Una canzone degli Alarm

La sinestesia non c'entra niente, probabilmente

(Credit Image: © Billy Bennight via ZUMA Wire)
(Credit Image: © Billy Bennight via ZUMA Wire)

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30 anni fa oggi uscì il primo disco dei Massive Attack, band di Bristol di grandissima influenza musicale e culturale (riferimenti per i più giovani: uno di loro è stato sospettato di essere Banksy, per dire). Dentro quel disco c’era Unfinished sympathy (il singolo era uscito due mesi prima) che divenne una delle loro cose più famose e una delle canzoni più belle e inventive di quel decennio inglese.
A luglio esce un disco inedito di Prince, è stata pubblicata una canzone.

The deceiver
A un certo punto nella vita si impara la parola “sinestesia” e il suo significato affascinante, e la si usa per un po’ nelle conversazioni a cena prima di scoprire che ormai la conoscono anche tutti gli altri commensali. Una cosa simile a quello che è succede con “serendipity” o “resilienza” ma senza raggiungere le aberrazioni di questi due casi.
Sinestesia è quel fenomeno – la dico proprio terra terra – per cui la stimolazione di uno dei sensi genera reazioni anche in un altro. Per esempio, il fatto che associate dei colori a delle parole o a delle lettere (la A è azzurra, la E è verde, la I è gialla, la O è rossa, la U è marrone: no?), o delle immagini a dei suoni, o altre esperienze che potete trovare googlando.

Una forma di sinestesia diffusa è l’associare delle immagini a dei suoni, cosa che capita a tutti: e mi ricordo che fu occasione di timore e diffidenza che qualcosa andasse perso al tempo dell’avvento dei videoclip musicali. Tutti ci figuriamo immagini, scene, contesti, ascoltando le canzoni: a volte è un meccanismo culturale indotto da suoni immediatamente evocativi e didascalici o allusioni del testo, altre volte si può parlare più propriamente di sinestesia. Ma se mi fate vedere il video e me lo incollate all’ascolto della canzone, ogni mia costruzione personale intorno alla canzone è azzerata e tutta quella parte di fantasia individuale si perde.

Ci pensavo ricostruendo come fu che le canzoni degli Alarm, band gallese di qualche successo negli anni Ottanta, mi trasmisero così efficacemente una uniforme immagine di battaglie settecentesche di indipendenza: tutte le loro canzoni. Era banalmente perché si presentavano conciati con divise suggestive? Era per i suoni di trombe, le armoniche e l’andamento di marcia di molte canzoni? Per i refrain proclamati? Per i titoli bellicosi? O c’era qualcos’altro che mi inventavo io, facendomi i miei film da solo? La sinestesia non c’entra niente, probabilmente.

Loro erano guidati da Mike Peters, che li sciolse e riprese nei decenni successivi, e poi suonò con moltissimi altri di band britanniche famose e coeve, in formazioni varie (in una delle più recenti c’è anche Captain Sensible, quello di Wot, e prima dei Damned): in mezzo è stato assai in pericolo per via di successivi tumori, e si impegna da anni in cose benefiche a favore della ricerca.
Malgrado grossi successi britannici e americani, e l’aver suonato spesso in tour con gli U2, non furono mai presi del tutto sul serio nel rock di allora, che viveva un periodo non molto florido, U2 a parte. Le loro cose in effetti si somigliano un po’, ma ce  ne sono che restano belle (le trovate qui sul blog di qualcuno che si è fregato tutto Playlist, l’ho scoperto stasera), e coi cori ci sapevano fare. Per attaccare il nemico scendendo dalle colline sono ancora ottimi.


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