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  • Mercoledì 28 luglio 2021

Le accuse ai manager di Grafica Veneta

La storia dell'indagine sul presunto sfruttamento di lavoratori stranieri impiegati nei locali della più importante azienda italiana per stampare i libri, dall'inizio

Mascherine prodotte da Grafica Veneta distribuite insieme ai giornali in un'edicola di Padova (ANSA/NICOLA FOSSELLA)
Mascherine prodotte da Grafica Veneta distribuite insieme ai giornali in un'edicola di Padova (ANSA/NICOLA FOSSELLA)
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Grafica Veneta, azienda con sede a Trebaseleghe (Padova) e la più importante in Italia nella stampa di libri, è coinvolta in un’indagine sullo sfruttamento di lavoratori stranieri e sulle condizioni cui erano costretti a sottostare per mantenere il lavoro. A essere finiti agli arresti domiciliari, nel corso dell’operazione denominata “Pakarta” e condotta dai carabinieri di Cittadella e dal Nucleo carabinieri tutela del lavoro di Venezia, sono Giorgio Bertan, amministratore delegato, e Giampaolo Pinton, direttore dell’area tecnica.

L’accusa per loro è quella di essere stati a conoscenza della situazione di illegalità e sfruttamento in cui operava la manodopera straniera, a cui Grafica Veneta aveva appaltato l’ultima fase produttiva, quella del confezionamento, del ciclo di produzione di libri. E di aver cercato di ostacolare le indagini. Con loro sono stati arrestati nove cittadini pakistani accusati di estorsione, sequestro di persona, rapina. L’azienda sostiene invece che i suoi dirigenti non sapessero nulla delle condizioni di sfruttamento a cui erano sottoposti i lavoratori stranieri.

La vicenda ha avuto inizio il 25 maggio 2020, quando un giovane pakistano venne trovato con le mani legate dietro la schiena, dopo essere stato picchiato, al margine della Statale 16, a Piove di Sacco, in provincia di Padova. Un altro uomo nelle stesse condizioni venne trovato a circa 40 chilometri di distanza, a Loreggia. I carabinieri scoprirono poi che altri cinque lavoratori pakistani si erano presentati al pronto soccorso di Camposampiero (sempre in provincia di Padova), denunciando di essere stati picchiati e rapinati.

Erano tutti dipendenti di BM Service, società con sede a Lavis, in Trentino, gestita da Arshad Mahmood Badar e dal figlio Asdullah, entrambi di origine pakistana e cittadinanza italiana. L’azienda si occupa di confezionamento e fissaggio di prodotti per l’editoria, in appalto presso altre aziende.

Secondo i carabinieri, dietro la società si nascondeva un’organizzazione che faceva uso regolare di caporalato, che sfruttava e minacciava i lavoratori esercitando su di loro anche violenze fisiche. Ciò che i carabinieri hanno scoperto, e che poi ha portato agli ordini di arresto, è che i lavoratori erano sì tutti regolarmente assunti, ma erano costretti a lavorare fino a 12 ore al giorno per sette giorni su sette, che non erano previste giornate di riposo, che le ferie non esistevano e tantomeno erano riconosciuti i giorni di assenza per malattia. Secondo quanto ricostruito dall’indagine dei carabinieri, i lavoratori erano sorvegliati a vista e non venivano forniti loro i dispositivi di protezione individuale, ad esempio per il rumore. Tutto questo avveniva nei locali di Grafica Veneta.

Grafica Veneta ha come clienti quasi tutti i più importanti editori italiani, comprese case editrici del gruppo Mondadori, del gruppo GeMS e Feltrinelli. Ha stampato e confezionato i libri di Papa Francesco, la saga di Diario di una schiappa, il libro di Barack Obama, la saga di Harry Potter, i libri di Stephen King, e poi libri per la scuola, riviste. Ora produce anche mascherine. Recentemente Grafica Veneta ha acquisito il controllo di Lake Book Manifacturing, azienda storica nella produzione di libri nel mercato americano. In tutto l’azienda ha 700 dipendenti, 500 in Italia e 200 negli Stati Uniti.

