Gli e-commerce che non vogliono indietro i resi

Sempre più spesso gli acquisti di poco valore vengono rimborsati e non ritirati: i resi facilitati hanno un costo insostenibile per molte aziende

(AP Photo/Elaine Thompson)
(AP Photo/Elaine Thompson)

Ultimamente, tra i grandi negozi online, si sta diffondendo la pratica di rimborsare gli acquisti agli utenti insoddisfatti senza chiedere indietro il prodotto. Anche se succede saltuariamente e solo con oggetti di poco valore, è un fenomeno che racconta molto bene il delicato equilibrio delle politiche di reso degli e-commerce. Facilitare i resi gratuiti è infatti fondamentale per incentivare le vendite, ma in alcuni casi può diventare un costo insostenibile per le aziende, soprattutto per quelle più piccole.

Ne ha parlato il Wall Street Journal in un articolo in cui cita Amazon e altri grandi e-commerce americani come Target e Walmart, ma come spiega Ivan Russo, docente dell’Università di Verona ed esperto di logistica di ritorno, «Amazon lo abbiamo anche in Italia con le stesse logiche e con lo stesso impatto su imprese e consumatori».

La possibilità di fare un reso gratuito, facile e veloce anche dopo diversi giorni dall’acquisto è un punto di forza per gli e-commerce perché spinge anche gli utenti più indecisi e dubbiosi a portare a termine l’acquisto senza pensarci più di tanto.  «Le tre priorità di chi fa shopping online sono i tempi di spedizione brevi, i costi della consegna ridotti e il reso facilitato», spiega Russo: «e infatti molti e-commerce considerano i resi facilitati un punto strategico centrale per l’esperienza di acquisto. Hanno iniziato gli e-commerce più grandi e a ruota tutti gli altri hanno dovuto adattarsi a questo standard per non essere da meno, e perché gli utenti hanno cominciato ad aspettarselo».

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Il negozio online di abbigliamento multimarca Zalando per esempio spiega sul suo sito che la politica sui resi (che sono sempre possibili per cento giorni dopo l’acquisto) è una parte importante del suo modello di business e che in media gli articoli che vengono restituiti sono il 50 per cento del totale delle vendite. Si può scegliere di spedire il pacco in autonomia o di prenotare il ritiro direttamente a casa. Addirittura in alcuni casi è possibile ordinare un capo senza pagarlo, provarlo a casa e poi decidere di rimandarlo indietro senza alcuna transazione di denaro, oppure di tenerlo e pagarlo.

Su Amazon nella maggior parte dei casi i prodotti acquistati possono essere restituiti entro 30 giorni. Tra le regole di Amazon per le spedizioni dall’estero, una delle opzioni previste per i resi è che i venditori offrano un rimborso completo senza richiedere la restituzione dell’articolo. Questo serve ad Amazon per garantire a tutti gli utenti politiche di reso vantaggiose, e per andare incontro ai venditori esteri che non vogliono accollarsi le spese del reso con spedizione internazionale.

Ma anche quando venditore e acquirente sono nello stesso paese, non è detto che per l’azienda sia conveniente riavere indietro i prodotti rimborsati. Oltre al costo della restituzione, quindi della logistica e del trasporto, c’è quello delle persone che si occupano di tutto il processo di stoccaggio: il pacchetto deve essere ispezionato, sottoposto a un controllo qualità e spesso va rifatto l’imballaggio. In questo periodo di emergenza sanitaria è prevista anche la sanificazione, che contribuisce a far lievitare i costi. Un altro effetto della pandemia è che è più difficile chiedere agli utenti di restituire i prodotti in negozio, una cosa che alle aziende con punti vendita fisici faceva risparmiare sulla logistica.

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In generale, con la chiusura dei negozi dovuta alla pandemia, è aumentato lo shopping online e anche il numero dei resi è cresciuto di conseguenza. Negli Stati Uniti la società di trasporto pacchi UPS ha detto che quest’anno, nella prima settimana di gennaio (quella solitamente dedicata alla restituzione degli acquisti natalizi), i resi che hanno dovuto gestire sono stati il 23 per cento in più dell’anno prima. Solo UPS ha trasportato in questo periodo quasi 9 milioni di pacchi.

In questo contesto, le aziende più grandi e strutturate stanno sviluppando algoritmi e nuove strategie per abbattere i costi dei resi. «Sono in grado, attraverso un’analisi dei dati, di determinare se gli costa di più organizzare un reso o lasciarlo al cliente», spiega Russo. Per esempio Target ha detto al Wall Street Journal di adottare questa tecnica solo in alcuni rari casi e Walmart ha detto di farlo solo con utenti di lunga data e per acquisti con caratteristiche ben precise. «Ovviamente sono aziende strutturate, sanno benissimo quanto acquistiamo e quanto fatturato generiamo, e basano la loro strategia anche su questo», precisa Russo: «A volte la soluzione può essere rimborsare gli acquisti senza chiederli indietro, ma non è sicuramente qualcosa che può essere generalizzato. I “returner seriali” [cioè quelli che potrebbero approfittare in modo sistematico di questa politica per avere prodotti gratis, ndr] vengono facilmente individuati e potrebbero addirittura essere bannati dalle piattaforme».

Il discorso è molto diverso per i negozi online più piccoli, che non possono fare affidamento né sull’ottimizzazione né sui volumi dei grandi e-commerce, o per i negozi monomarca, che non possono rischiare di “svalutare” i propri prodotti e quindi la propria immagine. «Esclusi pochi grandi e-commerce», conclude Russo «per il 90 per cento delle aziende i resi sono un problema enorme che possono solo subire, sia nei costi che nella gestione».