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  • Domenica 9 maggio 2021

I radioamatori hanno grandi progetti

Col graduale allentamento delle restrizioni molti di loro proveranno nuovamente a raggiungere i posti più isolati del mondo per sperimentare le comunicazioni a grandi distanze

Un gruppo di radioamatori durante un raduno di appassionati a San Antonio, in Texas, nel giugno del 2018. (Billy Calzada/ San Antonio Express-News via ZUMA Wire/ ANSA)
Un gruppo di radioamatori durante un raduno di appassionati a San Antonio, in Texas, nel giugno del 2018. (Billy Calzada/ San Antonio Express-News via ZUMA Wire/ ANSA)

C’è un ampio gruppo di appassionati che con il graduale allentamento delle restrizioni contro il coronavirus ha ricominciato a fare piani per andare letteralmente in capo al mondo: sono i radioamatori, che spesso fanno viaggi lunghi e molto avventurosi per raggiungere le località più remote del pianeta e allestire le loro stazioni mobili, con cui poi comunicano con operatori di tutto il mondo, distanti migliaia di chilometri.

Secondo i radioamatori che hanno parlato dei loro prossimi programmi al Wall Street Journal, andare in giro per il mondo alla ricerca dei posti più adatti per le loro stazioni non è affatto un’esperienza adatta a tutti: ma per loro l’emozione di stabilire contatti, anche per pochi secondi, senza l’utilizzo di internet giustifica il tempo e le fatiche che impiegano per raggiungere i luoghi più isolati del mondo.

I radioamatori impiegano strumenti che consentono di trasmettere e ricevere segnali radio attraverso bande di frequenza appositamente assegnate per entrare in collegamento gli uni con gli altri e sperimentare la trasmissione delle comunicazioni a grandi distanze. Si stima che al mondo ce ne siano circa 3 milioni, ciascuno con un’autorizzazione e un proprio codice identificativo.

Anche se la strumentazione dei radioamatori è in costante evoluzione, nel loro gergo sono rimaste alcune consuetudini tipiche del Ventesimo secolo, quando per comunicare si usavano combinazioni di numeri o lettere per sintetizzare parole e messaggi: ancora oggi, per esempio, 73 è la sigla con cui ci si saluta, mentre 51 indica “auguri”.

“DX”, invece, identifica la trasmissione su lunga distanza: e dalla fusione di questa sigla con la parola inglese che significa missione o spedizione si ottiene il nome con cui vengono indicati i viaggi organizzati appositamente dai radioamatori per raggiungere i luoghi più remoti del mondo, allestire una stazione e comunicare con qualcuno a grandi distanze: “DXpedition”.


Le DXpedition non sono viaggi che si pianificano in un giorno: servono tempo e denaro, anche solo per procurarsi l’attrezzatura necessaria, come antenne e generatori elettrici, che va trasportata assieme alle tende da campeggio, indispensabili sia per dormire che per riparare la strumentazione. Poi, soprattutto, bisogna mettere in conto che per raggiungere le destinazioni più inospitali, cioè quelle più ambite, servono viaggi lunghi e spesso difficili.

Uno di questi luoghi, il secondo più desiderato dopo la Corea del Nord, è l’Isola Bouvet, un’isola disabitata coperta prevalentemente da ghiaccio che si trova nel sud dell’oceano Atlantico e appartiene alla Norvegia. Il radioamatore polacco Dominik Grzyb, imprenditore vicino alla pensione, era riuscito a passarci tre giorni nel 2001 e ha provato a tornarci con altre persone nel 2019, ma arrivato a circa 63 miglia dalla meta (poco più di 100 chilometri, un’inezia se si considerano le distanze), ha dovuto rinunciare alla missione perché le antenne per la comunicazione dell’imbarcazione che li stava trasportando a Bouvet dal Sudafrica erano state danneggiate da una tempesta.

Secondo Grzyb il fascino di trasmettere da Bouvet è dato dal fatto che l’isola è una delle più remote al mondo. Al momento sta investendo migliaia di dollari per tornarci insieme ad altre sette persone, sperando di non dover tornare indietro come gli è successo nel 2019.

Spedizioni di questo tipo vanno bene per «persone che sono un po’ matte», ha detto Grzyb, che nel 2015 era riuscito a visitare e a trasmettere persino dalla Corea del Nord.

Un altro radioamatore secondo cui gli appassionati come lui sono «fuori di testa» è l’australiano Tommy Horozakis, che a novembre partirà da Sydney per guidare una spedizione di una decina di persone sulle Willis Islets, un gruppo di tre isolette situate nel mar dei Coralli, tra Australia e Papua Nuova Guinea, a circa 500 chilometri a est del Queensland. Horozakis ha detto al Wall Street Journal che per arrivare sull’isola saranno necessarie circa 35 ore di viaggio in traghetto e i partecipanti spenderanno circa 5mila dollari a testa (più o meno 4.100 euro).

Per Horozakis la parte più eccitante delle DXpeditions è «il brivido, l’adrenalina di riuscire a contattare persone dall’altra parte del mondo facendo rimbalzare i tuoi segnali attraverso la ionosfera senza internet».

I radioamatori investono molto tempo, denaro ed energie per ottimizzare costantemente la loro strumentazione e ottenere collegamenti sempre migliori. È anche per questo che molti di loro decidono di intraprendere missioni che spesso li portano a decine di migliaia di chilometri da casa e nei posti più isolati: per molti non sarebbe sufficientemente stimolante pensare di trasmettere da un luogo facilmente raggiungibile o accessibile a molti, come gli Stati Uniti, che non a caso sono all’ultimo posto nella lista dei luoghi più ambiti dai radioamatori.

Dopo aver annullato il suo viaggio per due volte a causa della pandemia, il prossimo settembre il 53enne inglese Adrian Styles dovrebbe riuscire finalmente ad andare alle Maldive per condurre i suoi esperimenti di trasmissione. L’arcipelago dell’oceano Indiano è molto più in basso nella lista dei desideri dei radioamatori, ma Styles ha spiegato di averlo scelto proprio perché è una località turistica: a lui piace «giocare con la radio», ma tutto sommato doveva accontentare anche la moglie, ha detto.

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