risultato, di solito, riflette quello delle elezioni generali. Il sistema fu introdotto nel 2009 dall’allora presidente Cristina Kirchner e si chiama “primarie simultanee obbligatorie” (“PASO”, in spagnolo): obbliga tutti i partiti che intendono partecipare alle elezioni a presentare i loro candidati e obbliga anche gli elettori e le elettrici a votare (non votare, senza una valida giustificazione, può comportare una multa).

Le ultime primarie con cui sono stati definiti i candidati e le forze politiche che partecipano alle legislative di metà mandato si sono tenute lo scorso settembre: e il risultato è stato assai negativo per la coalizione di governo.

L’affluenza, intanto, è stata la più bassa dal 1983: ha votato solamente il 67 per cento degli e delle aventi diritto. Il Frente de Todos (FdT), la coalizione che sostiene l’attuale governo, ha perso in 18 delle 24 province del paese, mentre ha vinto quasi ovunque Juntos por el Cambio (JxC), la coalizione dell’ex presidente Mauricio Macri dove sta guadagnando molto spazio l’attuale sindaco della Città autonoma di Buenos Aires, Horacio Rodríguez Larreta.

La coalizione conservatrice ha ottenuto moltissimi voti anche nella provincia di Buenos Aires, che raccoglie circa un terzo dell’elettorato di tutto il paese e che fino a poco tempo fa rappresentava una delle basi più solide del sostegno di Fernández. Nella capitale, poi, ha ottenuto quasi il 14 per cento dei voti La Libertad Avanza, formazione di estrema destra il cui leader è l’economista Javier Milei, ultra-liberista, negazionista della crisi climatica (che ha definito una «menzogna del socialismo»), contrario all’aborto e favorevole all’uso delle armi per tutti.

Javier Milei de La Libertad Avanza durante un evento per la campagna elettorale delle primarie, Buenos Aires, 6 novembre 2021 (Ricardo Ceppi/Getty Images)

Le primarie non sono state viste solamente come un sondaggio pre-elezioni, ma anche e soprattutto come un referendum su Fernández, che il presidente, un peronista moderato, ha perso per vari motivi (la tradizione politica del peronismo deriva dal movimento politico di massa che si sviluppò negli anni Quaranta intorno alla figura di Juan Domingo Perón).

Il suo governo è in difficoltà innanzitutto a causa della grave situazione economica del paese e perché non è stato capace, secondo molti, di affrontare il disagio sociale. Secondo i dati dell’Instituto Nacional de Estadísticas y Censos, i salari dei lavoratori e delle lavoratrici sono al minimo storico degli ultimi dieci anni. Risulta inoltre che nella seconda metà del 2020 il 42 per cento della popolazione viveva sotto la soglia di povertà e che l’inflazione annuale superasse il 50 per cento.

– Leggi anche: In Argentina l’economia non ce la fa quasi più

Poi c’è stata la gestione alla pandemia: la campagna vaccinale è stata lenta, e ci sono stati grossi scandali legati alle vaccinazioni, come quello soprannominato dai giornali argentini “Vacunatorio VIP” e che aveva portato alle dimissioni del ministro della Sanità, Ginés González García. Secondo un’inchiesta del quotidiano argentino Nación, il ministero aveva bloccato almeno 3mila dosi che sarebbero state somministrate prima del tempo a funzionari pubblici e ai loro conoscenti, oltre che a figure politiche e imprenditori.

Dopo le primarie
La batosta delle primarie si è trasformata in una crisi di governo che ha portato alle dimissioni di una serie di ministri e di alti funzionari considerati vicini alla vice-presidente Cristina Fernández de Kirchner, che fu presidente tra il 2007 e il 2015, che ha posizioni molto populiste in economia e che molti analisti politici ritengono essere assai influente nel governo.

Alcuni media all’opposizione hanno ipotizzato che i risultati delle primarie siano stati usati da Kirchner per fare pressione su Fernández e imporgli le sue idee. Una leader di Juntos por el Cambio, Elisa Carrió, è arrivata a parlare di un «colpo di stato». Diversi altri giornali hanno parlato di «guerra fratricida» dentro la coalizione di governo.

I risultati delle primarie, oltre ad aver accentuato le differenze politiche tra Fernández e la vicepresidente, hanno portato a un rimpasto di governo con l’obiettivo di ristabilire l’unità del Frente de Todos e garantire la governabilità. In questo modo, e almeno per ora, Fernández è riuscito a evitare una spaccatura all’interno della sua coalizione, che è composta da varie tendenze del peronismo e che era stata creata nel 2019 con una complessa operazione di ingegneria politica per sconfiggere il governo di destra di Mauricio Macri.

