Gli Stati Uniti hanno adottato una dichiarazione di emergenza dopo che un attacco informatico aveva bloccato uno dei più importanti oleodotti del paese

Uno dei luoghi in cui passa la Colonial Pipeline a Helena, in Alabama (AP Photo/Brynn Anderson, File)
Uno dei luoghi in cui passa la Colonial Pipeline a Helena, in Alabama (AP Photo/Brynn Anderson, File)

Domenica il governo degli Stati Uniti ha adottato una dichiarazione di emergenza in 18 stati a seguito della chiusura di uno dei più importanti oleodotti del paese, la Colonial Pipeline, che aveva subìto un attacco informatico. La Colonial Pipeline è il più grande oleodotto degli Stati Uniti che trasporta carburanti già raffinati, è lungo oltre 8.800 chilometri da Pasadena, in Texas, a Linden, in New Jersey, e rifornisce circa la metà della costa orientale del paese, tra cui città come Atlanta, Washington e New York. La dichiarazione di emergenza servirà a facilitare trasporto di benzina, carburante per aerei e altri prodotti petroliferi raffinati, per esempio allentando delle restrizioni sul trasporto in strada di carburanti.

I gestori della Colonial Pipeline hanno detto che non è ancora possibile sapere quando l’oleodotto potrà riaprire. Intanto il prezzo del petrolio è già aumentato domenica (più 4 per cento) e lunedì (più 1,5 per cento) e la situazione da questo punto di vista potrebbe ancora peggiorare, se la riapertura dovesse tardare.

L’attacco all’oleodotto era stato compiuto venerdì con un “ransomware”, cioè un software malevolo installato dagli hacker che blocca alcuni dati e rende inaccessibili dei contenuti: questi possono essere sbloccati solo con il pagamento di una certa somma di denaro in riscatto (in inglese ransom).

Gli oleodotti come quello della Colonial Pipeline sono sempre più gestiti attraverso processi di automazione, usati per il controllo dei lotti da consegnare, dei flussi e della pressione del carburante: per questo sono maggiormente vulnerabili ad attacchi informatici. L’ultimo attacco ha fatto crescere le preoccupazioni relative alla sicurezza di alcune importanti infrastrutture statunitensi, dopo che a dicembre del 2020 l’attacco noto come SolarWinds – attribuito alla Russia – aveva colpito numerose aziende e settori strategici del governo degli Stati Uniti.

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