Qual è l’impatto ambientale del gas?

Il gas naturale è il meno inquinante dei combustibili fossili, ma usarlo causa comunque emissioni di CO2: finché lo faremo si possono compensare con i progetti di "carbon offset"

(La Presse/AP Photo/Vitnija Saldava)
(La Presse/AP Photo/Vitnija Saldava)

Siamo ancora molto lontani dal risolvere il problema del cambiamento climatico, ma negli ultimi anni sempre più persone hanno cominciato a interessarsi alla questione. Lo dimostra, tra le altre cose, il fatto che tante aziende pubblicizzino la sostenibilità ambientale (più o meno vera) dei propri prodotti: sono in molti a voler ridurre il proprio impatto sul clima e ad adattare i propri consumi di conseguenza. Tuttavia il cambiamento climatico e le sue cause sono fenomeni complessi, e se alcuni aspetti sono ben noti a tutti – ad esempio che l’energia elettrica prodotta con il carbone è quella che inquina di più – altri sono meno chiari.

Tra questi c’è l’impatto del gas naturale. Se ne parla principalmente come di un’alternativa meno inquinante al carbone e al petrolio, ma è pur sempre un combustibile fossile. E, anche se forse non tutti lo sanno, è a sua volta un gas che causa l’effetto serra. Un’altra cosa che potrebbe creare confusione è l’esistenza del biogas, alternativo rispetto al gas fossile: non tutti sanno cosa significhi esattamente quel “bio” e magari qualcuno è indotto a pensare che non inquini.

Le basi: gas naturale e metano
Il gas naturale è, come petrolio e carbone, un combustibile fossile. Deriva dai resti di esseri viventi preistorici finiti in profondità sotto terra nel corso delle ere geologiche. Tutti i combustibili fossili contengono alte quantità di carbonio, uno dei principali elementi di cui sono fatti gli esseri viventi, persone comprese, e bruciando producono molta energia.

Bruciando però producono anche anidride carbonica (CO2), il principale dei gas serra che causano il riscaldamento globale e il cambiamento climatico. Tra i combustibili fossili comunque il gas naturale è quello meno inquinante: in proporzione, la sua combustione produce circa la metà di CO2, e molto meno zolfo, di quella del carbone.

Spesso per parlare del gas naturale si usa la parola “metano”: in realtà non è un sinonimo, ma è vero che tra i gas che compongono il gas naturale il metano (un composto di carbonio e idrogeno) è quello prevalente. Il metano, come la CO2, è un gas serra, ma ha caratteristiche diverse: resta nell’atmosfera per molto meno tempo, 12 anni contro i più di 500 dell’anidride carbonica, ma se si considera un periodo di 100 anni il suo Global Warming Potential, cioè quanto contribuisce all’effetto serra in relazione alla CO2, è di 25 volte superiore di quello dell’anidride carbonica. Per questo tra le preoccupazioni delle organizzazioni ambientaliste ci sono le flatulenze degli animali di allevamento (il metano è un derivato dei loro processi digestivi), l’emissione di metano dal permafrost siberiano causata dall’aumento delle temperature (è il circolo vizioso del cambiamento climatico) ma anche le perdite di metano nell’atmosfera durante i processi di estrazione, trasporto e raffinazione del gas naturale (che possono essere ridotte, ma non eliminate).

Ricapitolando, ci sono due modi in cui il gas usato nelle cucine e per riscaldare l’acqua di bagni e termosifoni contribuisce al cambiamento climatico: attraverso le perdite di metano che avvengono nel percorso che lo porta nelle case e con la produzione di CO2 nella sua combustione.

I progetti di carbon offset per il gas
Negli ultimi anni la tendenza generale va sempre più nella direzione dell’elettrificazione dei consumi e verso una progressiva diminuzione dell’utilizzo del gas: sia per una questione di minor inquinamento locale dei motori elettrici rispetto a quelli a combustione interna, sia perché l’energia elettrica può più facilmente essere ricavata da fonti “pulite”. Attualmente però, per il suo costo e per il fatto che in giro ci sono moltissime cucine e caldaie che lo usano, il gas continua a essere molto diffuso e ci sarà quindi bisogno di aziende che lo portino nelle case. Se non si possono evitare le emissioni di CO2 e metano che causa, si può però aderire a progetti di carbon offset per compensare quelle emissioni.

Sono le iniziative, pensate principalmente per le aziende, che consistono nel finanziare delle attività che permettono di assorbire la CO2 nell’atmosfera, invece che emetterne, o che aiutano a emetterne meno. Tra le più note ci sono quelle per finanziare progetti di ri-forestazione o forestazione: gli alberi sono naturali assorbitori di CO2 (del resto, il carbone si è formato proprio dai resti di foreste preistoriche). Queste attività vengono “vendute” alle aziende interessate a compensare le proprie emissioni sotto forma di certificati; in alcuni casi sono certificati che permettono di comprare i risultati di attività già svolte, in altri sono veri e propri finanziamenti perché siano rese possibili a posteriori. Sono dunque una forma di sostegno economico a progetti di sviluppo sostenibile.

NeN, una nuova società fornitrice di luce e gas che vende solo ed esclusivamente elettricità prodotta da fonti sostenibili, ha deciso di fare investimenti di questo tipo per compensare alle emissioni legate al consumo di gas dei suoi clienti. Non solo quelle future, ma anche quelle prodotte dalla nascita dell’azienda – avvenuta all’inizio dell’anno – a oggi.

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Per farlo si è affidata a LifeGate, storica società italiana in ambito sostenibilità e promotrice dal 2001 di Impatto Zero®, progetto che calcola, riduce e compensa le emissioni di CO2 generate dalle attività delle aziende. Con l’aiuto di LifeGate, NeN ha scelto dei progetti che le consentiranno di compensare l’emissione fino a 500mila tonnellate di CO2.

Uno di questi progetti viene portato avanti in Ruanda, nella provincia settentrionale di Nyagatare: è la più grande e la più popolosa del paese e, per via della sua conformazione geografica e del suo clima, ha spesso problemi di siccità. La maggior parte delle case inoltre non ha acqua corrente e l’unico modo per molti abitanti di ottenere acqua potabile è di prendere l’acqua dai fiumi e poi bollirla, bruciando legna e carbone. Grazie al Nyagatare Safe Water Project, una collaborazione tra ong e comunità locali, la situazione però sta migliorando: il progetto consiste nella manutenzione e nell’ammodernamento dei pozzi costruiti negli anni dallo stato e dalle ong. Se non gestiti correttamente funzionano male e l’acqua viene contaminata, ma con la giusta manutenzione forniscono acqua potabile.

Questo progetto ha un valore ambientale perché evita che gli abitanti del Nyagatare brucino legna e carbone per ottenere acqua potabile, ma è anche e soprattutto un progetto con un importante valore sociale, dato che migliora sensibilmente la vita delle comunità a cui è dedicato.

E il biogas?
Le aziende fornitrici di gas potrebbero dire di vendere gas “green” anche nel caso in cui vendessero solo biogas, cioè gas composti principalmente da metano prodotti dalla fermentazione di scarti agricoli e alimentari. I biogas bruciando creano inquinanti ambientali simili a quelli del gas naturale, come il monossido di carbonio, anidride solforosa, ossido di azoto, idrogeno solforato e particolato, oltre all’anidride carbonica. Se la produzione di biogas è controllata in modo da ottenere solo biometano, poi le emissioni di CO2 legate alla combustione sono minori, ma ci sono lo stesso. Quindi il biogas non è green nel senso in cui qualcuno potrebbe intenderlo.

Inoltre produrlo è molto costoso. Per questo anche le aziende che dicono di vendere gas green perché forniscono biogas vendono in realtà gas composto da una piccola percentuale di biogas e, per il resto, da gas naturale.

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È più sostenibile un piatto di pasta preparato con un fornello a gas o con un piano a induzione?
Dopo essere arrivati fino qui, qualcuno potrebbe essersi fatto questa domanda: ovviamente la differenza tra le due modalità di cottura non cambierà il mondo, ma adottare comportamenti individuali tenendo conto dell’impatto che avranno sull’ambiente può contribuire a dare un piccolo segnale alle aziende, che orientano la propria offerta soprattutto sulla base della domanda dei consumatori, e che sono quelle che, insieme a chi fa le leggi, possono fare davvero la differenza. Detto questo, una risposta univoca non c’è.

Se il piano elettrico è alimentato da una fonte di energia rinnovabile, la risposta è facile: in sostenibilità vince lui. La risposta è più difficile se il piano è alimentato con elettricità prodotta, ad esempio, da una centrale termoelettrica. Fare tutti i calcoli sarebbe estremamente complicato e poco attendibile, in quanto le variabili in gioco sono veramente troppe e difficilmente stimabili con precisione. Una cosa che si può dire è che – considerando i modelli più recenti di fornelli e piani – i piani a induzione sono più efficienti, cioè impiegano meno energia per ottenere lo stesso risultato, ma efficienza e produzione di anidride carbonica non sono la stessa cosa. Facendo qualche stima, seppur molto approssimativa, dal punto di vista delle emissioni di CO2 cambia davvero poco.

Ben diverso e più impattante sul clima è il confronto tra il riscaldamento di un appartamento con un sistema elettrico, ad esempio a pompa di calore, e uno con radiatori ad acqua calda, che funzionano grazie a caldaie alimentate a gas: i sistemi a pompa di calore sono responsabili di molte meno emissioni di CO2. Ci sono anche sistemi a pompa di calore alimentati a gas: anche in quel caso l’emissione di anidride carbonica è minore, un po’ maggiore di quanto sarebbe con un’alimentazione elettrica.

Tornando al piatto di pasta, per risparmiare energia ed emissioni di CO2, per quanto in misura minima, bisogna tenere un coperchio sulla pentola mentre si riscalda l’acqua (così arriva prima all’ebollizione) e salare l’acqua solo quando già bolle (per non ritardarla). Inoltre, se si hanno le pentole giuste, si può usare il metodo della cottura passiva: cioè, una volta buttata la pasta, coprire la pentola con un coperchio ermetico e spegnere il fornello (o il piano a induzione).