Alberto Fernández e Cristina Fernández de Kirchner, Buenos Aires, 30 settembre 2021 (Tomas Cuesta/Getty Images)

Verso le elezioni
Misurati sulle forze politiche presenti in parlamento, dei 127 seggi rinnovati oggi alla Camera bassa il 53 per cento è occupato da JxC (60 seggi) e il 42 per cento da FdT (51 seggi). Se la coalizione di governo riuscirà a mantenere quelli che aveva e ad aggiungerne altri 10, avrà in totale 129 seggi, un numero sufficiente per avere la maggioranza. L’obiettivo è complicato e lo è diventato ancora di più dopo la sconfitta alle primarie.

La maggior parte dei sondaggi conferma che il partito del presidente è in svantaggio di oltre 8 punti rispetto all’opposizione e che probabilmente perderà anche nella provincia di Buenos Aires: le tendenze riflettono insomma quelle del voto alle primarie.

Nelle settimane successive alla sconfitta, il governo ha cercato in tutti i modi di capovolgere la situazione.

Senza avere tempo per soluzioni a lungo termine, ha preparato un nuovo pacchetto di riforme economiche e sociali per migliorare, ad esempio, pensioni, salario minimo e assistenza sociale. Queste misure – che hanno come obiettivo quello di attenuare il malcontento e che, secondo gli osservatori, sono state decise per tornaconto elettorale – hanno però portato a un aumento della spesa pubblica: stanno mettendo a dura prova il piano di austerità del ministro dell’Economia, Martín Guzmán, e stanno complicando ancor di più le trattative che l’Argentina ha in corso con il Fondo Monetario Internazionale a cui, nel 2018, l’ex presidente Mauricio Macri era stato costretto a chiedere un prestito per evitare il default.

Secondo alcuni analisti non è impossibile, anche se improbabile, che il FdT riesca a migliorare il risultato delle primarie, soprattutto perché la gran parte dei voti che non ha ottenuto non sono andati alle opposizioni: nella provincia di Buenos Aires, ad esempio, alcuni ex sostenitori hanno votato per altri partiti (soprattutto per le formazioni più di sinistra), mentre la maggior parte non è andata semplicemente a votare.

La coalizione al governo ha dunque insistito molto sugli appelli al voto e ha basato la campagna elettorale delle ultime settimane sul porta a porta, soprattuto in quei distretti che appartengono allo zoccolo duro del peronismo e dove alle primarie la partecipazione è stata bassa.

L’opposizione è invece entusiasmata dai risultati ottenuti alle primarie e spera che la sconfitta del peronismo venga confermata, trasformando Fernández in un leader debole per il resto del suo mandato e soprattutto in vista delle presidenziali del 2023.

Con molta probabilità il candidato di JxC sarà l’attuale sindaco di Buenos Aires, Horacio Rodríguez Larreta: è apprezzato come amministratore, si propone da tempo come colui che può creare unità tra le varie forze dell’opposizione e contro il kirchnerismo, è molto ambizioso e attivo a livello nazionale.

Horacio Rodríguez Larreta, Parigi, 12 dicembre 2017 (AP Photo/Michel Euler)

Nelle analisi politiche prima del voto, viene dato ampio spazio anche alla coalizione ultra-liberista La Libertad Avanza di Javier Milei: come mostrano i risultati delle primarie, la delusione di molti elettori nei confronti del governo Fernández dopo due anni al potere e il brutto ricordo lasciato da Mauricio Macri dopo la sua presidenza tra il 2015 e il 2019 hanno indebolito il tradizionale sistema bipartitico del paese (peronisti, antiperonisti) portando voti alle formazioni di estrema sinistra e, soprattutto, a quella di Milei.

Milei – che secondo i sondaggi sarà eletto – si definisce un “anarco-capitalista”: ha condotto la propria campagna elettorale con pantaloni militari e spille con la bandiera degli Stati Uniti, ha promesso di non votare mai una legge che preveda l’aumento delle tasse, vuole abolire la banca centrale che ha definito «un’organizzazione criminale contro i poveri», e ha portato avanti, con una retorica populista molto aggressiva, attacchi costanti a quella che considera la «casta» della politica, cioè le formazioni politiche argentine tradizionali. Ha molto successo soprattutto tra i giovani.