Tre anni fa Fabio Franceschi, il presidente di Grafica Veneta, si lamentava peraltro perché non riusciva a trovare manodopera. In un’intervista data al Corriere del Veneto nell’aprile 2018, diceva: «Qualche ragazzotto che dà la disponibilità c’è ma poco dopo rinunciano per via dei turni». Quattro mesi fa, lo stesso presidente commentava lo straordinario andamento dell’editoria italiana che, durante la pandemia, nel 2020, aveva fatto registrare un aumento di fatturato del 2,4%, grazie al «al gioco di squadra tra editori e politica».

«Una delocalizzazione a km zero», l’ha definita Dario Verdicchio, che ha la delega al mercato del lavoro nella segreteria confederale della Camera del lavoro di Padova. Il gip di Padova Domenico Gambardella ha scritto, avvalorando le tesi del pubblico ministero Andrea Girlando: «Grafica Veneta è perfettamente consapevole del numero di ore necessarie per svolgere il lavoro che appalta e non a caso, disponendo delle timbrature dei dipendenti BM Service, ha fatto di tutto per non consegnarli alla Polizia giudiziaria».

Dario Verdicchio ha detto al Post: «È davvero improbabile che i responsabili dell’azienda italiana non sapessero che cosa accadeva. I lavoratori timbravano i cartellini nella sede di Trebaseleghe e lì venivano controllati. Si devono essere accorti che i turni di lavoro erano di 12 ore sette giorni su sette. Ma c’è anche un altro elemento: il costo del lavoro pagato da Grafica Veneta era completamente disancorato dalla realtà, troppo basso. Questo in azienda dovevano saperlo per forza visto che i contratti li avevano fatti loro».

Ciò che Grafica Veneta pagava non avrebbe consentito alla BM Service nemmeno di rientrare dai costi della manodopera, secondo le indagini. L’unico modo per recuperare i costi era quello di far lavorare gli operai il doppio delle ore stabilite dimezzando così la loro retribuzione. Lo stipendio dei lavoratori si aggirava mensilmente intorno ai 1.100 euro. A questi venivano sottratti 150-200 euro per l’alloggio, fornito sempre dalla BM Service: piccoli appartamenti in cui i lavoratori dovevano convivere anche in venti.

Nelle testimonianze, i lavoratori pakistani hanno poi parlato di violenze fisiche continue e di minacce alle famiglie in Pakistan se si fossero ribellati o avessero denunciato.

Nella conferenza stampa in cui ha illustrato l’operazione portata a termine dai carabinieri, il procuratore di Padova Antonio Cappellari ha detto: «La particolarità di questo caso di caporalato è la complicità, che credo siamo riusciti a dimostrare in pieno, dell’azienda italiana con quella gestita dai pakistani, nonostante le solide condizioni economiche e la possibilità di operare in maniera regolare. Sono riusciti a delocalizzare un settore nella loro stessa sede, appaltando manodopera a prezzi bassissimi. È inquietante come da una parte l’azienda si sia dimostrata sensibile ai temi sociali, ad esempio fornendo mascherine nel pieno della pandemia quando non ce n’erano, e dall’altra agisse in modo irrispettoso non solo dei diritti dei lavoratori, ma del genere umano».

Secondo il gip, i due arrestati italiani avrebbero cercato di creare seri ostacoli allo svolgimento dell’indagine: «Vi sono state telefonate in cui i dirigenti della Grafica hanno detto al proprio tecnico di non consegnare nulla e cancellare i dati, disperandosi una volta appreso che la Polizia giudiziaria era comunque riuscita ad acquisire un dato parziale».

Grafica Veneta, dopo l’arresto dei suoi due dirigenti, ha fatto avere alle agenzie di stampa una nota che dice: «L’azienda era del tutto all’oscuro di quanto emergerebbe dall’inchiesta e del resto l’oggetto della contestazione ai suoi funzionari riguarda soltanto un asserito ostacolo all’indagine. Ostacolo che non è mai stato posto dalla società Grafica Veneta che intende invece collaborare con le forze dell’ordine e la magistratura per il ripristino della legalità in primis e quindi della verità».

Il presidente Fabio Franceschi ha detto: «Esprimo la solidarietà ai collaboratori citati in questa vicenda e ne sottolineo la piena stima e il completo sostegno».