Il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, è indagato anche per autoriciclaggio e false dichiarazioni nell’inchiesta sulla fornitura dei camici alla Regione

(ANSA/ MOURAD BALTI TOUATI)
(ANSA/ MOURAD BALTI TOUATI)

La Procura di Milano ha comunicato che il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, è indagato per due nuove ipotesi di reato, autoriciclaggio e false dichiarazioni, nell’ambito dell’indagine sui camici forniti alla Regione dall’azienda di suo cognato.

Fontana era già indagato per “frode in pubbliche forniture”, ma la Procura di Milano ora ha chiesto una rogatoria alle autorità svizzere per accertare la provenienza di 5,3 milioni di euro che fino al 2015 erano conservati alle Bahamas con due trust intestati alla madre di Fontana e che nel 2015 Fontana trasferì in un conto svizzero grazie allo “scudo fiscale” (pratica detta anche “voluntary disclosure”, in inglese). La procura ipotizza che Fontana abbia reso false dichiarazioni al momento di ottenere lo scudo fiscale su quei soldi, e per questo ha chiesto una rogatoria per approfondirne i movimenti.

Secondo gli investigatori il 16 aprile del 2020, nel pieno della prima ondata della pandemia da coronavirus, la società regionale ARIA assegnò una fornitura per camici e altri dispositivi di protezione a Dama S.p.A., società che produce il marchio di abbigliamento Paul & Shark di proprietà di Andrea Dini e, per il 10 per cento, di Roberta Dini, moglie di Fontana.

La fornitura riguardava un totale di 82mila pezzi e un valore di 513mila euro. La trasmissione Report aveva trovato la lettera di acquisto indirizzata da ARIA a Dama S.p.A., in cui si diceva che il bonifico con i 513mila euro sarebbe stato erogato entro due mesi dal 16 aprile. Un mese dopo, il 20 maggio, negli stessi giorni in cui i giornalisti di Report avevano cominciato a fare domande sulla vicenda, Dini aveva però deciso di trasformare la vendita in una donazione.

Secondo l’accusa, il 19 maggio Fontana cercò di fare un bonifico di 250mila euro a Dama S.p.A. da un suo conto personale in Svizzera, che però fu poi sospeso per sospetta violazione della normativa antiriciclaggio e segnalato alla Banca d’Italia. Per gli inquirenti quel bonifico sarebbe servito a risarcire il cognato per i mancati introiti, dopo che la fornitura era stata trasformata in donazione.

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