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  • Giovedì 30 settembre 2021

La prossima volta che guardate la tv

Figuratevi le riunioni che hanno preceduto quel programma, raccontate nel nuovo libro di Pietro Galeotti

Gli allibiti, Tommaso Labranca, riunione del 24 maggio 1999.
Gli allibiti, Tommaso Labranca, riunione del 24 maggio 1999.

Pietro Galeotti, che fa soprattutto l’autore televisivo ma anche il giornalista e lo scrittore – insomma, scrive cose – ha pubblicato per Feltrinelli un libro di riflessioni e condivisioni sulle sue lunghe esperienze di costruzione di programmi in tv (tra cui molti di quelli condotti da Fabio Fazio, alcuni festival di Sanremo, altri ancora): e lo ha intitolato La riunione, scegliendo quello che è a sua volta un format del dietro le quinte televisive per descrivere meccanismi, paradossi, assurdità della vita di chi lavora ai programmi e del dibattito pubblico con cui si confronta. Questo è un estratto dal primo capitolo.

*****

Quando frequentavo il liceo, come tutti quelli che vanno bene in italiano, sognavo di diventare uno scrittore famoso e, con la fantasia cinéphile dello studente provinciale, da povero figlio di proletari mi trasformavo in un intellettuale in completo di lino bianco seduto al tavolo di un locale alla moda romano (milanese), o sotto il pergolato durante la bella stagione, impegnato tra una pietanza molto costosa e un bicchiere di vino ancora più costoso in una raffinata e spiritosa conversazione vis-à-vis con i miei ospiti, gli eredi naturali di Achille Campanile, di Marcello Marchesi, di Ennio Flaiano, mentre poco distante dalla nostra tavola il nuovo Fellini parlottava sottobraccio con il Mastroianni del Terzo millennio e al momento del caffè ci raggiungeva Laetitia Casta (proprio lei, che ancora oggi non ha niente da invidiare a nessuno).

Invece.

Decine di anni consumati sgretolando panini contundenti in compagnia di altri disgraziati come me, trasandati – loro – come chissà perché si ritiene che un autore debba trasandarsi con certi orrendi maglioni girocollo e quelle felpe da ergastolani e sulle spalle l’immancabile zainetto più adatto a una gita al Terminillo che a un caffè da Rosati, ma tutti intenti a buttare un occhio agli ascolti della sera prima per commentare con piacere feroce il risultato di chi è andato male nella spietata guerra degli ascolti e poterne spiegare il flop agli altri addetti ai lavori con l’arma di distruzione di massa dell’homo televisivus: il senno di poi.

Quel momento in cui diventa chiarissimo a tutti che il comico che meno di dodici ore prima ti faceva sganasciare dalle risate – glielo hai anche detto abbracciandolo e ringraziandolo e promettendogli altre cinque puntate – non funziona, non ha mai funzionato e non funzionerà mai, e chi l’ha scelto è un coglione e da un lato all’altro della stanza cominciano a volare occhiate oblique e mormorii di disapprovazione, in cui chiunque si sente autorizzato a spiegarti che la scenografia scelta per il programma ha la luminosità di una necropoli etrusca, il cast è un carrello dei bolliti, il meccanismo non funziona e l’unica cosa efficace è la gag con i bambini pasticcioni che dalla prossima puntata, se mai si farà, dovrà avere un ruolo centrale nello show.

Ma ieri sera per fortuna in onda c’è andato qualche altro poveraccio e quindi tocca a noi adesso pontificare, subito dopo aver letto gli ascolti. E allora via con le sentenze: ormai il Tale è morto, e gli sta bene così impara a sparlare di tutto e di tutti con quella spocchia da primo della classe che non si capisce da dove gli venga. Anche se, con il culo che ha, casca sempre in piedi, ho letto che l’anno prossimo gli danno Sanremo.
Se non cambiano tutti i Direttori, ché in quel caso la partita si riapre anche per l’Altro, quello con cento vocaboli in repertorio.
Fine della filippica e fine anche di questi schifosi panini.

Sarà venuta un’idea, un’idea qualunque?

Rientrati nel sacello, che un evidente errore del catasto ha archiviato come stanza abitabile, notiamo che sul tavolo si è materializzato uno scartafaccio: a un esame più approfondito che comunque ci permette di arrivare alle 16, quando con tanto amor l’uomo a’ suoi studi intende o torna agli aperitivi, il malloppo risulta essere il Format di un realitytutorialcookshowtalentmaking centroamericano che, con le opportune modifiche necessarie ad adattarlo al gusto del nostro pubblico (Nostro? Pubblico? Gusto?), potrebbe funzionare.
Vorrei avere le parole adatte per descrivere quell’impercettibile luccichio da truffatore mediorientale che illumina gli occhi dei dirigenti quando nell’aria risuona la parola fatale: Format!
C’era vita prima del Format?

