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  • Lunedì 9 novembre 2020

Cosa ci fa una banca su una pista da sci

O lungo una corsa ciclistica, ai lati di un campo di Serie A e in un paio di progetti legati al tennis

(AP Photo/Alessandro Trovati)
(AP Photo/Alessandro Trovati)

Dalla marca di scarpe usate da uno sportivo al nome dello stadio o dell’arena in cui quello sportivo compete, i brand sono ormai ovunque, nello sport. Al punto che, nella memoria di molte persone, certi loghi, prodotti o aziende sono intensamente associati a un atleta, una squadra o un evento. È difficile pensare alla Mercatone Uno, catena italiana della grande distribuzione di mobili, senza pensare a Marco Pantani. Oppure pensare a Ronaldo, quello dell’Inter, senza una maglia Pirelli addosso. O parlare della squadra di pallacanestro di Milano, di rugby di Treviso o di pallavolo di Treia senza pensare ai marchi Armani, Benetton e Lube. O anche della Formula 1, dove è ormai più di un decennio che a giocarsi le vittorie dei gran premi con storiche scuderie automobilistiche come Ferrari o Mercedes c’è la Red Bull, che di base vende bevande energetiche.

E per pochi sponsor che (a fronte di grandissimi investimenti) quasi si identificano con un atleta o una squadra, ce ne sono tanti altri che, più semplicemente, scelgono di sostenere – a tanti diversi livelli e in tanti possibili modi – una serie di sport e sportivi. Una banca, per esempio Banca Ifis, può quindi scegliere di indirizzare i propri investimenti in funzione di nuovi obiettivi, diventando partner nazionale dei Campionati del mondo di sci e della federazione italiana degli sport invernali. Per la federazione, vuol dire avere un sostegno per le sue attività. Per Banca Ifis vuol dire far parlare di sé parlando d’altro e, intanto, finire con il proprio logo sulle tute degli atleti e delle atlete della nazionale italiana di sci.

A Banca Ifis – che oltre allo sci ha scelto di diversificare, puntando su più sport, come il tennis, la corsa, il ciclismo e persino il golf – ci torniamo tra un po’. Che prima c’è da parlare, tra le altre cose, di gelati e biciclette, bevande zuccherate e Olimpiadi, scarpe da tennis e piedi di non-tennisti, e di aziende di gelati e pantaloncini da calcio, per ricostruire tutta la storia di come i brand siano finiti sugli sportivi.

Sarebbe sbagliato dire che senza sponsor non esisterebbe lo sport. Ma è certo che atleti e attività sportive in cerca di sostegno economico e aziende in cerca di visibilità si incontrarono già all’inizio del secolo scorso. In Italia, per esempio, il ciclismo competitivo nacque perché un venditore di bibite e gelati decise di organizzare gare per attirare tifosi (e ritirare quote d’iscrizione) attorno al suo chiosco in Piazza d’Armi, a Milano. E né il Tour de France né il Giro d’Italia sarebbero nati se non ci fossero stati giornali sportivi desiderosi di storie da raccontare (e pagine da riempire, per vendere più copie).

Che si trattasse di telai, ruote o borracce nel ciclismo, oppure di scarpe, magliette e racchette nel tennis, più uno sport cresceva e più certe aziende capivano che poteva esserci un mercato attorno agli oggetti usati e maneggiati dagli sportivi, e che quindi poteva anche essere interessante usarne le superfici per le sponsorizzazioni. Ancora oggi, per esempio, molti di noi – compresi quelli che non hanno mai guardato né tantomeno giocato una partita di tennis – comprano e si fanno portare a spasso da “scarpe da tennis“.

Un po’ ovunque, la storia degli sponsor nello sport è partita dalla sponsorizzazione degli eventi (già alle Olimpiadi del 1928 Coca-Cola era presente con il motto “Dove c’è sport, c’è Coca-Cola”), per poi passare per quelle che oggi chiamiamo sponsorizzazioni tecniche o anche “in natura” (cioè, semplificando, la fornitura di quel che serve per praticare uno sport, come scarpe e abbigliamento, da parte di aziende che si occupano di quello) ed è infine arrivata a sponsorizzazioni più ampie, da parte di aziende che non hanno direttamente a che fare con un certo sport e quel che serve per praticarlo.

Per fare quest’ultimo salto, non sempre e non ovunque le cose sono state facili. Nel calcio italiano, per esempio, la strada per arrivare ai loghi grandi e ben in vista su maglie, calzettoni e pantaloncini degli atleti è stata piuttosto contorta. Per decenni, infatti, il regolamento vietò la presenza di “scritte pubblicitarie” e di riferimenti ad aziende estrane al contesto calcistico. Sfruttando una sorta di falla nel regolamento, lo si potè però fare nel nome della società sportiva, secondo una pratica nota come “abbinamento”: è il motivo per cui sono esistite, negli anni Quaranta, la Juventus Cisitalia e la Torino FIAT (azienda che poi, com’è noto, si sarebbe decisamente avvicinata all’altra metà calcistica della città). Ed è il motivo per cui è esistito, per più tempo e con maggiori fortune, il Lanerossi Vicenza.

Ma se per sponsor intendiamo il nome di una certa azienda sul petto di un certo calciatore, nel Secondo dopoguerra il terreno non era ancora fertile. E non lo era, quantomeno nel calcio, nemmeno a fine anni Settanta, quando nell’articolo “Pensiamo ai gol non agli sponsor” lo scrittore Giovanni Arpino criticò chi voleva «ridurci tutti quanti, spettatori e protagonisti, ad Arlecchini carichi di toppe colorate, come i piloti di Formula 1».

Con l’avvicinarsi e il procedere degli anni Ottanta, le cose cambiarono: prima grazie all’Udinese che, sfruttando un altro buco di regolamento, mostrò lo sponsor Gelati Sanson sui pantaloncini (pare che il regolamento parlasse di magliette, non di pantaloncini); poi perché sempre più squadre si imposero e ottennero un’apertura alla presenza di sponsor “extrasettore“, sulle loro divise: pantaloncini e magliette, ma poi anche tutta un’altra serie di indumenti, da allenamento e da gara. Un decennio prima non sarebbe stato possibile, insomma, ma già dagli anni Ottanta Diego Maradona era un po’ anche Buitoni e Michel Platini era un po’ anche Ariston; o, per dirne un’altra, la Roma era anche un po’ Barilla. E da qualche anno esistono, all’estero, squadre di calcio che, per molti versi, sono la Red Bull.

In anni più recenti, nel calcio e altrove, gli sponsor non-tecnici sono un po’ ovunque, e anche squadre che, come il Barcellona o gli All Blacks, ne avevano fatto a meno, hanno infine cambiato idea. Sempre in questi ultimi anni, è aumentato anche l’interesse verso la sponsorizzazione di interi impianti (a Torino, la Juventus gioca le sue partite nell’Allianz Stadium) o di singoli atleti, a volte con contratti a vita, e in certi casi con problemi o contrasti di vario tipo quando un certo atleta X, personalmente sponsorizzato da Y, si trova a dover giocare con una squadra il cui sponsor è Z.

E intanto, anche a prescindere da grandi accordi, grandi stadi e grandi atleti, tante sponsorizzazioni – sportive piccole, medie o grandi – continuano a essere un importante sostegno alla pratica sportiva di atleti e squadre, amatoriali e professionisti, di ogni tipo di disciplina.

È il caso, tra gli altri, delle sponsorizzazioni di Banca Ifis, banca italiana fondata nel 1983 come società attiva nel settore della gestione dei crediti d’impresa e quotata alla Borsa di Milano dal 2003. Come conseguenza di un suo “riposizionamento strategico” e di pari passo con una sua operazione di rebranding, Banca Ifis ha scelto infatti di sostenere diversi progetti nel mondo dello sport: un progetto utile a mostrare come le sponsorizzazioni possano andare oltre la semplice presenza di un certo logo su una certa maglia o divisa e possa servire anche a riqualificare impianti o sostenere giovani talenti.

In questo complicato 2020 Banca Ifis ha concluso sei principali accordi di collaborazione o sponsorizzazione sportiva. Per quanto riguarda lo sci, Banca Ifis – la cui direzione generale ha sede a Mestre, in provincia di Venezia – sarà national partner dei Campionati del mondo di sci alpino di Cortina 2021 (un importante evento, a maggior ragione visto che l’area ospiterà anche le Olimpiadi invernali del 2026) e official partner della Federazione Italiana Sport Invernali (FISI) per l’intera stagione 2020/21. Essere official partner vuol dire, tra le altre cose, apparire con il proprio logo sulle tute degli atleti e delle atlete della nazionale italiana di sci per le gare tecniche, cioè slalom e gigante.

Oltre allo sci e alla FISI, Banca Ifis è stata presente come Premium Partner delle cinque classiche del ciclismo italiano (insolitamente disputatesi tutte d’estate). Potreste inoltre averne visto il logo ai bordi di qualche campo di Serie A.

Infine, Banca Ifis ha scelto di impegnarsi anche in due progetti legati al tennis. Il primo, a Vicenza, è il progetto Casa del tennis: nasce per aiutare i giovani atleti a esprimere al meglio il proprio potenziale e prepararli così al tennis di alto livello e, spiega Banca Ifis, «serve a sostenere quotidianamente i giovani tennisti nella loro attività con un costante monitoraggio del loro processo di crescita e miglioramento, grazie all’insegnamento personalizzato». In termini pratici la partnership prevede, tra le altre cose, «la sponsorizzazione di tre giovani atleti emergenti e di un atleta senior professionista».

Il secondo progetto è invece a Treviso e ha a che fare con l’Adriano Panatta Raquet Club, una struttura con otto campi da tennis e quattro da paddle che nascerà dalla riqualificazione di un club tennistico precedente. Banca Ifis sostiene finanziariamente il 70 per cento del progetto sportivo e urbanistico che prende il nome dal noto tennista, «per dar vita a un importante progetto di riqualificazione», creando un nuovo tennis club «immerso in un parco verde» che comprenderà anche «due palestre per l’attività fisica con vari spogliatoi, una SPA di 450 metri quadrati, una nuova Club House con ristorante, bar e piscina».

A proposito di Panatta, le sue scarpe da tennis erano le Superga.

A proposito, invece, delle sue tante e varie attività di sponsorizzazione, Banca Ifis ha spiegato che lo sport, in particolare il tennis, è in qualche modo parte della sua storia, visto che, già dal 2000, «grazie ad un’associazione privata voluta dall’azionista di maggioranza (l’Associazione Villa Marocco, e in particolare il presidente Sebastien Egon Furstenberg) promuove e organizza un torneo di tennis interno per tutti i soci e la maggior parte sono dipendenti della banca».

La volontà di Banca Ifis è di organizzare grandi eventi sportivi e «piccoli progetti territoriali a forte impatto sociale per le comunità», e che le aree in cui si trovano le attività sponsorizzate «sono state scelte in base alla presenza fisica della Banca e allo sviluppo che si vuole avere in quella regione o provincia, con le sue sedi o filiali commerciali». Il tutto tenendo a mente la necessità di diversificazione tra più aree e più sport, «per coprire orizzontalmente più pubblici». Nel frattempo, Banca Ifis ha iniziato a guardare anche al golf.