Ed Harris vorrebbe fare un musical

Ha fatto tanti ruoli da duro, ma qualche anno fa disse che avrebbe gradito fare anche altro (compreso Hannibal Lecter): oggi, intanto, compie 70 anni

Ed Harris alla cerimonia per la sua stella sulla Hollywood Walk Of Fame, Los Angeles, 2015 (Getty Images)
Ed Harris alla cerimonia per la sua stella sulla Hollywood Walk Of Fame, Los Angeles, 2015 (Getty Images)

C’è stato un periodo, tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, in cui ogni due-tre anni Ed Harris era candidato all’Oscar. Nel 1996 per Apollo 13, nel 1999 per The Truman Show, nel 2001 per Pollock (di cui era anche regista) e nel 2003 per The Hours. Ma sarebbe molto sbagliato credere che Harris – che l’Oscar non l’ha mai vinto – non abbia avuto una carriera altrettanto interessante prima e dopo quel periodo di nomination. Harris, che oggi compie 70 anni, recita dagli anni Settanta e sta continuando a farlo con una certa intensità e generalmente con un’alta qualità: al cinema, a teatro e anche in televisione. Spesso con quei suoi ruoli da duro malinconico, che si tratti di fare il cowboy o che si tratti di fare l’astronauta.

Edward Allen Harris è nato a Englewood, in New Jersey, il 28 novembre 1950, figlio di un libraio/corista e di un’agente di viaggi. Da adolescente si fece notare per le sue capacità sportive, nell’atletica leggera e nel football americano, ma poi scoprì la recitazione e si dedicò a quella. «Appena misi piede su un palco» disse lui qualche anno fa «capii che nella vita non volevo fare altro che recitare. Mi piaceva l’attenzione che gli altri avevano per me mentre facevo sport, ma la recitazione soddisfaceva quel bisogno molto meglio».

I suoi primi ruoli furono a teatro, mentre studiava arte drammatica in Oklahoma, e i suoi primi lavori furono in spot pubblicitari e telefilm. Il cinema arrivò nel 1978, con un piccolo ruolo in Coma profondo, diretto da Michael Crichton.

Il regista che più gli diede fiducia fu però George A. Romero, che nel 1980 gli assegnò una parte in Knightriders – I cavalieri (una sorta di trasposizione delle storie dei Cavalieri della tavola rotonda in un contesto motociclistico, in cui Harris era una sorta di Re Artù su due ruote) e che in uno degli episodi di Creepshow, film horror del 1982, lo fece addirittura ballare.

Romero a parte, il primo ruolo in cui molti si accorsero di quel poco più che trentenne attore che si chiamava Ed Harris fu Uomini veri, il film del 1983 di Philip Kaufman in cui lui interpretò l’astronauta John Glenn. Seguirono, come capita spesso agli attori promettenti e in rampa di lancio, tanti film in pochi anni: il film di guerra Sotto tiro, il film biografico Sweet Dreams, il drammatico Le stagioni del cuore e poi Walker – Una storia vera, in cui Harris fu William Walker, l’avventuriero (e medico, e avvocato, e giornalista, e mercenario, e organizzatore di spedizioni militari “private”) che a un certo punto, dopo un colpo di stato, riuscì a diventare presidente del Nicaragua.

A fine anni Ottanta iniziò anche la collaborazione di Harris con la regista polacca Agnieszka Holland, per la quale recitò in Un prete da uccidere (un film che racconta la storia vera dell’omicidio, negli anni del regime comunista, del sacerdote Jerzy Popiełuszko) e per la quale avrebbe poi recitato anche in Il terzo miracolo e in Io e Beethoven, nel quale interpretò proprio il noto compositore.

Intanto, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, Harris trovò modo di fare il fantascientifico The Abyss (diretto da James Cameron), di recitare nel drammatico Americani (con, tra gli altri, Jack Lemmon, Kevin Spacey, Alec Baldwin, Al Pacino e Alan Arkin), di girare il thriller di Sydney Pollack Il socio, di fare il reduce del Vietnam in Jacknife e di fare il boss della mala in Stato di grazia.

Tutto questo prima di quella gran serie di film per i quali ottenne quattro nomination in sette anni: per essere stato, nell’ordine, il direttore di volo che prova a riportare a casa gli astronauti dell’Apollo 13 dopo il loro noto problema, il regista che prova a non far lasciare casa al Jim Carrey di Truman Show, il pittore Jackson Pollock nel suo primo film da regista e poi il Richard Brown di The Hours.

A questi ruoli vanno poi aggiunti, sempre in quegli anni, quelli in Nixon di Oliver Stone, in The Rock di Michael Bay, in A Beautiful Mind di Ron Howard e anche in Il nemico alle porte di Jean-Jacques Annaud, in cui Harris è il tiratore scelto che deve provare a uccidere il cecchino sovietico Vassili Zaitsev. Nel 2008 Harris trovò anche il tempo di dirigere il western Appaloosa, in cui recitò con Viggo Mortensen.

In anni un po’ più recenti, Harris si è invece fatto notare e apprezzare soprattutto per A History of Violence, The Way Back, Snowpiercer e Madre!. 

 

In anni ancora più recenti Harris è stato l’Uomo in Nero della ambiziosa e cervellotica serie tv Westworld, Atticus Finch nella rappresentazione teatrale, a partire da un testo di Aaron Sorkin, di Il buio oltre la siepe (prendendo il posto che prima era stato di Jeff Daniels) e, seppur ancora il film debba uscire nei cinema, uno degli attori del nuovo Top Gun.

A proposito del suo ruolo in Westworld, Harris ha raccontato più volte di avere diversi problemi nel capire la trama della serie e quel che succede al suo personaggio. Una volta raccontò che si era impegnato a costruirsi tutta una storia personale del personaggio che interpretava, e che solo dopo, a riprese già in corso, scoprì che era tutt’altra (alquanto labirintica per come viene presentata e pian piano svelata) . Un’altra volta spiegò che sebbene avesse già fatto televisione, era la prima volta in cui aveva a che fare con la “cultura dello spoiler” e che alla fine la cosa gli tornava comoda, perché gli permetteva di non dire granché nelle interviste. A proposito del suo ruolo in Il buio oltre la siepe (chiunque lo interpreti deve vedersela con l’interpretazione di Gregory Peck nel noto film degli anni Sessanta), l’Atlantic scrisse: «Nel suo Atticus ci sono sia dolcezza che tristezza».

Un paio di anni fa, a un giornalista che gli chiese se, con il passare degli anni, stesse facendo uscire «una parte di Ed Harris che prima aveva nascosto», lui rispose: «No, ma c’è una parte di Ed Harris che sta invecchiando, e questi sono i ruoli che mi offrono».

Sulla sua percezione pubblica di persona piuttosto burbera, o comunque non particolarmente portata alla chiacchiera e allo scherzo, disse al New York Magazine: «Non so bene che tipo di persona pensino che io sia, e comunque non me ne frega un cazzo». Forse, parte di quella percezione è anche dovuta a questa sua esemplificativa risposta durante una conferenza promozionale di A history of violence.

Una volta, a chi gli chiese come mai facesse spesso film i cui incassi non erano granché, Harris rispose: «Non faccio apposta a scegliere film che non avranno successo. Succede però che le sceneggiature più interessanti non siano quelle che vanno meglio ai botteghini. Mi piacciono personaggi complicati, che faranno cose non puoi prevedere». E parlando dei film che ha fatto disse: «Ce ne sono alcuni che sono dei rottami, e anche alcuni che a essere sincero ho fatto per ragioni finanziarie, ma non starò certo qui a dire quali. E ce ne sono uno o due che sono rottami, che ho fatto per soldi».

I ruoli che Harris dice che avrebbe più voluto fare sono quelli del protagonista in L’ultima tentazione di Cristo e di Hannibal Lecter nel Silenzio degli innocenti.

Nel 2016, intervistato dal Los Angeles Times, raccontò invece che, visto che ritiene di cavarsela anche come cantante, gli piacerebbe molto fare un musical. All’intervistatrice, che gli chiese che tipo di musical, rispose:

«Uno bello, lo farei se me lo chiedessero e se dovessi ritenere di essere in grado. Una delle cose che mi fecero capire di poter fare l’attore fu interpretare Re Artù in Camelot, quando avevo 23 anni a Oklahoma City. Una sera mi capitò di non accorgermi nemmeno che stavo recitando, e il pubblico apprezzò molto. Fu un momento puro ed estatico, di quelli che passi una vita sperando che ricapiti».