• Mondo
  • Venerdì 2 luglio 2021

I posti nel mondo per un solo sesso

Dal monte Athos a una foresta indonesiana, per motivi storici o più spesso religiosi, in certi luoghi i maschi o le femmine non sono ammessi

Un monaco al monastero Osiou Gregoriou, sul monte Athos in Grecia, dove sono ammessi solo uomini e animali maschi (Milos Bicanski/Getty Images)
Un monaco al monastero Osiou Gregoriou, sul monte Athos in Grecia, dove sono ammessi solo uomini e animali maschi (Milos Bicanski/Getty Images)

Una leggenda sulla vita della Vergine Maria, molto diffusa nella tradizione ortodossa, racconta che un giorno fu invitata da Lazzaro a Cipro. Mentre era in viaggio per raggiungere l’isola, però, la sua nave sbagliò rotta e approdò per caso – secondo la leggenda per provvidenza divina – sulle sponde della penisola dove si trova il Monte Athos, in Grecia. Lì incontrò alcuni fedeli di un tempio pagano dedicato ad Apollo che, quando la videro, riconobbero in lei la madre di Dio e si convertirono al cristianesimo. La Vergine Maria, quindi, si affezionò all’isola e pregò suo figlio affinché diventasse un luogo di sua proprietà. La preghiera venne esaudita e da allora – sempre secondo la leggenda – il Monte Athos le venne dedicato.

Questa credenza è una delle ragioni per cui sul Monte Athos le donne non sono ammesse (l’unica presenza femminile dell’isola deve essere la Madonna, dicono i monaci delle comunità locali). E anche in molti altri luoghi del mondo dove vigono simili restrizioni – ce ne sono diversi – vengono usate motivazioni religiose, o antropologiche, come nel caso della foresta di mangrovie in Indonesia dove sono ammesse solo le donne. In altri casi, come quello di una particolare spiaggia di Trieste, la ragione è invece semplicemente storica.

La foresta di mangrovie in Indonesia

Nella provincia di Papua, in Indonesia, c’è una foresta di mangrovie nella quale solo le donne sono ammesse. La sua origine non è nota – una frequentatrice della foresta ha detto a BBC che esiste da molto prima che lei nascesse – ma le donne che la frequentano devono rispettare a loro volta una regola, vale a dire non indossare vestiti. È probabilmente per questo che gli uomini non sono ammessi (e se non rispettano il divieto vengono multati).

Le donne vanno nella foresta in barca e lì si godono quello spazio di autonomia e libertà facendo la raccolta delle vongole, che poi vendono al mercato locale. Di recente, ha raccontato BBC, nella foresta è aumentato l’inquinamento proveniente dalle città vicine.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da BBC News (@bbcnews)

La spiaggia di Trieste

A Trieste, vicino al Molo Fratelli Bandiera, c’è una spiaggia chiamata Lanterna o Pedocin (che significa pidocchio o cozza in dialetto), considerata l’ultimo stabilimento balneare in Italia – ma forse anche in Europa – in cui la spiaggia e il mare sono divisi in base ai sessi, metà per gli uomini e metà per le donne. Ci sono due ingressi, da una parte c’è quello per le donne e i bambini che hanno meno di 12 anni, dall’altra quello per gli uomini. L’entrata giornaliera è a pagamento ma si possono anche fare abbonamenti mensili o stagionali. Dentro, la spiaggia è divisa da un muro bianco, alto più di tre metri, che sancisce in modo ancora più netto la divisione, valida anche in acqua. Per accedere alla sezione del sesso opposto è necessario un permesso speciale.

La storia della Lanterna iniziò più di un secolo fa, quando Trieste era ancora sotto il dominio austriaco. Verso la fine dell’Ottocento il comune decise di edificare dei veri e propri bagni in centro città, per evitare di costringere le famiglie a doversi allontanare troppo per andare in spiaggia. Venne così costruito il Pedocin, la cui data di inaugurazione ufficiale risale al 1903 (secondo molti esisteva già da prima). Inizialmente la spiaggia era divisa da un semplice steccato, che fu poi sostituito da un muro di mattoni. Nel Novecento ci fu anche una specie di informale consultazione popolare per decidere se unificarla, ma la proposta fu respinta.

La spiaggia della Lanterna a giugno del 2020 (Ansa/Mauro Zocchi)

Il Monte Athos

Nel nord-est della Grecia c’è un piccolo territorio peninsulare i cui confini non possono essere varcati da persone o animali di sesso femminile. Non possono neanche avvicinarsi a più di 500 metri dalla costa. Il territorio è gestito da un’entità politica autonoma di cui fanno parte una serie di monasteri ortodossi – la cosiddetta Repubblica monastica del Monte Athos – che ovviamente accettano solo membri di sesso maschile. I pellegrini maschi sono benvenuti nella Repubblica, a patto che abbiano più di 18 anni.

