Che cos’è il semestre bianco

Da martedì Mattarella non potrà più sciogliere le Camere e mandare il paese alle elezioni, per una regola che una volta generò un “ingorgo istituzionale”

(Paolo Giandotti/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse)
(Paolo Giandotti/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse)
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Martedì 3 agosto inizia il cosiddetto “semestre bianco”, cioè gli ultimi sei mesi dei sette anni di mandato del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che prestò giuramento e si insediò il 3 febbraio 2015. Durante questi sei mesi Mattarella – come i suoi predecessori – non potrà esercitare la sua prerogativa più influente, cioè sciogliere le Camere del Parlamento e indire nuove elezioni, motivo per cui spesso in prossimità del semestre bianco nel dibattito politico emergono scenari di possibili crisi di governo, che i partiti potrebbero innescare senza il timore di affrontare nuove elezioni, avendo la certezza di poter rimpiazzare un governo con un altro senza andare a votare, o restando col governo dimissionario in carica per l’ordinaria amministrazione.

La norma del semestre bianco è contenuta nell’articolo 88 della Costituzione, quello che parla della possibilità per il presidente della Repubblica di sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Il secondo comma di questo articolo recita:

Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.

Sostanzialmente, il semestre bianco è una precauzione: la norma fu introdotta per evitare che il capo dello Stato possa decidere di sciogliere le Camere a ridosso della fine del suo mandato con l’obiettivo di eleggerne altre più vicine a lui e favorire così la scelta di un presidente che esprima una continuità col proprio mandato (se non addirittura una rielezione). I membri dell’Assemblea costituente, che contribuirono a scrivere la Costituzione tra il 1946 e il 1948, venivano da venti anni di dittatura: l’impianto degli articoli della Costituzione è tutto incentrato sui principi di equilibrio tra i poteri e di rappresentatività.

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In particolare fu il sardo Renzo Laconi, deputato comunista, a presentare durante i lavori dell’Assemblea l’emendamento che avrebbe introdotto il semestre bianco. Nell’ottobre del 1947, in una seduta pomeridiana, Laconi illustrò la proposta dicendo che «se domani il presidente della Repubblica, allo scadere del suo mandato, si trovasse con due Camere le quali in modo evidente non gli fossero favorevoli», potrebbe scioglierle al fine di prorogare i suoi poteri. Laconi concluse l’intervento dicendo: «Siccome una tradizione democratica in Italia non vi è ancora, penso che non sia male di stabilire delle clausole a questo riguardo».

La cosiddetta Commissione dei 75, composta da membri scelti dell’Assemblea e incaricata materialmente di scrivere la Costituzione, accettò la proposta, sebbene senza grande entusiasmo. Il relatore Egidio Tosato rispose così a Laconi: «La Commissione non è aliena dall’accettare l’emendamento dell’onorevole Laconi, sebbene lo ritenga superfluo. Infatti abbiamo già votato un articolo in forza del quale non si procede ad elezione del Presidente della Repubblica nel caso in cui questa elezione cada nell’ultimo semestre di vita delle Camere. […]. Tuttavia, se l’onorevole Laconi insiste, la Commissione non ha difficoltà ad accettare la sua proposta».

Non passò molto tempo prima che il secondo comma dell’articolo 88 venisse messo in discussione. Nel 1963 l’allora presidente della Repubblica Antonio Segni fu il primo presidente della storia italiana a sfruttare una delle facoltà dei presidenti, cioè mandare un messaggio formale alle Camere per indirizzarne le attività. Nel messaggio si evidenziava «qualche manchevolezza» della Costituzione e invitava i legislatori a rimediare, e tra le disfunzioni indicate c’era anche il semestre bianco, il quale secondo Segni «altera il difficile e delicato equilibrio tra i poteri dello Stato, e può far scattare la sospensione del potere di scioglimento delle Camere in un momento politico tale da determinare gravi effetti».

C’era già allora un modo più semplice per evitare derive autoritarie del presidente, e cioè impedirne la rielezione: «La nostra Costituzione non ha creduto di stabilire il principio della non immediata rieleggibilità del presidente della Repubblica», scrisse Segni nel 1963. «Ma […] sembra opportuno che tale principio sia introdotto nella Costituzione, essendo il periodo di sette anni sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato». E aggiunse che con questa regola sarebbe venuto meno «qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del Capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione».

Il presidente Mattarella di recente ha citato ampie parti di questo messaggio, in occasione dei 130 anni dalla nascita di Segni. Le dichiarazioni di Mattarella hanno ricevuto grandi attenzioni dai giornali, in quanto il messaggio sottinteso era la sua volontà di non volersi ricandidare per un secondo mandato – ipotesi che in quelle settimane circolava molto – e una sostanziale condivisione dell’impostazione di Segni.

In ogni caso, il Parlamento negli anni successivi non accolse l’invito di Segni. Intervenne sull’articolo 88 solamente una volta, nel 1991, per via di quello che venne definito un “ingorgo istituzionale”, quando cioè il semestre bianco del mandato di Francesco Cossiga coincise per buona parte con gli ultimi mesi della X legislatura. Stando alla Costituzione, Cossiga non avrebbe potuto sciogliere le Camere: ma questo avrebbe impedito il passaggio istituzionale alla legislatura successiva, frutto delle elezioni politiche. Il sesto governo Andreotti promosse e ottenne quindi la modifica dell’articolo 88, inserendo una deroga nel caso in cui gli ultimi sei mesi del mandato presidenziale «coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura».

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Durante il semestre bianco si temono quasi sempre crisi politiche, proprio per l’impossibilità del presidente della Repubblica di sciogliere le Camere, la cui sola presenza tra le ipotesi percorribili talvolta può bastare per far rientrare le crisi e favorire la tenuta dei governi. Anche nel caso del semestre che partirà martedì ci sono timori simili.

L’autorevole quirinalista del Corriere della Sera, Marzio Breda, ha scritto di recente che «di fatto, tra un paio di settimane Mattarella avrà davanti a sé sei mesi nei quali si troverà le mani legate. Mentre i partiti si sentiranno più liberi di giocare duro e magari di contrapporsi fra loro con calcoli spericolati, specie le forze politiche che sostengono il governo Draghi». Ma, prosegue Breda, «il Quirinale resta sempre e comunque la camera di compensazione di ogni crisi. Con un ruolo, se non neutralizzato, almeno di freno d’emergenza».