È un brutto periodo per essere belonefobici

Cioè chi ha una fobia per aghi e iniezioni, le cui immagini in questi mesi sono ovunque per via dei vaccini contro il coronavirus

Due paramedici che stanno per vaccinare due pazienti a Barcellona (EPA/TONI ALBIR/ANSA)
Due paramedici che stanno per vaccinare due pazienti a Barcellona (EPA/TONI ALBIR/ANSA)

Da quando in Italia e nel mondo è iniziata la campagna di vaccinazione contro il coronavirus, l’esposizione collettiva a foto e i video di siringhe e iniezioni è diventata quotidiana. Ma una fase della pandemia che da moltissime persone è vissuta con sollievo e speranza, per via delle migliori prospettive di vita che si accompagnano alla progressiva immunizzazione della popolazione, è percepita con un certo disagio da chi soffre di belonefobia, il nome scientifico della fobia per gli aghi.

La belonefobia interessa una parte minoritaria ma significativa delle persone, ed è spesso associata alla paura per i prelievi di sangue, per le iniezioni (tripanofobia) o per il sangue stesso (emofobia). Dato che, a differenza di altre fobie, la belonefobia si concentra su un’attività che si riceve passivamente e su cui non si ha potere, viene definita fobia “passiva”. Di solito chi ne soffre, oltre ad avere paura degli aghi e dell’iniezione, ha anche paura di svenire, un altro evento su cui non si può avere il controllo e che accade di frequente ai belonefobici prima di sottoporsi a un esame o a un’iniezione.

In generale, le fobie sono un disturbo della psiche: possono avere varia intensità e generano forti angosce e paure irrazionali e incontrollabili nelle persone che ne soffrono. I sintomi tipici delle fobie sono l’accelerazione del battito cardiaco, la sudorazione, vertigini: in quelle legate agli aghi o al sangue si riscontrano invece principalmente un abbassamento della pressione e la decelerazione del battito, che a volte portano la persona a svenire. Le fobie sono studiate più o meno da quando esiste la psicanalisi, ma sono esaminate in modo più approfondito e sistematico a partire dagli anni Cinquanta. Una fobia particolarmente acuta può causare un’ansia duratura, in certi casi talmente forte da compromettere le relazioni di una persona: per fare un esempio, una persona particolarmente agorafobica (cioè che ha paura degli spazi aperti e affollati) può arrivare a non uscire più di casa per timore degli attacchi di panico che le causa trovarsi in una strada con tante persone.

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Una fobia è sempre causata da un elemento specifico, anche detto stimolo fobico. Tra i più ricorrenti ci sono alcuni tipi di animali (ragni o altri insetti) e alcune situazioni ambientali (altezze o luoghi angusti). Alla vista o al pensiero dello stimolo fobico la persona che lo teme può provare un’ansia paralizzante e cercare con ogni mezzo di evitare di affrontarlo direttamente. Come spiega il sito del Centro clinico Studi Cognitivi, «i sintomi della fobia sono ben definiti, mentre lo stimolo fobico varia molto da persona a persona». Possono quindi esserci anche casi in cui la fobia viene causata da cose apparentemente innocue come un colore, un suono o un alimento.

Avere una dimensione precisa di quante persone soffrano di fobie è complicato, perché spesso sono disturbi transitori. Per farsi un’idea, uno studio condotto nell’arco di dieci anni in 22 paesi del mondo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha rilevato che, in media, il 7,4 per cento della popolazione ha sofferto di una fobia almeno una volta nel corso della propria vita, e il 5,5 per cento nell’ultimo anno. Lo stesso studio ha rilevato anche che la percentuale nelle donne è circa il doppio rispetto agli uomini.

Nel caso della belonefobia, ciò che scatena l’ansia sono perlopiù gli aghi e gli spilli, ma spesso contribuisce all’ansia anche l’idea di affrontare un esame medico che preveda prelievi o iniezioni. Come nel caso degli agorafobici che temono gli attacchi di panico, i belonefobici e chi ha paura dei prelievi temono la perdita di coscienza, che di solito avviene alla vista della siringa o del sangue. Non è chiaro perché accada ai belonefobici, ma è dovuta a un riflesso nervoso innescato dal sistema parasimpatico, cioè quella parte del sistema nervoso responsabile delle attività del nostro organismo che avvengono a riposo (come per esempio la digestione).

