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  • Mercoledì 17 marzo 2021

È da quarant’anni che cerchiamo di capire la P2

Il 17 marzo 1981 la Finanza trovò un clamoroso elenco di iscritti a una loggia segreta, sollevando domande rimaste senza risposta

Licio Gelli, ex Maestro venerabile della loggia P2
Licio Gelli, ex Maestro venerabile della loggia P2

La mattina del 17 marzo 1981, quarant’anni fa, un gruppo di ufficiali della Guardia di finanza di Milano partì verso Arezzo con un compito molto preciso. Avevano ricevuto indicazioni direttamente da Gherardo Colombo e Giuliano Turone, i magistrati che stavano indagando sul caso che ruotava attorno al banchiere siciliano Michele Sindona, accusato tra le altre cose di essere il mandante dell’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli. Nel corso delle indagini, Colombo e Turone si erano imbattuti più volte nel nome di Licio Gelli, e decisero quindi di ordinare una perquisizione presso i suoi indirizzi, da farsi nella massima discrezione. I finanzieri coinvolti non poterono dirlo neanche ai propri superiori.

Colombo e Turone speravano di trovare dei documenti che incastrassero Sindona, o almeno che provassero l’esistenza di una lista di cui si parlava tanto e che doveva contenere i nomi – probabilmente 500 – del giro di clienti di Sindona. Non si aspettavano di trovare una lista ancora più lunga e dalle implicazioni ben più grandi.

A Villa Wanda, la residenza di Gelli, i finanzieri non trovarono nulla. Negli uffici dove lavorava, che si trovavano nell’azienda tessile Giole di Castiglion Fibocchi, trovarono invece una valigia e una cassaforte, al cui interno c’erano documenti e fogli annotati in cui comparivano 962 nomi. La perquisizione avvenne alle 9 di mattina. Nel giro di poco i finanzieri capirono che si trattava di qualcosa di grosso e cominciarono a chiamare freneticamente gli uffici milanesi dei magistrati per farsi dare istruzioni.

Villa Wanda (ARCHIVIO/ANSA/TO)

Leggendo i documenti e i registri trovati si capiva che riguardavano una loggia massonica coperta, vale a dire una sezione segreta appartenente al Grande Oriente d’Italia. La loggia si chiamava Propaganda 2, abbreviata in P2, e i 962 nomi nella lista erano gli iscritti. Furono trovate anche le richieste di iscrizione originali dei membri. Negli elenchi c’erano 59 parlamentari, 8 direttori di giornali e vari giornalisti, 119 alti ufficiali militari, un giudice della Corte costituzionale e altre personalità del mondo diplomatico, imprenditoriale e delle istituzioni. Tra gli altri, c’erano i nomi di Silvio Berlusconi (allora imprenditore) e Maurizio Costanzo.

A un certo punto il colonnello Bianchi, uno dei finanzieri che stavano facendo la perquisizione, ricevette una telefonata dal comandante generale della Guardia di finanza che lo avvertì: «In quegli elenchi ci sono anche io».

Ricevute le carte, Colombo e Turone si posero il problema di cosa farne. Decisero subito di fotocopiarle, per evitare che qualcuno inquinasse quella che sembrava essere una prova (anche se allora non si sapeva bene di quale reato). Secondo quanto raccontato da Colombo, furono fatte due copie delle parti più interessanti dal punto di vista probatorio. Gli originali vennero messi nella cassaforte dell’ufficio di Turone. Una delle due copie venne inserita nel fascicolo di un filone di indagine sul terrorismo interno, mentre l’altra la conservò Colombo nel suo armadio blindato.

Nelle prime settimane dopo il ritrovamento delle carte, l’attenzione di giornali e televisioni fu moderata. Poi, a maggio, l’allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani si decise a rendere pubblica la lista dei nomi, su pressione dei giornali e dell’opinione pubblica. Da quel momento montò il caso mediatico. I telegiornali parlavano di «scandalo degli scandali» e descrivevano già allora la P2 come uno Stato dentro lo Stato, un centro di potere politico e finanziario eversivo e segreto. Forlani fu accusato di aver voluto occultare la lista e fu costretto a dimettersi, anche perché dentro al suo governo c’erano 5 sottosegretari iscritti alla P2. Essere in quella lista all’epoca significava avere una specie di marchio, e per questo parlamentari e segretari di partito intervennero pubblicamente per giustificare, ammettere o smentire la propria appartenenza alla loggia.

A confermare le grosse implicazioni della scoperta ci fu l’intervento della politica. Alla fine del 1981, nove mesi dopo la perquisizione dei finanzieri, venne istituita una commissione parlamentare d’inchiesta che aveva il compito di indagare quanto la P2 si fosse infiltrata negli apparati statali e a che livello. I lavori della commissione furono presieduti dall’allora deputata della Democrazia Cristiana Tina Anselmi e durarono fino al luglio 1983.