Quando ho iniziato questo mestiere – anche se mio padre che fu operaio, dunque una persona seria, ogni volta che cercava di spiegare a qualcuno il mio lavoro non sapendo cosa dire, e neppure cosa facessi esattamente, per troncare il discorso diceva “il giornalista”, che più o meno capiscono tutti – comunque quella volta lì il Format non esisteva.

(Il Format rivendica il rifiuto polemico della complessità e per definizione se ne disinteressa perché nel suo mondo la complessità non esiste.)

Le principali conseguenze dell’avvento del Format?
Alla tirannide dei Capistruttura, che ancora alla metà degli anni ottanta erano divinità potentissime con diritto di vita e di morte sugli autori sui conduttori e sui registi, si è sostituita la tirannide dei Produttori Esterni, i proprietari dei Format.

Dunque alla fine di questa Riunione, all’ora del quinto caffè (secondo una ricerca dell’Università di Boston una riunione di scalette al netto del tempo dedicato ai caffè durerebbe 3 ore e 12 minuti in meno) abbiamo un Format e una terna di conduttori scritti a penna all’interno della quale pescare il jolly.
Quale disgrazia vogliamo affrontare per prima?

Dobbiamo decidere in fretta, prima che per distrazione a qualcuno di noi venga un’idea originale in grado di spezzare questo equilibrio.
Si parte dal Conduttore, così poi si può passare alle cose serie.
I tre nomi scritti sul foglietto si riferiscono a professionisti di fascia A/2, nomi abbastanza affermati ma in ritardo di un giro rispetto a quelli di moda oggi, e quindi bisognosi di un nuovo collaudo e di una opportunità di riscatto.
Riepilogo: siamo chiusi in una stanza decrepita, a Roma, con un Format battente bandiera bananense, e un presentatore da miracolare scelto tra una terna malandata.
Decido in questo preciso istante che il giorno che mi faranno uscire di qui pubblicherò un elegante volumetto illustrato con i disegnini che ciascuno di noi reclusi esegue sul foglio bianco durante queste interminabili riunioni.
Il mio “artista” preferito, per esempio, ne fa di meravigliosi e ne è molto compiaciuto, al punto che da quando ho cominciato a collezionarli, lui prima di cedermeli si assicura che siano “buoni”.
All’inizio disegnava solo alberelli striminziti, secchi, piegati dal vento: ne ricordo in particolare uno del 1998 con uno stile alla Hokusai raffigurante quattro alberi in una prospettiva stramba disegnati con un pennarellone nero che rende ancora più bianco lo sfondo del foglio A4 mentre dall’alto un piccolo sole rosso fuoco getta su tutto una luce sinistra. Sicuramente quel disegno nacque durante una riunione per uno sponsor.
Negli anni oltre agli alberelli il “mio artista” ha continuato ad aggiungere sempre nuovi soggetti: una volta le casette, tutte arroccate come borghi medievali quasi a confondersi una dentro l’altra, un’altra le quadrerie, enormi pareti di quadri piccoli e grandi di ispirazione impressionista, poi la bellissima serie ispirata – credo involontariamente – alle metropoli futuriste dell’architetto Sant’Elia con grandi autostrade sopraelevate che irrompono dentro stazioni ultramoderne, e da ultimo la serie dei colori: una vera cagata fatta con gli evidenziatori, ma come sappiamo non tutte le fasi di un artista possono essere ugualmente interessanti.
L’ultima serie in mio possesso risale al periodo dei volti realizzati con forme geometriche, che conservo ancora insieme a tutti gli altri.
Con i progetti dei programmi che non farò.

Da quando si è sparsa la voce che colleziono questi frammenti di Meeting Art (l’inglese impacchetta sempre con precisione la fuffa), molti amici li conservano e me li fanno avere; io li catalogo tenendo sempre al primo posto il disegnino di L. – una mia caricatura – abbozzato con una certa grazia durante una riunione di copione al Teatro Ariston.