Uno studio fatto dall’Università del Michigan, e citato dal New York Times, ha tentato di calcolare la percentuale di persone che hanno paura degli aghi su un campione di pazienti di diversi paesi. Secondo lo studio, la maggior parte dei bambini ha paura degli aghi, mentre con l’avanzare dell’età la percentuale di persone che ha paura degli aghi decresce: è tra il 20 e il 50 per cento tra gli adolescenti e tra il 20 e il 30 per cento tra i giovani adulti. Lo studio ha anche calcolato che il 16 per cento dei pazienti esaminati ha evitato almeno una volta il vaccino anti-influenzale per paura dell’iniezione.

Lo staff dell’ospedale di Baggiovara, in provincia di Modena, in attesa di ricevere il vaccino (Max Cavallari/Getty Images)

I vaccini prodotti finora contro il coronavirus devono tutti essere somministrati attraverso un’iniezione, ma secondo la dottoressa Marinella Magnani i pazienti belonefobici sono più preoccupati da altri aspetti del vaccino, piuttosto che dalla prospettiva di fare l’iniezione. Magnani è una psicologa specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale, e lavora a Torino: «Non ho avuto pazienti che hanno espresso timori nel farsi il vaccino, la paura è più rivolta a eventuali problemi come gli effetti collaterali», spiega. «È un meccanismo comune, a volte le fobie scompaiono all’improvviso in presenza di altre preoccupazioni o in situazioni di emergenza».

BBC ha raccontato il caso di Raelene Goody, una donna di 31 anni malata di fibrosi cistica che fin da bambina soffre di una belonefobia piuttosto grave, che le causa spesso tremori incontrollabili e tachicardia. Goody ha dovuto sempre fare il vaccino anti-influenzale, perché i sintomi dell’influenza possono causare serie complicazioni in chi è malato di fibrosi cistica. Per fare un’iniezione, ha raccontato Goody, a volte ci vogliono ore.

I modi per trattare una fobia partono dal presupposto che i pazienti hanno sviluppato la loro paura intensa verso qualcosa a seguito di un evento traumatico, legato in qualche modo a quella cosa o situazione specifica. «La fobia si apprende», dice Magnani. «E ha il grosso guaio di generalizzarsi, si può estendere ad altro, chi ha paura della metropolitana poi smette di prendere l’autobus, il tram e così via». Il metodo che Magnani usa insieme ai suoi pazienti per affrontare le fobie si chiama desensibilizzazione sistematica, e consiste nell’esposizione graduale allo stimolo fobico: «Non bisogna andare troppo in fretta, però, altrimenti si provoca l’effetto contrario, una sensibilizzazione maggiore allo stimolo».

Nel caso di chi soffre di aracnofobia, per esempio, si comincia facendo guardare immagini di ragni molto piccoli, poi sempre più grandi fino ad arrivare al confronto con ragni veri. Alcuni terapeuti usano anche la realtà virtuale, che torna utile per esempio con chi ha la fobia di guidare.

Usare la desensibilizzazione sistematica con i belonefobici però non è semplice. «L’atto dell’iniezione non si può graduare più di tanto», racconta Magnani. «Un modo potrebbe essere quello di far avvicinare la persona all’ospedale, e poi farla tornare indietro. Poi farla avvicinare alla sala, e di nuovo indietro. Poi entra e guarda gli altri prelievi, e poi indietro. Così via fino a che la persona non è abbastanza rilassata». La prima fase della pandemia in realtà ha permesso a chi aveva paura delle iniezioni di evitare più facilmente lo stimolo fobico, dato che andare in ospedale a farsi un esame o un prelievo è stato per mesi difficile e sconsigliato: «Mi è capitato con una paziente che già tendeva a rimandare i prelievi. Poi però è riuscita ad affrontare l’esame che doveva fare, grazie a un percorso dedicato e all’utilizzo di tecniche di rilassamento».

Secondo Magnani, chi ha paura degli aghi può risentire delle continue immagini di vaccinazioni che si vedono in televisione e su internet, ma nella gran parte dei casi «è un disagio moderato. In certi casi potrebbe addirittura essere un modo per desensibilizzare le persone che hanno paura di affrontare la vaccinazione».

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