La storia di Venezia nelle parole che ci ha lasciato

"Ciao", "imbroglio", "villeggiatura" e tutte quelle che usiamo ancora oggi, citando senza saperlo qualche pezzo dei suoi 1600 anni di storia

di Pietro Cabrio

Il Ponte di Rialto fotografato negli anni Quaranta e nel 2020 (Getty Images)
Il Ponte di Rialto fotografato negli anni Quaranta e nel 2020 (Getty Images)

Il 25 marzo 421, milleseicento anni fa, è la data simbolica scelta come giorno di fondazione della città di Venezia: fa riferimento a quando, secondo fonti scritte, venne consacrata la chiesa di San Giacomo di Rialto, tuttora esistente. La città avrebbe però origini ancora più antiche, secondo le principali ricostruzioni storiche. I primi insediamenti di pescatori nella laguna veneta risalirebbero all’età pre-romana: secoli dopo, in concomitanza con le invasioni barbariche tra il 400 e il 600, questi insediamenti si sarebbero ingrossati accogliendo le popolazioni in fuga dall’entroterra veneto, formando così il primo nucleo di quella che è oggi Venezia.

L’anniversario capita in un periodo non fortunato per la città, dopo che nel 2020 è crollato il turismo, il settore sul quale si basa quasi esclusivamente l’economia locale. L’anno scorso sono stati calcolati 5 milioni in meno di arrivi (-59 per cento rispetto al 2019) e 18,5 milioni in meno di presenze (-53 per cento). La città, abitata da appena un terzo dei 150.000 abitanti che contava negli anni Sessanta, rimane semideserta.
La sua lunga storia continua quindi a essere un susseguirsi di prosperità e disgrazie che, oltre ad averci lasciato in eredità un luogo unico al mondo, trova traccia anche nelle parole che usiamo tutti i giorni.

Ciao
Il saluto italiano più comune e conosciuto iniziò a diffondersi a partire dall’Ottocento proprio da Venezia, dove nacque dalla contrazione di “sciavo vostro” (“schiavo vostro”), una forma di saluto reverenziale proveniente dal tardolatino “sciavus”. Il termine “schiavo” deriva a sua volta da “slavo”, dato che nel tardo Medioevo le popolazioni balcaniche — a Venezia come in altre parti d’Europa — erano perlopiù impiegate nelle servitù. Per la loro importanza nell’economia della città, e per la specifica presenza di numerosi mercanti dalmati nei pressi di piazza San Marco, alle popolazioni slave è dedicata la camminata più famosa di Venezia, Riva degli Schiavoni.

Otto Preminger e Lee Remick salutano il pubblico al loro arrivo alla Mostra del Cinema del 1959 per la presentazione del film “Anatomia di un omicidio” (Keystone/Hulton Archive/Getty Images)

Quarantena
La storia delle isole della laguna è stata segnata da epidemie e pestilenze portate da navi e marinai provenienti da tutto il Mediterraneo in un luogo dalle condizioni igieniche già piuttosto complicate. Il governo veneziano fu il primo in Europa a introdurre provvedimenti per arginare la diffusione della peste: nei primi anni del Quattrocento iniziò a concentrare sistematicamente i malati contagiosi nella vecchia isola di Santa Maria di Nazareth, nota successivamente come Nazaretum e infine Lazzaretto. Nel 1468 in laguna fu istituito il Lazzaretto Nuovo, dove marinai appena sbarcati e altri possibili contagiati venivano isolati per quaranta giorni — da qui il termine “quarantena” – e se effettivamente affetti da malattie contagiose portati al Lazzaretto Vecchio.

L’isola del Lazzaretto Vecchio di Venezia, ora aperta al pubblico e una delle sedi della Biennale (Getty Images)

Pantaloni
Pantalone e Colombina sono le maschere veneziane più famose della commedia dell’arte. Il primo venne creato nel Cinquecento per rappresentare un mercante ricco e avido, vestito con delle caratteristiche calze lunghe, il cui nome era il termine dispregiativo usato nei confronti dei figli agiati delle famiglie veneziane (le origini di questo appellativo sono incerte, potrebbero derivare da San Pantaleone, la cui reliquia è conservata a Venezia). Divenne famoso anche all’estero, in Francia soprattutto, dove trovarono delle somiglianze tra le calze lunghe indossate dai veneziani e quelle con le quali veniva raffigurato Pantalone: da qui il termine francese pantalons.

Ballottaggio
Le elezioni del Doge, il capo della Repubblica di Venezia scelto tra l’aristocrazia cittadina, avvenivano tramite una procedura tanto lunga quanto complicata fatta di estrazioni e votazioni che univano casualità e strategia. Nella prima delle tante procedure, il più giovane dei consiglieri ducali sceglieva il primo bambino che gli fosse capitato davanti in piazza San Marco, il quale diventava poi il “ballottino”, cioè colui al quale toccava l’estrazione delle “ballotte” con cui iniziava la lunga scrematura dei candidati. Questa procedura divenne con il tempo nota come ballottaggio, che ora indica la votazione tra i due candidati più votati in un primo turno elettorale.

Imbroglio
Deriva da broglio, che a sua volta deriva dal veneziano “brolo” o “brolio”. In origine significava orto o giardino, poi divenne uso comune per indicare la vecchia zona alberata adiacente al Palazzo Ducale dove i consiglieri ducali si riunivano per eleggere il doge, e dove i nobili erano soliti riunirsi per discutere di cose pubbliche. Il significato attuale di broglio è manomissione dei risultati elettorali o falso perpetrato per ottenere cariche pubbliche.

Nicholas Naumoff, cittadino russo, scortato in tribunale a Venezia nel 1910 con l’accusa di aver ucciso il conte Kamarowski in combutta con la moglie di quest’ultimo, la contessa Tarnowska, per incassarne l’assicurazione sulla vita (Hulton Archive/Getty Images)

Ghetto
Il ghetto è uno dei luoghi più caratteristici di Venezia. Lì si trovano gli edifici residenziali più alti della città, costruiti in seguito all’obbligo imposto agli ebrei veneziani di risiedere in una piccola isola del centro storico (che veniva chiusa al resto della città dal tramonto all’alba). La zona scelta come nucleo originario del ghetto era precedentemente conosciuta come “l’isola del getto” per la presenza di fonderie dedite alla costruzione di cannoni da guerra, che producevano appunto le colate di metallo (i getti). Fu probabilmente la pronuncia scorretta delle prime famiglie ebree provenienti da Oriente e dal Centro Europa a trasformare getto nell’attuale ghetto.

Il sottoportico del Ghetto Nuovo e i caratteristici edifici alti e finestrati (AP Photo)

Arsenale
Il complesso di cantieri, officine e laboratori che permise alla Serenissima di diventare una delle più grandi potenze navali del Mediterraneo fu una delle prime e più grandi fabbriche in epoca pre-industriale. Costituisce tuttora circa il 15 per cento del suolo di Venezia. La parola “arsenale”, che dopo i luoghi delle costruzioni navali passò a indicare anche quelli di armi e munizioni, deriva probabilmente dall’arabo daras-sina’ah, “casa dei mestieri”, che è anche all’origine del termine darsena. L’uso di “arsenale” si diffuse da Venezia in tutta Europa nel periodo, attorno alla seconda metà del Cinquecento, in cui la fabbrica raggiunse il suo picco di produttività arrivando a completare una nave da guerra in una giornata.

Una gondola passa accanto a sommergibili britannici stazionati nel bacino di San Marco, negli anni Trenta (Brown/Fox Photos/Getty Images)

Villeggiatura
Sinonimo di “vacanza”, si diffuse di pari passo con l’abitudine dei nobili veneziani di costruire, possedere e trascorrere i periodi estivi nelle ville di campagna, a partire dal Cinquecento. Di queste ville, costruite inizialmente nell’immediato entroterra veneziano fino a diffondersi in tutto il Veneto e in Friuli, oggi se ne contano circa quattromila. Il loro canone estetico, reso famoso soprattutto dalle opere di Andrea Palladio, è diffuso e riprodotto in tutto il mondo.

Katharine Hepburn e Rossano Brazzi a Venezia nel 1955 per le riprese del film “Tempo d’estate” (Hulton Archive/Getty Images)

Gazzetta
La “gaxeta” o “gazeta” era una moneta d’argento il cui valore coincideva con quello dei bollettini stampati e diffusi dal governo veneziano, principalmente in tempi di guerra, per dare aggiornamenti alla popolazione. Per comodità e abitudine, il nome delle monete usate per l’acquisto divenne il nome stesso dei bollettini. Da lì deriva il termine “gazzetta” tuttora di uso comune per indicare molti quotidiani, anche nell’Est Europa.

Gondolieri in piazza San Marco nel 1955 leggono “Venezia Notte” (Nocella/Three Lions/Getty Images)

Carampana
Nel sestiere centrale di Venezia, San Polo, un edificio è indicato tuttora come “carampane”. Fu la casa della famiglia nobiliare dei Rampani, che alla morte dell’ultimo erede divenne proprietà del governo veneziano e successivamente fu scelta come uno degli alloggi riservati a donne rimaste sole e dedite alla prostituzione, di fatto le “case chiuse” dell’epoca. Con il tempo si iniziò a riferirsi alle residenti con la forma contratta e dispregiativa di “carampane”, dal nome originario dell’edificio, Ca’ Rampani. Per il vocabolario attuale significa «donna sguaiata e volgare».

Carpaccio
Nel 1928 Giuseppe Cipriani, barista in un hotel di Venezia, prestò dei soldi a un certo Harry Pickering, turista americano rimasto al verde, per poter saldare i conti e tornare a Boston in nave. Due anni dopo, Pickering tornò a Venezia e ricompensò Cipriani con una somma tale da poter aprire un bar per conto suo. Nacque così l’Harry’s Bar, il locale più famoso della città, nelle cui cucine sono state inventate alcune pietanze diventate celebri. Oltre al cocktail Bellini, la più famosa rimane il carpaccio, nome che Cipriani diede a un piatto di carne cruda condita servito a una cliente che non poteva mangiarla cotta. Lo chiamò carpaccio ispirandosi ai colori intensi usati dal pittore veneziano Vittore Carpaccio.

Orson Welles a passeggio in Riva degli Schiavoni nel 1960, non lontano dall’Harry’s Bar dove era solito ordinare grandi quantità di tramezzini (AP Photo/Celio Scapin)

E poi calli, rii e sestieri
A Venezia ci sono solo tre canali, quello della Giudecca, il Canale di Cannaregio e il Canal Grande. Tutti gli altri sono rii. Non esistono quartieri ma sestieri, che dividono in sei la città. Ci sono soltanto una manciata di vie e viali, due di questi intitolati a Giuseppe Garibaldi, prima dei Giardini della Biennale. Le vie si chiamano calli, o fondamenta se costeggiano l’acqua, o salizade se sono state le prime ad essere lastricate. C’è solo una piazza, San Marco, gli altri sono campi o campielli, chiamati così perché in origine erano prati d’erba. I ponti sono 417, dal più famoso, quello di Rialto, al più lungo, quello della Libertà, che con quasi 4 chilometri di lunghezza collega l’isola alla terraferma (in realtà sono due paralleli, uno ferroviario di età asburgica, l’altro stradale costruito durante il fascismo).

Bambini giocano sul Ponte Chiodo, nel sestiere di Cannaregio, nel 1937. Il Ponte Chiodo è uno degli ultimi ponti di Venezia rimasti senza parapetti, come in origine (Brown/Fox Photos/Getty Images)

Tag: venezia