Persino durante questa di Riunione – interminabile come quelle notti che da giovani si usavano per stare svegli e confessarsi sogni e aspirazioni – stiamo producendo per la mia collezione: io realizzo la mia solita serie di frecce che partono da un centro e si diramano in tutte le direzioni spesso incrociandosi tra loro, se avessi il coraggio di andare dallo psicanalista per prima cosa gli mostrerei quei disegni, P. appunta singole parole o spezzoni di frase e li incasella in quadratoni che colloca a varie altezze del foglio secondo la lezione futurista dei Mots en liberté, C. disegna facce di porcellini, M. compila elenchi di ospiti in quadricromia.
Poi T. mi passa un foglio A4 con un grappolo di volti dolenti, stupiti, perplessi, rassegnati. Il capolavoro è firmato a penna e sul retro annota meticolosamente la data di produzione, il programma di riferimento, l’ora di realizzazione e il titolo dell’opera:

GLI ALLIBITI.

Lo guardo, mi guarda, ci guardiamo.
Eccoci, siamo noi.
Ma ora bisogna rompere lo stallo e partire.
Oltre allo scartafaccio, il funzionario ha lasciato sulla scrivania la chiavetta contenente la registrazione di una puntata del Format boliviano, giusto per dare un’occhiata, dice lui.
Gli diamo un’occhiata, giusto per farlo felice: riassumendo in una parola il Format che abbiamo visto, potremmo dire che è boliviano.
La chiavetta finisce nell’armadio ministeriale insieme a tonnellate di dvd e a resti di vhs appartenenti a Funzionari defunti da secoli, poi il silenzio può ripiombare sul nostro tavolo di lavoro.
E se partissimo dal Conduttore, dalla sua ineffabile nevrosi, da quell’insofferenza malcelata dietro la scaletta, dalla sua lugubre calendarizzazione delle tragedie?

O magari dalla sua tipica frase d’attacco: “Io devo andare in scena allegro, perciò risparmiatemi le rotture di coglioni, i seccatori, le raccomandazioni e i vostri musi lunghi”.

Se vi vedo tristi, sono triste.
Se siete preoccupati mi preoccupo.
Se vi distraete mi distraggo.

La sua allegria dipende quindi dalla nostra tenuta psicologica.
E se lo show andrà male potrà dare la colpa agli autori. Come sempre.
Ricordo il saluto che un Conduttore rivolse a noi autori di un programma clamorosamente brutto di troppe estati fa. Brutto, ma per colpe non esclusivamente nostre. Rivolgendosi a noi poveri disperati messi in un tavolo pericolosamente vicino al cesso e dolorosamente lontano dalle ballerine, ci ringraziò per aver portato il nostro tocco rustico al programma! Cosa avrà voluto dire? Sarà stato un complimento?

Il Conduttore desidera sempre l’evaporazione dell’autore, il venir meno della sua funzione orientativa, la scomparsa della sua autorità, l’abolizione del suo ruolo di coscienza critica. Anche se, essendo meno raffinato, si limita in genere a dire “come sempre devo fare tutto io”.

Resta il fatto che serve un’idea.
Così almeno dice qualcuno di noi.

Si affaccia nella stanza il Produttore:
“Ragazzi, attenzione: ogni idea accende un costo!”.
La prima volta questa frase me la disse R. che l’aveva a sua volta sentita pronunciare da un Produttore a una riunione alla quale lei era presente.
Allora risi molto.
Solo dopo ho capito che riguardava anche la mia vita ed era ormai troppo tardi per cambiare mestiere.
Metti nella stanza un Produttore e all’autore non resta che un penoso elemosinare qualche rivoletto di budget per fare spettacolo a scapito di costi industriali, casting, collegamenti, scene, uffici stampa, stylist, social media manager.
Ma se tutto il budget che abbiamo a disposizione se ne va in millecinquecento voci di spesa, mandiamo in onda la scenografia. Purché non sia tombale. La scenografia.

Tanto l’importante è che il programma sia già venduto. Ma venduto a chi? Chi se lo compra se ancora non sappiamo cosa c’è dentro neanche noi che dovremmo inventarcelo?

Proviamo a ripartire dall’inizio.
Serve una prima serata da costruire in fretta, che costi poco, utilizzi un Conduttore in chiara parabola discendente ma da rivitalizzare, possibilmente si ispiri a un Format orrendo, faccia molto ascolto e sia pronta per andare in onda tra due settimane. Meno un giorno.
Vietato arrendersi. E comunque, se resa dev’essere, che sia alle mie condizioni.
Pertanto tutti insieme decidiamo di decidere domani. In riunione.

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano