Diego Armando Maradona nel 2010 durante Argentina-Messico dei Mondiali in Sudafrica (Getty Images)

È morto Diego Maradona

Aveva da poco compiuto 60 anni: è stato uno dei calciatori più forti di sempre, simbolo del Napoli e di tutta l'Argentina

Diego Armando Maradona è morto mercoledì nella sua casa di Tigre, nella provincia di Buenos Aires, per un arresto cardiorespiratorio: aveva da poco compiuto 60 anni. È stato uno dei più forti e famosi calciatori di sempre, se non il più forte e determinante nella storia del calcio, simbolo dell’Argentina e artefice dei maggiori successi del Napoli alla fine degli anni Ottanta. A dare la notizia della sua morte è stato il giornale argentino El Clarin, la conferma è arrivata dal suo avvocato. Il presidente argentino Alberto Fernández ha proclamato tre giorni di lutto nazionale; la camera ardente è stata allestita all’interno della Casa Rosada, il palazzo del governo a Buenos Aires.

Lo scorso 3 novembre Maradona era stato operato al cervello per rimuovere un ematoma subdurale — un tipo di emorragia cerebrale — in una clinica della città argentina di La Plata, dove allenava dallo scorso anno. Si era sentito male mentre stava assistendo alla partita di campionato tra la sua squadra e il Patronato di Paraná. L’operazione era riuscita e successivamente Maradona era tornato a casa per trascorrere la convalescenza.

Nato a Lanus il 30 ottobre 1960 ma cresciuto a Villa Fiorito, nella periferia povera di Buenos Aires, Maradona iniziò a giocare a calcio con l’Argentinos Juniors, piccola squadra della capitale con la quale si fece presto un nome in tutto il paese guadagnandosi anche le prime convocazioni in Nazionale. Nel 1981 fu comprato dal Boca Juniors, dove in una stagione si impose ai vertici del calcio argentino. Da lì venne ingaggiato dal Barcellona — allenato dal 1982 dal connazionale Cesar Luis Menotti — ma in Spagna non andò bene come ci si aspettava, complice un grave infortunio. Nel 1984 l’allora presidente del Napoli Corrado Ferlaino lo acquistò per 13 miliardi di lire dopo una lunga trattativa.

I sette anni passati a Napoli furono i migliori della sua carriera, e con lui il Napoli divenne una delle grandi del calcio italiano vincendo i primi trofei della sua storia: i campionati 1986/87 e 1989/90, la Coppa Italia del 1987 e la Coppa UEFA del 1989. Nel mezzo, Maradona guidò l’Argentina alla vittoria della Coppa del Mondo del 1986, dove nei quarti di finale contro l’Inghilterra segnò prima il suo famoso gol di mano, passato alla storia come la mano de Dios, e poi, quattro minuti più tardi, quello che ancora oggi è considerato il più bel gol nella storia del calcio.

A Napoli, tuttavia, Maradona iniziò ad avere anche problemi con la cocaina, che lentamente influenzò la sua vita privata e intaccò la sua carriera da atleta. Nel marzo del 1991 l’uso di cocaina fu riscontrato in un controllo antidoping per il quale venne squalificato un anno e mezzo: con la squalifica si concluse il suo periodo a Napoli. Da lì in poi ebbe soltanto brevi apparizioni: con il Siviglia nel 1992, con gli argentini del Newell’s Old Boys tra il 1993 e il 1994 — periodo in cui venne squalificato la seconda volta dall’antidoping, durante i Mondiali negli Stati Uniti — e per finire le ultime tre stagioni della sua carriera con il Boca Juniors, la squadra per cui faceva il tifo.

Negli anni successivi dovette affrontare una lunga serie di guai giudiziari e problemi di salute legati alla tossicodipendenza. Nel 2000 la FIFA lo nominò calciatore del secolo insieme al brasiliano Pelé. Nel 2003 l’Argentinos Juniors gli dedicò il suo stadio a Buenos Aires. Dopo essersi rimesso in sesto, ritornò nel mondo nel calcio nel 2008 come allenatore della Nazionale argentina, che portò ai Mondiali in Sudafrica del 2010, conclusi ai quarti di finale. Successivamente allenò negli Emirati Arabi Uniti, i Dorados de Sinaloa nella seconda divisione messicana e infine il Gimnasia La Plata nella prima divisione argentina, ultimo incarico della sua carriera.

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