Nel corso delle indagini parlamentari, che si aggiunsero a quelle giornalistiche già in corso, si capì già allora, a grandi linee, cosa fosse la P2. Anche se la loggia esisteva da più di un secolo, sotto la guida di Licio Gelli aveva assunto una forma eversiva ed era andata contro le regole stesse dell’ordine massonico. Gelli all’epoca aveva già una lunga storia di rapporti opachi con il potere, era stato un militante fascista, aveva fatto il doppiogioco con i partigiani, poi dopo la guerra era stato direttore dello stabilimento Permaflex di Frosinone e portaborse di un deputato democristiano. Cominciò a gestire le nuove iscrizioni della P2 nel 1970 e cinque anni dopo venne nominato Maestro venerabile, cioè la massima carica in una loggia.

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Sotto la guida di Gelli, la P2 diventò una rete a cui appartenevano personalità di ogni tipo e molto influenti, con un obiettivo politico chiaro: quello di superare il modello istituzionale in vigore. I propositi di Gelli e della P2 furono messi per iscritto, in modo dettagliato, in un documento chiamato Piano di rinascita democratica, nel quale si programmava non più il rovesciamento del sistema politico – come teorizzava la cosiddetta “strategia della tensione” – ma un suo mutamento in senso autoritario, dall’interno, anche con il controllo dei mezzi di informazione. Per questo Gelli aveva reclutato alti ufficiali militari, esponenti politici e istituzionali che condividevano – almeno i più consapevoli – l’insofferenza verso l’assetto istituzionale di quel momento storico. E per lo stesso motivo era riuscito a infiltrarsi nel Corriere della Sera (l’allora direttore Franco Di Bella era affiliato alla P2) e nel Gruppo Rizzoli, editore del quotidiano.

L’obiettivo della P2 era meno radicale di quello dei gruppi armati di destra attivi all’epoca, ma questo non significa che le tattiche adottate fossero meno violente. Nel 1995 Gelli fu condannato per aver depistato le indagini sulla strage di Bologna del 1980, e la procura che ha terminato le indagini lo scorso anno ritiene che Gelli sia anche tra i mandanti della strage. Nella relazione finale della commissione d’inchiesta si concluse che la P2 aveva avuto un ruolo nella strage dell’Italicus del 1974 e che aveva provocato un «uso privato della funzione pubblica da parte di alcuni apparati dello stato». Secondo la commissione la P2 era, in sostanza, «un complotto permanente» che si plasmò «in funzione dell’evoluzione della situazione politica ufficiale».

Giulio Andreotti, a destra, e Licio Gelli, in centro, nello stabilimento della Permaflex di Frosinone. Il rapporto tra i due non è mai stato completamente chiarito, Andreotti ha sempre sostenuto di aver conosciuto Gelli solo superficialmente nonostante alcune testimonianze dicano il contrario. (Wikimedia Commons)

Per cercare di comprendere una questione sfuggente e dalle molte implicazioni come quella della P2, e in generale la violenza politica degli anni Settanta, spesso si è fatto ricorso a una teoria introdotta per la prima volta dallo storico Franco De Felice nel 1989, quella del “doppio Stato”. La teoria di De Felice era complessa e tendeva a porre interrogativi più che a spiegare, ma la sua interpretazione prevalente è che nello Stato esista una componente parallela che opera in segreto per reprimere o smussare le spinte innovative e riformatrici, talvolta andando contro i princìpi della Costituzione.

Al di là di questa teoria e delle sue interpretazioni, però, una valutazione complessiva e sistematica del fenomeno della P2 non è ancora stata fatta, né sul piano storico né sul piano giudiziario, anche se i documenti su cui poggiare un’eventuale analisi non mancano. Ci sarebbero infatti i molti prodotti dalla commissione parlamentare e le carte dei processi in cui la P2 fu coinvolta. Ma le reali dimensioni della vicenda della P2 sono difficili da inquadrare con precisione, estendendosi dalle istituzioni agli ambienti industriali passando per la criminalità organizzata, tutti settori con cui la loggia ebbe a che fare.

Su questo punto lo studioso Francesco Biscione ha scritto:

Una lettura attenta di questa documenta­zione [della commissione parlamentare e dei processi, ndr] aiuterebbe a superare l’interpretazione prevalentemente complottistica del piduismo e a ricostruire le origini e gli svilup­pi di quello che è stato un corpo vivo e reattivo che evolse all’in­terno di una crisi politica interna e internazionale, in grado di cogliere e interpretare i sintomi di irrigidimento del sistema poli­tico che aveva costruito la democrazia in Italia e di ideare una stra­tegia per la fuoruscita da quell’ambito politico.

Biscione non è l’unico a segnalare una mancanza di analisi ed elaborazione storica sulla P2. Nel suo ultimo libro la giornalista Sandra Bonsanti, che si è occupata a lungo della questione, ha scritto che «sarebbe un grave errore considerarla uno spiacevole incidente, un fisiologico e momentaneo ripiegarsi del percorso democratico della vita pubblica: semmai è stato il segnale di una crisi, e la riflessione svolta in questi anni […] non deve considerarsi esaurita». Persino Carlo Azeglio Ciampi, in un’intervista data dopo la fine del suo mandato da presidente della Repubblica, parlò della storia in termini simili:

In Italia non si è mai data sufficiente importanza a cosa è stata la P2. […] La stagione della P2 non è mai finita, ha continuato ad agire sotto traccia, continuando a inquinare le istituzioni italiane. Il fatto di non aver estirpato fino in fondo questo cancro è un grande cruccio.

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