Oltre alla leggenda della Vergine Maria, un altro motivo più pragmatico per cui le donne non sono ammesse al Monte Athos è la supposizione che in questo modo mantenere il celibato dei monaci sia più facile.

Il presidente russo Vladimir Putin visitò il Monte Athos nel 2016: qui mentre rende omaggio a un’icona nella città principale della penisola, Karyes (Alexandros Avramidis/Reuters via AP)

Il monte Ōmine e l’isola Okinoshima, in Giappone

Per ragioni simili a quelle dei monasteri del Monte Athos, nei luoghi giapponesi sacri alla religione shintoista vigono diverse restrizioni in base ai sessi e al periodo dell’anno. Ma ci sono in particolare due luoghi che vietano del tutto la presenza di donne, il monte Ōmine e l’isola Okinoshima. Il primo è un luogo sacro della religione ascetica Shugendō: la restrizione è stata contestata varie volte da attiviste femministe, nonché oggetto di critiche soprattutto dopo che il sito è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.

Il cartello che segnala l’inizio del divieto di accesso per le donne, oltre il quale non possono continuare a scalare il monte (Wikimedia Commons)

Okinoshima è invece un’isola al largo della città di Munakata, nel sud-ovest del paese, dove c’è un santuario ritenuto sacro dagli shintoisti e frequentato solo dai suoi guardiani che si alternano. Anche Okinoshima ha ricevuto lo status di sito patrimonio dell’umanità, a luglio del 2017. A maggio di ogni anno un massimo di 200 uomini può visitare l’isola, eseguendo prima alcuni riti di purificazione e facendosi il bagno nudi prima di scendere sull’isola. Curiosamente, la divinità adorata dai pellegrini e dai guardiani è femmina, la dea del mare Tagorihime.

Villaggio Umoja

Nel Kenya settentrionale c’è un villaggio nel quale solo le donne sono ammesse. Contrariamente a quanto si possa pensare, il divieto non è legato ad antiche tradizioni culturali o religiose della popolazione locale (Samburu), ma deriva da ragioni più concrete e per certi versi urgenti: nel 1990 il villaggio fu fondato per offrire rifugio alle donne violentate dai soldati britannici (il Kenya fu una colonia del Regno Unito fino al 1963 e ancora oggi nel paese c’è una presenza militare britannica) e poi nel tempo si sono aggiunte le donne vittime di mutilazione genitale o violenze di altro tipo.

La fondatrice di Umoja è Rebecca Lolosoli, a cui venne l’idea mentre era in ospedale dopo che era stata espulsa dalla sua comunità e picchiata da un gruppo di uomini per essersi espressa apertamente contro le mutilazioni genitali femminili. All’inizio la comunità di Umoja – che significa “unità” in swahili – era composta da 15 donne, poi ha raggiunto un picco di 50, mentre adesso sono 37. L’attività principale delle abitanti del villaggio è costruire bracciali e collane per i turisti, che però hanno smesso di arrivare per via della pandemia da coronavirus, lasciandole momentaneamente senza reddito. «Dobbiamo pensare a nuovi modi per sopravvivere» ha detto Jane Nolmongen, una delle prime abitanti di Umoja, al giornalista Dominic Kirui. «Se qualcuna ha dei risparmi li usa finché non potremo tornare a vendere ai turisti».


Il tempio Sabarimala e il tempio di Brahma, in India

In India ci sono molti luoghi, perlopiù templi, che applicano restrizioni in base al sesso. Uno di questi è il tempio dedicato alla divinità induista Brahma, nel Rajasthan, che vieta agli uomini sposati di entrare per via di una leggenda: Brahma doveva compiere un rituale con sua moglie, la dea Saraswati, ma lei tardò e lui lo fece con un’altra dea, Gayatri. Saraswati quando arrivò si infuriò al punto di maledire il tempio e tutti gli uomini sposati che lo avrebbero visitato.

In un altro tempio piuttosto famoso, Sabarimala, nello stato meridionale del Kerala, le donne che hanno le mestruazioni non possono entrare per motivi religiosi (l’induismo le ritiene impure). Due anni fa però la Corte Suprema dello stato aveva giudicato il divieto discriminatorio, e tre donne “in età da mestruazione” erano entrate nel tempio per la prima volta. Erano seguite violente proteste dei fedeli, che si erano scontrati con i sostenitori e le sostenitrici della decisione della Corte Suprema. La questione comunque non si è ancora risolta e lo scorso febbraio il Congresso nazionale indiano ha presentato un disegno di legge per preservare la pratica. È attesa un’ulteriore sentenza della Corte Suprema al riguardo.

Le proteste all’epoca delle prima tre donne sotto i cinquant’anni che entrarono nel tempio Sabarimala (EPA/PRAKASH ELAMAKKARA)