Zingaretti si dimetterà da segretario del PD

Lo ha annunciato su Facebook dopo settimane di contestazioni e tensioni interne, che ha definito «uno stillicidio»

(ANSA/FABIO FRUSTACI)
(ANSA/FABIO FRUSTACI)

Con una decisione arrivata abbastanza a sorpresa, il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti ha detto che nelle prossime ore si dimetterà, dopo settimane di contestazioni e tensioni interne che ha definito uno «stillicidio». Da tempo la sua leadership era messa in discussione da alcune correnti del partito, che ne contestavano varie scelte e soprattutto quella di aver impostato una sorta di alleanza stabile con il Movimento 5 Stelle, proseguita di fatto anche dopo la fine del secondo governo Conte. Ma secondo i giornali l’annuncio delle dimissioni non era stato anticipato a diversi dirigenti del partito, che lo avrebbero scoperto da Facebook. Zingaretti ha detto di aver deciso di dimettersi «per amore dell’Italia e del partito», e che l’Assemblea del PD in corso «farà le scelte più opportune e utili». Presumibilmente, dopo la nomina di un reggente, il partito organizzerà un Congresso con relative primarie.

Zingaretti era segretario dal marzo del 2019, quando aveva vinto con il 66 per cento dei voti le primarie contro Maurizio Martina e Roberto Giachetti. Nell’estate di quell’anno formò il governo con il Movimento 5 Stelle, durato circa un anno e mezzo e sostituito poche settimane fa dal governo Draghi. Da allora sono emerse tensioni e fronti che esistevano da tempo, e che riguardavano soprattutto il rapporto di quasi alleanza con il M5S, di cui Zingaretti è stato tra i principali promotori, ma anche la questione della vice segreteria del partito, quella (collegata) dell’assenza di donne nelle posizioni apicali e il rapporto con gli amministratori locali.

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Tra le correnti che nelle ultime settimane hanno portato avanti la contestazione a Zingaretti c’è stata soprattutto Base Riformista, guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti, spesso descritta come quella degli “ex renziani”. L’accusa principale era quella di aver indebolito il suo stesso partito a vantaggio di un altro, il M5S, che in alcuni sondaggi recenti ha superato nettamente il PD nell’ipotesi, molto accreditata, di una leadership dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. L’anno e mezzo di governo con il M5S e Conte, dicono i critici di Zingaretti, ha reso il PD subalterno, e lo ha affossato nei sondaggi, il tutto a vantaggio di un partito in grossa crisi e apparentemente senza una chiara strategia per il futuro. A logica, l’esperienza della dirigenza del PD avrebbe dovuto far succedere il contrario, diceva chi contestava la sua segreteria.

Nei giorni scorsi Zingaretti aveva cercato un compromesso parlando di un “Congresso tematico”: non si sarebbe dimesso, visto che la sua segreteria non sarebbe scaduta fino al 2023, ma avrebbe consultato gli iscritti sulla linea politica da tenere. I suoi oppositori interni non erano sembrati molto entusiasti, e anche se non avevano chiesto esplicitamente le sue dimissioni ci erano andati vicino. «Penso che questa linea (quella con l’alleanza con il M5S, ndr) sia sbagliata e stia distruggendo il PD. Quindi o cambia la linea o cambia il segretario» aveva detto Matteo Orfini, a capo della corrente di minoranza dei cosiddetti «Giovani turchi», da sempre in opposizione a Zingaretti.

Un’altra delle più importanti critiche degli ultimi giorni riguardava l’assenza di ministre nella compagine governativa indicata dal PD per il governo Draghi. Questa contestazione si era legata a quella su doppio incarico di Andrea Orlando, che è vicesegretario del partito e che è appena stato nominato ministro del Lavoro e delle Politiche sociali. I critici di Zingaretti chiedevano le dimissioni di Orlando dalla segreteria, e la nomina di una vice segretaria donna. Zingaretti aveva fatto capire di voler lasciare Orlando al suo posto. 

Sempre di recente, poi, si erano intensificate le critiche alla segreteria centrale del partito da parte di alcuni importanti amministratori locali del PD, come il sindaco di Bari Antonio Decaro. In tanti indicavano in Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna con una lunga esperienza nel partito e una certa vicinanza a Matteo Renzi, il più probabile sfidante di Zingaretti alle prossime primarie.